Il patrimonio culturale metafora dell’interdisciplinarietà: storie, conoscenze, tecnologie e professioni

a cura di Dunia Pepe e Debora Vitali

Riassunto

Il patrimonio culturale rappresenta un settore strategico per lo sviluppo della società, dell’economia e del lavoro. Una dimensione essenziale della gestione e della fruizione del patrimonio culturale é il processo della sua digitalizzazione. Accanto al patrimonio culturale esiste ormai un patrimonio culturale digitale che ne garantisce la conservazione, la diffusione e la valorizzazione. Le nuove tecnologie hanno trasformato l’organizzazione di musei, gallerie, siti d’arte e siti archeologici. Queste stesse tecnologie hanno consentito la diffusione e l’operabilità a livello internazionale di infrastrutture digitali di informazione e ricerca.

La digitalizzazione ha consentito ai luoghi della cultura di sperimentare nuovi legami, con i territori e con i cittadini, già dall’inizio degli anni 2000 e soprattutto a seguito del lockdown imposto dalla pandemia da Covid 19. Le tante attività di digitalizzazione volte a valorizzare i beni culturali richiedono sia conoscenze umanistiche che scientifiche. Da un lato, esse implicano la creazione di realtà virtuali e modellizzazioni per una diversa e più profonda conoscenza, dall’altro lato, richiedono l’uso dell’intelligenza artificiale e dei big data per ricostruire il passato delle culture o per conoscere i flussi turistici nei siti d’arte. Anche le professioni, le competenze ed i percorsi formativi legati alla digitalizzazione dei beni culturali nascono dalle interazioni tra sistemi fisici e sistemi virtuali, da conoscenze ed esperienze di diversa natura.

Parole-chiave: Cultura, Digitalizzazione, Connessioni

Abstract

The cultural heritage is a strategic sector for the development of society, economy and work. An essential dimension of the management and use of cultural heritage is the process of its digitization. In addition to the cultural heritage, there is now a digital cultural heritage that ensures its conservation, spread and enhancement. New technologies have transformed the organization of museums, art galleries and archaeological sites. The same technologies have enabled the information and research networks to spread internationally.

Digitalization has enabled culture to experience new links with territories and citizens since the beginning of the 2000s and in particular during the lockdown imposed by Covid-19 pandemic. Many digital activities aimed at enhancing arts require both classical and scientific studies. They involve on the one hand the creation of virtual realities and models for deeper knowledge, on the other hand they need the use of artificial intelligence and big data in order to rebuild the past cultures or to know the flow of visitors in the art sites. The professions, the skills and the training courses linked to the digitalization of the cultural heritage also arise from the interaction between physical and virtual systems, from knowledge and experiences of different nature.

Key words: Culture, Digitization, Connections

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  1. Il valore del patrimonio culturale

Il patrimonio culturale rappresenta un settore strategico per lo sviluppo dell’economia. Esso costituisce, osserva A. Bonisoli, nell’Introduzione al Rapporto Federculture 2019, l’insieme di tante realtà accomunate “… dal gusto, dall’intelligenza, dal talento e dalla professionalità degli attori protagonisti nei diversi ambiti” (Bonisoli, 2019, p. 9). Nel 2019, il sistema culturale e creativo italiano ha generato quasi 96 miliardi di euro e, grazie all’attivazione di altri settori dell’economia, ha finito per muovere nel complesso 265,4 miliardi di euro equivalenti al 16,9% del valore aggiunto nazionale. Questo è quanto testimoniato dalla IX edizione del Rapporto Io sono cultura 2019. l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi: uno studio elaborato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere volto a quantificare ogni anno il peso della cultura e della creatività nell’economia italiana.

I dati relativi al valore economico generato dalla cultura, osservano i curatori del Rapporto Io sono cultura 2019, Carlo Sangalli ed Ermete Realacci è comprensivo del valore prodotto dalle filiere del settore, ma anche di quella parte dell’economia che beneficia di cultura e creatività. Una ricchezza che si riflette in positivo anche sull’occupazione: il solo sistema produttivo culturale e creativo nel 2018 ha dato lavoro a 1,55 milioni di persone, che rappresentano il 6,1% del totale degli occupati in Italia. Ancora nel 2018, il settore culturale ha prodotto un valore aggiunto del 2,9% superiore all’anno precedente, con una crescita superiore a quella del complesso dell’economia pari a +0,9% (Sangalli e Realacci, 2019, p. 9). I dati relativi all’alto numero di imprese culturali vantato dall’Italia fino al 2019, il più alto d’Europa, rende ancora più drammatica la riflessione sulla crisi economica ed occupazionale determinata, nel 2020, dalle restrizioni imposte dalla pandemia di Coronavirus.

Il Consiglio europeo tenutosi il 21 maggio 2014 ha dichiarato il patrimonio culturale come “… costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti – materiali, immateriali e digitali, ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei biblioteche e archivi” (Consiglio d’Europa, 2014). Anche il Consiglio d’Europa riconosce dunque il sistema digitale quale parte integrante, se non fondamentale, per la fruizione dell’eredità culturale.

Nel settembre 2020, il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione di Faro. Convenzione siglata nel 2005, nella città portoghese di Faro, con l’intento di affermare il valore dell’eredità culturale per la società. Il Consiglio europeo aveva approvato la Convenzione di Faro nel marzo del 2018 identificando nell’eredità culturale un vero e proprio diritto umano, uno strumento di conoscenza reciproca in grado di garantire anche una maggiore integrazione tra i Paesi europei. La Convenzione di Faro non solo riconosce che il diritto all’eredità culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma definisce l’eredità culturale anche come una responsabilità individuale e collettiva; sottolinea come la conservazione dell’eredità culturale e il suo uso sostenibile abbiano come obiettivo lo stesso sviluppo umano e la qualità della vita. Il patrimonio culturale rappresenta dunque una risorsa strategica per la crescita sostenibile dell’Europa nella misura in cui riveste grande valore dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

Con la ratifica della Convenzione di Faro, osserva Maurizio Vanni (2021), alla cultura si chiede di investire nella crescita umana e nel miglioramento della qualità della vita. La crescita sostenibile predispone ad altri obiettivi fondamentali: il bene immateriale, il bene comune e il bene relazionale. Ne derivano progetti capaci di mettere in relazione la cultura con l’economia attraverso nuovi piani di sostenibilità e nuovi modelli di business; con il sociale grazie all’abbattimento delle barriere sociali, ad offerte culturali personalizzate, alla creazione di partnership con associazioni di volontariato e scuole di ogni ordine e grado; con l’ambiente attraverso la nascita di una rinnovata definizione del concetto di impatto ambientale e di educazione alla coscienza ecologica; infine, con il territorio il cui patrimonio può favorirne la crescita e la promozione. 

Molteplici sono gli scenari dai quali nasce e si sviluppa il discorso sulla rilevanza del patrimonio culturale e dei modelli di digitalizzazione che ne consentono l’espressione, la conservazione e la diffusione. Il Consiglio europeo del 17 maggio 2017 proclama il 2018 come anno del Patrimonio culturale mentre una Risoluzione del Parlamento europeo, dell’11 dicembre 2018, detta una nuova agenda per la cultura. Nel 2017, il MIBAC propone il Piano Nazionale dell’Educazione al Patrimonio culturale e sempre nel 2017 il Network DiCultHer – Digital Cultural Heritage: Arts and Humanities Schools – propone il Manifesto Ventotene Digitale per la promozione del patrimonio culturale digitale.

L’Associazione internazionale DiCultHer, nata nel 2015, si pone l’obiettivo di costruire una cultura dell’innovazione digitale in merito alle esigenze di conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale. DiCultHer propone questa cultura dell’innovazione soprattutto ai giovani ai quali chiede di assumere la titolarità, anche e soprattutto grazie agli strumenti della digitalizzazione, del patrimonio culturale di cui loro stessi saranno custodi e promotori.  Nel 2016, DiCultHer stringe un accordo quadro con il MIBAC proprio in riferimento al Piano Nazionale dell’Educazione al Patrimonio Culturale. La cultura, nella prospettiva di questo Network, costituisce un bene comune, un dispositivo fondamentale di coesione sociale nel suo essere legata alla ricerca, alla formazione e all’educazione scolastica. Proprio per questo, essa rappresenta un aspetto essenziale di ogni progetto per la crescita dell’Europa (DiCultHer, 2017).

Nel luglio 2019, DiCultHer presenta La Carta di Pietrelcina sull’Educazione all’Eredità Culturale Digitale. Questo documento, esposto in occasione di una manifestazione culturale proprio nella città di Pietrelcina, mira a rafforzare il valore dell’eredità culturale digitale quale risorsa strategica per un’Europa sostenibile, come affermato dall’UE grazie alla Convenzione di Faro. La Carta di Pietrelcina rileva come nel momento e nella misura in cui il luogo culturale diventa luogo educativo nasce l’inclusione sociale e questo accade nel momento in cui categorie sociali diverse per età, livello culturale, status sociale ed economico interagiscono proattivamente dando vita a conoscenze e competenze diversificate. La Carta di Pietrelcina evidenzia come “l’eredità culturale sia sempre fortemente legata con il territorio cui appartiene e sia espressione e rappresentazione delle creazioni tangibili, intangibili e… digitali delle comunità che vi abitano” (DiCultHer, 2019).

L’Educazione all’eredità culturale digitale rappresenta dunque una componente indispensabile delle conoscenze e competenze di cittadinanza globale essendo per sua natura multi-, trans- e inter-disciplinare. Questo modello di educazione si fonda su metodologie condivise attive e partecipative che richiedono forti sinergie tra i territori e le loro entità educative attraverso un reale coinvolgimento sia degli attori del sistema formativo istituzionale, come scuola e università, sia di coloro che operano negli ambiti dell’apprendimento informale e della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale.

La cultura digitale, sempre nella prospettiva della Carta di Pietrelcina, appare in grado di elaborare modelli formativi capaci, a loro volta, di creare conoscenze e competenze consapevoli, trasversali, generative di quel digital knowledge design system necessario a un sistema educativo sostenibile: un processo che pone al centro la ‘creatività’ dei giovani e che, proprio grazie all’uso consapevole del digitale, può “garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del loro presente, per proiettarsi al meglio nel futuro, per diventare cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro” così come con l’evoluzione dei loro contesti di riferimento (DiCultHer, 2019).

  1. Cultura, innovazione e digitalizzazione

Già nel 1915, osserva Maurizio Vanni (2021), il Metropolitan Museumdi New York realizzava progetti museologici ispirati ai modelli dei Grandi Magazzini di fine ‘800. Negli anni Trenta comparì un altro elemento capace di caratterizzare molti musei americani: l’entertainment, inteso come strumento strategico per coinvolgere numerosi target di riferimento attraverso esperienze ispirate alle collezioni. Non solo grandi opere d’arte, ma progetti collaterali pensati per stupire, meravigliare, incuriosire, coinvolgere ed educare alla cultura attraverso partecipazione, divertimento e socializzazione. Nel 1977 viene inaugurato a Parigi il Centre Georges Pompidou che rappresenta una struttura museale per le arti visive e per il design, ma anche una biblioteca, un luogo di formazione e un laboratorio di sperimentazione per artisti (Vanni, 2021).

All’inizio degli anni 2000, i luoghi della cultura non si rivolgono soltanto a studiosi ed appassionati ma cercano di attirare il pubblico grazie alla socializzazione e al divertimento. Nel corso dei decenni successivi, si moltiplicano le esperienze volte a stabilire rapporti originali e diversificati tra luoghi d’arte, pubblici potenziali ed in generale il mondo esterno attribuendo un ruolo sempre più importante alle tecnologie digitali quali strumenti privilegiati di interazione e di comunicazione. Esemplificativa, al riguardo, è l’esperienza realizzata da un giovane studioso di archeologia appassionato di videogames, Fabio Viola, per il Museo archeologico Mann di Napoli. Nel 2017, Fabio Viola realizza il videogame “Father&Son” volto a catturare il visitatore fuori dal Museo e di attirarlo dentro grazie ad una storia avvincente ed a giochi interattivi. Il Video “Father& Son” racconta la storia di un padre che, dopo la morte, chiede al figlio di approfondire la sua conoscenza entrando nel suo luogo di lavoro, il Museo Mann appunto, cercando tra le sue carte, leggendo una lettera a lui dedicata. Seguendo questa storia, si entra nelle stanze del Museo e si visitano le sue opere. Il videogioco realizzato da Fabio Viola è stato scaricato milioni di volte ed ha contribuito, insieme ad una gestione innovativa, al successo raggiunto dal Museo negli ultimi anni.

La grande diffusione dei modelli e delle esigenze di interattività e interdisciplinarietà che caratterizzano il nostro mondo implicano una maggiore fruibilità dei luoghi della cultura e dell’arte non solo in termini di tempi e spazi, ma anche in riferimento all’accessibilità di categorie diversificate della popolazione e, in particolare, delle persone diversamente abili. Il superamento delle barriere architettoniche, cognitive e sensoriali ha rappresentato negli ultimi anni uno degli interventi di maggiore spessore messi a frutto dal Ministero dei beni e delle attività culturali anche attraverso l’istituzione di una Commissione che, nel 2008, ha pubblicato le Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale. La piena accessibilità dei luoghi della cultura è infatti in linea con quanto indicato dalla Convenzione di Faro che riconosce nella possibilità di fruizione dell’eredità culturale un diritto umano ed invita a migliorare l’accesso ad essa in particolare per i giovani e le persone svantaggiate.

Le multimodalità con cui vengono presentati oggi i luoghi della cultura permette di catturare un vasto pubblico, rendendo più accessibile e inclusivo il patrimonio di conoscenze. Planimetrie e statue parlanti, libri narranti virtuali, percorsi tattili per non vedenti, pedane a scomparsa e rampe di dolce pendenza consentono la vicinanza e la conoscenza dell’arte a molte persone che diversamente ne sarebbero state escluse. Il 18 maggio del 2019, a Parma, l’Associazione Education Culture Human Oxygen – ECHO – ha dato il via al progetto Talking Teens – Le Statue Parlano! Grazie a questo progetto, camminando per la città, è possibile ricevere una telefonata da parte delle 16 statue situate nelle piazze cittadine inserite nel circuito. Presso ogni statua si trova una targa con le relative istruzioni che spiegano, in maniera accessibile a tutti, come collegarsi: componendo un numero di telefono, scansionando un QR code o scaricando una App. Tutte le spiegazioni sono scritte anche in braille con l’obiettivo di permettere anche ai non vedenti di conoscere le opere d’arte cui ci si avvicina. Si può scegliere di ascoltare la telefonata in italiano, inglese o di vederla tradotta nella lingua italiana dei segni – L.I.S. – accessibile ai non udenti. A Bari, presso lo Spazio Giovani del Comune, è stata utilizzata la tecnologia NFC presente negli smartphone al fine di realizzare una mostra inclusiva: nel momento in cui il visitatore si avvicina all’opera, il suo cellulare riceve un identificativo grazie al quale attivare la riproduzione del contenuto multimediale, con le istruzioni che descrivono, attraverso voce e musica, come muovere le mani per comprendere l’opera stessa. Molte App sono in grado di trasformare il cellulare in una guida aumentata per conoscere musei e siti turistici. Esse presentano videoguide attraverso linguaggi dei segni, storytelling immersivi, audioguide e sensori di prossimità per attivare contenuti extra. Grazie al continuo dialogo tra le scienze e le tecnologie tendono dunque a ridursi i limiti ed i confini che condannavano alcuni pubblici potenziali all’isolamento e li allontanavano dalla cultura. La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma ha dedicato delle visite guidate a persone con morbo di Alzheimer. “Sembra infatti che l’arte e le occupazioni creative possano svolgere un ruolo di sussidio nelle terapie rivolte a questi pazienti poiché i circuiti emozionali restano preservati più a lungo di quelli cognitivi e favoriscono il miglioramento dell’umore e dell’autostima degli individui interessati da tale patologia” (MIBAC, 2020).

I processi di innovazione e digitalizzazione legati alla valorizzazione dei beni culturali hanno avuto una brusca accelerazione a seguito di due eventi specifici: la ratifica della Convenzione di Faro e soprattutto le condizioni di lockdown imposte dalla pandemia da Covid-19. Nel marzo 2020 il lockdown ha imposto la chiusura dei luoghi della cultura e dell’arte in Italia come in tanti altri paesi d’Europa e del mondo. Sbarrate le porte, il mondo della cultura ha tentato modalità alternative per restare in contatto con il mondo esterno sfruttando le possibilità offerte soprattutto dalle tecnologie digitali. I luoghi della cultura si sono visti obbligati a sperimentare forme nuove di dialogo con il pubblico, a stabilire nuovi legami con i territori, ad abbattere secolari barriere sociali per raggiungere migliaia di cittadini, a puntare su progetti di crescita sostenibile e di responsabilità sociale. I luoghi d’arte, ha scritto Andrea Pugliese (2020), si sono reinventati “… definendo nuovi format e contenuti: visite virtuali, curatori che diventano narratori, artisti in diretta, aste su Instagram, crowdfunding artistico per la lotta al Covid-19, e gli splendidi tableaux vivants che imitando i capolavori di ogni tempo stanno illuminando le bacheche social di mezzo mondo.

Il Museo Egizio di Torino ha organizzato passeggiate virtuali alla scoperta dei tesori dell’Antico Egitto condotte dallo stesso direttore del Museo Christian Greco; la Cappella Sistina ha creato un tour virtuale con la possibilità di soffermarsi su ogni dettaglio degli affreschi. A Pompei il volo di un drone e la narrazione del Direttore Massimo Osanna hanno accompagnato i turisti nei nuovi scavi nel parco archeologico. Il 7 dicembre 2020, il teatro la Scala di Milano ha celebrato la prima con uno spettacolo chiamato A riveder le stelle, come l’ultimo verso dell’Inferno di Dante. Data l’impossibilità di accogliere il pubblico in teatro, la Scala ha organizzato e diffuso lo spettacolo su diversi canali televisivi. Allo spettacolo hanno partecipato ballerini, attori, professori d’orchestra e artisti del coro. I responsabili del teatro hanno voluto che il 7 dicembre fosse un “… momento di celebrazione della cultura e della bellezza del nostro Paese attraverso la simultaneità di tutte le arti, che è l’opera lirica”. “Siamo in un momento difficile, ha spiegato il sovrintendente Meyer, ma siamo in grado di creare lo stesso delle emozioni”. Al successo di questa serata ha contribuito anche l’uso della realtà aumentata che ha regalato agli spettatori un’esperienza immersiva unica ed ha permesso, ad esempio, a Roberto Bolle di danzare in uno scenario virtuale disegnato dal computer.

  1. Reti digitali di informazione e ricerca

Giulio Blasi, responsabile del servizio MLOL in circa 7.500 biblioteche italiane e straniere per il prestito anche digitale di libri, documenti, dischi, ecc. rileva come il lockdown determinato dalla pandemia abbia favorito enormemente l’estensione del prestito digitale: un fenomeno che in Italia vantava già 1,4 milioni di utenti. Durante il confinamento, scrive Blasi (2020), molti italiani hanno scoperto che biblioteche pubbliche, accademiche, storiche, di conservazione e scolastiche offrono un canale digitale per consultare documenti ed eventualmente prenderli in prestito gratuitamente, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Lo spettro dei contenuti che le biblioteche possono offrire è ampissimo (Blasi, 2020). Se, da un lato, le biblioteche accademiche danno accesso a periodici scientifici, monografie accademiche e banche dati professionali di vario genere, dall’altro lato, le biblioteche di conservazione offrono accesso alle proprie collezioni storiche digitalizzate. Le biblioteche pubbliche, che vantano il maggior numero di utenti pari al 15% della popolazione nazionale, offrono accesso a quotidiani e periodici italiani e internazionali, audiolibri, ebook, musica e film; laddove le biblioteche scolastiche selezionano ed offrono contenuti rispondenti ai diversi e specifici livelli di scolarizzazione di bambini e ragazzi.

Nel 2019, la Direttrice dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane – ICCU – Simonetta Buttò, sviluppava significative riflessioni sulla rivoluzione digitale che già aveva investito la conoscenza e la gestione del patrimonio culturale anche nei settori dell’istruzione superiore e nella ricerca, nella didattica, nella valorizzazione della tradizione culturale italiana. La riflessione di Simonetta Buttò si concentrava sul modo e sulla misura in cui la crescita del digitale nell’ambito del patrimonio culturale si accompagnasse ad una dimensione sempre più“… interdisciplinare e interistituzionale per la crescita del nostro paese in termini di competenza, consapevolezza, partecipazione attiva, sviluppo dello spirito critico soprattutto fra i giovani” (Buttò, 2019). Per poter raggiungere questi obiettivi è indispensabile che le risorse digitali siano stabili e non volatili, accessibili mediante metadati strutturati allineati a standard internazionali che, in prospettiva, le rendano facilmente riutilizzabili da diverse comunità di ricerca e gruppi di utenti. Il primo passo da compiere è quello di migliorare la reperibilità di tali risorse e adottare infrastrutture digitali in grado di interoperare con altre infrastrutture, nazionali, europee ed internazionali (Buttò, 2019). A partire da questo presupposto è possibile porre l’attenzione sulle infrastrutture digitali e di ricerca che rivestono un ruolo estremamente importante nel panorama internazionale della cultura.

La complessità verticale e la capacità di approfondire tipica della cultura del libro sono state decisamente archiviate dalla complessità tutta orizzontale della rete: un hic et nunc sterminato, che pone sullo stesso piano informazioni verificate e fake news, dati della storia e sentimenti della gente, immagini isolate e immagini contestualizzate, verità e post verità, caratterizzato da contenuti testuali minimi, privi di profondità concettuale, accessibili immediatamente, talvolta quasi inconsapevolmente (Buttò, 2019).

Le nuove tecnologie hanno dato un nuovo volto ed impresso un rinnovato sviluppo alle infrastrutture digitali, come ICCU, che consentono l’accesso di un ampio pubblico ad un ricco patrimonio fatto non solo di libri ma anche di conoscenze, immagini, testimonianze ed esperienze (Sciotti e Di Giorgio, 2019). La piattaforma del servizio bibliotecario nazionale, SBN, osserva al riguardo Simonetta Buttò (2019), rappresenta oggi la principale infrastruttura digitale a livello nazionale per l’accesso al patrimonio bibliografico del Paese, che conta ogni anno una media di oltre 60 milioni di ricerche effettuate e decine di milioni di prestiti, per 18 milioni di titoli con oltre 90 milioni di localizzazioni. Ma SBN non è più, ormai da tempo, solo un database bibliografico: come conseguenza della politica di crescente apertura disciplinare accoglie, infatti, una varietà di materiali non librari sicuramente di largo interesse per un pubblico ampio, come ritratti di persone; immagini di luoghi (carte, stampe, fotografie, cartoline, ecc.); autografi e carteggi; documenti; mostre virtuali; oggetti d’arte, cimeli e testimonianze storico-artistiche; e – non trascurabili per qualità e quantità – risorse sonore e audiovisive, come interviste, discorsi registrati, inchieste, documentari, oltre che materiali non pubblicati, come conferenze, appunti, dispense universitarie (Buttò, 2019).

ICCU, di cui SBN fa parte, garantisce il flusso di risorse digitali legate al patrimonio culturale italiano verso il portale europeo Europeana grazie all’aggregatore nazionale Cultura Italia e ad Internet Culturale. Europeana costituisce proprio la piattaforma digitale dell’UE per il patrimonio culturale. Voluta nel 2005 da Jacques Chirac, essa raccoglie informazioni da almeno 3000 istituzioni: dal Rijksmuseum di Amsterdam, alla British Library, al Louvre, fino agli archivi regionali e ai musei locali di ogni stato membro dell’Unione europea. Grazie alla sua estensione, Europeana consente agli utenti di esplorare il patrimonio culturale e scientifico dell’Europa dalla preistoria ai giorni nostri: da La Gioconda di Leonardo a La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, dalle opere di Charles Darwin e Isaac Newton alla musica di Mozart.

L’infrastruttura digitale Europeana è partner di importanti infrastrutture di ricerca quali DARIAH-EU volta a mettere insieme persone, expertise, informazioni, conoscenze, strumenti e tecnologie per sostenere la ricerca interdisciplinare delle discipline umanistiche nel Continente europeo. DARIAH-EU comprende al suo interno altre reti di ricerca nel campo delle scienze umane e confluisce a sua volta all’interno di reti più ampie. Il Forum Strategico Europeo per la realizzazione e la regolamentazione di tali infrastrutture – ESFRI – si è costituito nell’aprile del 2002 grazie alla rappresentanza delle delegazioni nazionali dei 28 stati membri dell’UE e, nel marzo del 2016, ha presentato ad Amsterdam la roadmap delle infrastrutture considerate strategiche per il progresso scientifico europeo. In particolare, ESFRI ha promosso l’European Research Infrastructures for Heritage Science – E-RIHS – quale unica infrastruttura rappresentativa dello sviluppo della scienza per il patrimonio culturale e naturale (Pezzati e Virgili, 2016).

E-RIHS, di cui l’Italia è capofila, è un’infrastruttura di ricerca distribuita, cioè una rete di laboratori e risorse strumentali fisse e mobili altamente avanzati, archivi fisici e digitali all’avanguardia, capillarmente distribuiti sul territorio europeo. Ha una struttura a stella con Central Hub e sede amministrativa a Firenze e National Hubs distribuiti tra i paesi aderenti. Specificamente, E-RIHS è sostenuta da 15 Stati membri UE più Israele e partecipata da altri paesi dell’UE e paesi terzi associati (Pezzati e Virgili, 2016). E-RIHS coinvolge in un’ottica transdisciplinare le scienze esatte e le scienze umane per affrontare i temi e le problematiche legati al patrimonio culturale, naturale e archeologico: dal restauro alla fruizione, dalla conservazione alla valorizzazione, dal monitoraggio alla gestione, dalle esigenze di tutela a quelle del mercato del turismo.

  1. Professioni, competenze e formazione per il digital cultural heritage

Il processo di digitalizzazione del patrimonio culturale ha importanti implicazioni e conseguenze nei settori dello sviluppo dell’economia sostenibile anche in relazione alla creazione di nuovi lavori; nei settori dell’istruzione, della formazione e della ricerca. Le attività, i profili professionali e le competenze legati ai processi di digitalizzazione del patrimonio culturale e artistico appaiono, in primo luogo, estremamente rappresentativi del modello di società e di lavoro 4.0. Essi riguardano infatti dinamiche di dematerializzazione e digitalizzazione; chiamano in causa competenze innovative che nascono dalle interazioni tra sistemi fisici e sistemi virtuali legati ad un mix di skills manageriali, tecnologiche e soft skills; interessano sistemi di economia circolare; sono particolarmente rispondenti ai modelli di occupabilità giovanile proprio perché relativi sia a modelli di sviluppo sostenibile che a competenze innovative e trasversali che fanno parte, in maniera sostanziale, del curriculum e della formazione dei giovani.

Le tematiche connesse ai processi di digitalizzazione dei beni culturali consentono di focalizzare l’attenzione su molteplici domini cui questi beni sono riconducibili: i modelli di diffusione ed i sistemi per la loro crescita ed il loro sviluppo; i sistemi di monitoraggio e conservazione; i profili professionali, le competenze ad essi legate ed i percorsi formativi.

La cura dei ‘luoghi culturali’ richiede tecniche e tecnologie per lo sviluppo e la gestione sostenibile delle risorse territoriali e del turismo; per la protezione ed il monitoraggio; per la riqualificazione architettonica; il restauro, la riqualificazione e la valorizzazione di edifici e luoghi vincolati di elevato interesse storico, culturale e paesaggistico. Specificamente, tecniche e tecnologie avanzate sostengono progetti per la sostenibilità e l’efficientamento energetico; l’analisi della qualità dell’ambiente indoor e outdoor e dei problemi legati al consolidamento strutturale; il monitoraggio geomatico; il design e la progettazione di allestimenti; il web design; il rilevamento e la modellazione 3D; le dinamiche di digitalizzazione, valorizzazione, virtualizzazione e fruizione del patrimonio; il management dei beni culturali e il marketing del no profit. Gli strumenti di monitoraggio e valorizzazione del patrimonio culturale, nella misura in cui riguardano anche la storia e l’evoluzione di discipline scientifiche umane, chiamano in causa anche le scienze e le tecnologie chimico-fisiche, la biologia e la biotecnologia, la storia, l’archeobotanica, l’antropologia molecolare e l’antropologia culturale, le tecnologie specializzate per le scienze dell’antichità, l’archeologia, la storia dell’arte.

La diffusione e il grande sviluppo delle nuove tecnologie moltiplicano le interazioni tra diversi contesti disciplinari, teorici ed applicati, del patrimonio culturale chiamando in causa modelli formativi estremamente diversificati. Nella misura in cui si richiedono competenze di elaborazione di dati, rappresentazioni e interventi su contesti di realtà, la formazione deve essere centrata su modelli di learning by doing. Oltre ad una formazione basata sulla conoscenza di teorie e l’applicazione di tecnologie specifiche, sono importanti attività pratiche svolte nei centri documentali, nei laboratori e nelle reti di laboratori; egualmente importanti sono gli stage presso aziende, imprese, enti e istituti che operano sui territori. Importantissima, osserva il coordinatore delle attività di formazione del Distretto di tecnologie per la cultura della Regione Lazio – DTC Lazio – Giovanni Ragone (2019), è la formazione sulle competenze trasversali, sulla progettazione europea, sull’economia della cultura e le tecnologie emergenti in questo ambito. Le competenze, nell’ambito della digitalizzazione del patrimonio culturale, hanno sempre una natura complessa nella misura in cui implicano una forte interazione tra conoscenze teoriche e conoscenze pratiche. Tali competenze, da un lato, sono legate ad una formazione umanistica orientata anche allo studio della storia, dell’archeologia, delle religioni e del pensiero dei popoli; dall’altro, esse sono legate ad una formazione tecnico scientifica riguardante l’utilizzo di modelli e strumenti matematici e statistici così come l’uso delle tecnologie più avanzate.

Le professioni, legate alle tecnologie emergenti nel settore del patrimonio culturale delineano, in definitiva, una circolarità di competenze e abilità tra le quali è possibile rilevare: esperti del trattamento, della catalogazione e dell’elaborazione dei dati relativi al patrimonio culturale ma anche alle diverse discipline di natura umanistica o scientifica; esperti di storytelling, graphic design, virtualizzazione e gaming per la riscoperta, il recupero e la valorizzazione di siti e musei. Le applicazioni oggi sempre più diffuse di realtà aumentata e virtuale nei musei, nelle gallerie e nei siti d’arte, scrive Andrea Pugliese (2018), rendono l’utente protagonista attivo di storie e percorsi capaci di trasmettere il senso dei luoghi con un linguaggio immediato. Un modello straordinario di valorizzazione dei musei, legato all’applicazione della realtà virtuale e della realtà aumentata, è dato dal Progetto “L’Ara com’era” realizzato per il Museo dell’Ara Pacis di Roma. Qui un racconto multimediale, capace di coniugare storia e tecnologia, consente al visitatore di realizzare una visita immersiva e multisensoriale in cui personaggi, gesti, divinità e animali dell’epoca si animano in 3D per raccontare le origini, la vita ed i colori dell’antica Roma e della famiglia dell’Imperatore Augusto. La realtà aumentata fa sì che lo stesso imperatore Augusto compaia, ad un certo punto, sulla scena per dare la mano ai visitatori.

Il felice connubio tra archeologia e nuove tecnologie, scrive Alessandra Chiappori (2019), ha ispirato la mostra Archeologia invisibile organizzata, da Enrico Ferraris nel 2019, presso il Museo Egizio di Torino. La mostra è stata realizzata in collaborazione con il Politecnico di Milano, il British Museum, La Venaria Reale, con il Music Lab ed il Virtual Experience Design Lab del MIT. In questa mostra gli oggetti non sono “… solo vetrine con luci, ma sono considerati per ciò che sono, ovvero usati, abbandonati, scoperti e arrivati fino a noi” (Chiappori, 2019) come testimonianze e informazioni da decodificare e comprendere. L’archeologia invisibile insegna che non è necessario sbendare le mummie per capire chi vi sia dentro. Visibile e invisibile sono indissolubilmente legati. I corredi di Kha e Merit si fanno vedere grazie a “sbendaggi virtuali”; i corredi funebri animali ci aiutano a conoscere la fauna dell’antico Egitto; papiri, decorazioni murarie, tessuti parlano alle nostre generazioni e parleranno ancora a generazioni future. Il progetto dell’Archeologia invisibile sembra offrire, in definitiva, “il senso profondo dell’importanza della ricerca, e di quanto il futuro e il passato siano in costante dialogo tra loro attraverso gli oggetti umani (Chiappori, 2019)”. 

Al pari degli oggetti, da un diverso punto di vista, i dati parlano dei luoghi culturali e ci aiutano a conoscerli ed a visitarli. L’analisi dei big data consente di acquisire un’enorme mole di dati, feedback, mappe di flussi e relazioni; consente di capire i bisogni, le aspettative e le necessità degli utenti per arrivare a gestire meglio questi stessi luoghi. A partire da tale prospettiva, assumono importanza professioni legate all’uso dell’intelligenza artificiale, all’internet delle cose, all’uso dei big data per poter elaborare grandi quantità di dati o saper interpretare sistemi informativi complessi come, ad esempio, le ore di maggior o minore affluenza ai siti d’arte o il diverso potere di attrazione di specifici domini culturali. Egualmente importanti sono le professioni che chiamino in causa competenze di elaborazione logica, statistica e matematica, esperti di tecniche e tecnologie come la modellazione 3D per la protezione, la conservazione ed il restauro degli artefatti, ma anche esperti di scienze e tecnologie chimico-fisiche, di biologia e di biotecnologie applicate, di antropologia molecolare, di scienze dell’antichità. Sono estremamente rilevanti infine competenze in ambito culturale e artistico anche di natura legale e giuridica; competenze di marketing, manageriali e linguistiche; professioni essenzialmente legate alle soft skills come il pensiero creativo e la capacità di lavorare in gruppo; competenze di mediazione, di leadership e di networking; capacità di usare in maniera creativa le nuove tecnologie e di operare in prospettive interdisciplinari e cross settoriali.

La maggior parte dei lavori oggi, così i lavori legati alla gestione ed alla digitalizzazione del patrimonio culturale, richiedono delle competenze che sono difficilmente riconducibili ad un titolo di studio rilasciato da un’università. I ragazzi debbono formarsi all’interno di una prospettiva sistemica, debbono saper sviluppare l’intelligenza digitale, l’intelligenza sociale, l’empatia che consente loro di portare avanti progetti comuni, la capacità non solo di adattarsi al cambiamento ma anche di trovare soluzioni che vanno al di là, la resilienza, la creatività, la transdisciplinarietà. Tutto questo con l’obiettivo di trovare nuove risposte e di generare nuovi valori. I sistemi dell’istruzione e della formazione in stretto contatto con i sistemi delle professioni e del lavoro debbono saper rispondere alla mission di insegnare ai ragazzi a mettersi in gioco, ad avventurarsi in percorsi di costruzione e ricostruzione in un mondo imponderabile.

L’insegnamento dovrebbe basarsi sull’apprendimento attivo e “… tra i pilastri dell’apprendimento spicca l’interdisciplinarietà sistematica. L’idea di fondo è che se le conoscenze e le discipline umane continuano ad ampliarsi, è sempre più facile che generino ponti e connessioni tra loro. Bioinformatica, economia comportamentale, neuroscienze computazionali, neuro marketing sono esempi di campi di studio contaminati” (Xhaet, 2020, p. 46). Negli ultimi anni si è affievolita anche la separazione tra le lauree di indirizzo scientifico definite STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics – e lauree umanistiche e sociali per arrivare a delineare l’insieme delle lauree STHEAM che integrano anche l’arte, il design e le scienze umane. Questo, secondo la Carta di Pietrelcina (DiCultHer, 2019), “… rappresenta la naturale evoluzione indispensabile a favorire un approccio che pone alla base dell’innovazione la rimozione delle barriere disciplinari, per guidare l’attitudine al cambiamento verso la consapevolezza che il digitale, dopo esserne stato una formidabile leva, può diventarne il motore alimentato da un’energia realmente sostenibile”. Non appare dunque essenziale la distinzione tra hard skill e soft skill, ma serviranno competenze nuove al confine tra le attuali capacità tecniche, manageriali e empatiche per consentire ai lavoratori di reinventarsi di fronte alle innovazioni tecnologiche (Xhaet, 2020, p. 52 – 53).

Si calcola che il 65% degli studenti delle scuole superiori faranno lavori che non sono stati ancora inventati. É importante dunque formare i ragazzi non per fare un lavoro specifico ma fornire loro le competenze per vivere in un mondo estremamente complesso. Le competenze abilitanti per la ricerca del lavoro oggi debbono essere prioritariamente strategiche o trasversali; debbono essere strumenti flessibili che ogni individuo può rimettere in gioco, ridefinire secondo le esigenze e le variazioni del proprio contesto, personale e professionale, di riferimento. É altresì opportuno sottolineare l’importanza che i giovani acquisiscano competenze diagonali: competenze costruite sia grazie a ragionamenti induttivi che deduttivi; sia attraverso sistemi intuitivi, impulsivi, associativi che attraverso sistemi riflessivi, critici, selettivi. Le competenze diagonali oggi vengono richieste in tanti ambiti e in versione punto zero nella misura in cui le nuove tecnologie sono degli amplificatori di valore. Queste competenze vengono richieste al cuoco, che pubblicizza le sue creazioni online, così come all’agricoltore le cui attività sono basate ormai in larga misura sull’uso di processi e prodotti innovativi come l’utilizzo dei droni e dei robot per il monitoraggio e l’annaffiamento dei terreni.

Le competenze da acquisire per i lavori del futuro sono anche trasformazionali come quelle legate ad esempio all’internet of things, vale a dire alle interazioni e alle comunicazioni sempre più strette tra le nuove tecnologie e l’uomo. Se si considerano le sfide legate all’occupabilità e alle innovazioni che i giovani debbono affrontare, bisogna pensare ad una formazione che non insegni loro “le cose” ma il modo in cui andare a cercarle (Pepe, 2017). La tecnologia non deve essere uno strumento abilitante nel praticare qualcosa ma uno strumento che abilita a un nuovo stile di vita, a un nuovo modo di affrontare il mondo del lavoro in continuo mutamento nel quale i giovani non sanno cosa dovranno fare nel futuro, sanno che dovranno continuamente mettersi in gioco ed è questo che bisogna saper trasmettere a loro.

“Non sempre, osserva Terrinoni (2020), ci ricordiamo che la parola ‘tecnologia’ è legata alla técne, ovvero all’arte come ‘perizia del saper fare’ e che il termine scienza… originariamente raccontava della conoscenza in generale”. Agli inizi del seicento, Giovanni Florio, traduttore in inglese di Montaigne e Boccaccio, ed amico di Giordano Bruno, ebbe a dire che dalla traduzione nasceva ogni scienza. Florio con il termine traduzione intendeva non solo il passaggio da una lingua ad un’altra, ma la comunicazione, la trasformazione, la condivisione. Giordano Bruno era un umanista a tutto tondo, al contempo letterato, poeta, drammaturgo, scienziato, astronomo e mago. Come tutti gli umanisti, vedeva nella scienza un insieme indistinto di saperi tra i quali non esistevano frontiere e che avevano senso solo nell’essere comunicati. Gli umanisti non credevano alle distanze tra i saperi, né a quelle tra le persone… “L’umanesimo… non sottolineava l’esistenza di confini, perché la mente, come forse anche internet, e di certo alla stregua dell’universo intravisto nella sua infinitudine da alcuni rinascimentali, di confini proprio non può averne (Terrinoni, 2020)”. 

L’innovazione, nella prospettiva del filosofo Luciano Floridi (2020a), va intesa oggi come design, vale a dire come progetto. Occorre sviluppare e perfezionare l’approccio costruzionista per rispondere ai vecchi ed ai nuovi problemi filosofici e per tentare di migliorare il mondo in cui viviamo e, a questo riguardo, lo stesso Floridi (2020b) suggerisce la combinazione di due progetti riconducibili in termini metaforici a due colori: il verde e il blu. Il colore verde indica non solo l’importanza di proteggere l’ambiente naturale ma di salvaguardare anche l’ambiente costruito dall’uomo, l’ambiente urbano, l’ambiente inteso a 360 gradi; il colore blu, più precisamente il blu elettrico, indica invece le nuove tecnologie, internet, l’intelligenza artificiale, tutti quegli strumenti legati all’innovazione ed alla digitalizzazione che ci consentono di vivere e interpretare questo mondo e potrebbero rappresentare ed offrire validi strumenti per uno sviluppo reale e sostenibile.

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Dunia Pepe è ricercatrice in INAPP, dove si occupa di professioni e competenze per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile, e professore presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Collabora con la Rivista AgendaDigitale.eu. Tra gli altri libri ha pubblicato, nel 2010, Apprendimento e nuove tecnologie (con V. Castello, FrancoAngeli, Milano) e, nel 2001, Le parole nel tempo (con D. De Masi, Guerini, Milano).

Debora Vitali è pedagogista specializzata in disabilità uditiva, DSA e autismo. Collabora con Dunia Pepe presso l’Università di Roma Tre per l’insegnamento del Laboratorio di metodologie della formazione professionale.