“Oltre la Scuola 4.0: gli ambienti di apprendimento innovativi”

Intervista a Loredana De Simone e Gabriele Benassi (*)

A partire dal libro “Oltre la Scuola 4.0: gli ambienti di apprendimento innovativi”

Introduzione redazionale

In un tempo in cui il dibattito sull’innovazione scolastica rischia spesso di ridursi a una questione di strumenti o di fondi, il libro “Oltre la Scuola 4.0” di Loredana De Simone e Gabriele Benassi propone una riflessione lucida, appassionata e concreta sugli ambienti di apprendimento come spazi educativi integrati, dove il digitale si intreccia con le emozioni, la relazione, la progettazione consapevole e la cittadinanza.

Abbiamo chiesto agli autori di guidarci in alcuni dei temi chiave affrontati nel volume, per aiutarci a capire meglio cosa significhi davvero andare “oltre la scuola 4.0”.

  1. 1. Il vostro libro invita ad andare “oltre la Scuola 4.0”. Cosa significa per voi superare il PNRR, e cosa rischiamo se ci fermiamo alla dimensione infrastrutturale dell’innovazione?

Il rischio forte è di  aver attivato un processo di apparente innovazione che si limita alla trasformazione digitalizzata delle aule ma non alla pratica didattica che è la vera leva del cambiamento e della qualità dei processi di insegnamento e di apprendimento. È questo il senso del nostro guardare oltre, la necessità di incardinare gli investimenti copiosi del PNRR in un pensiero pedagogico didattico. Altrimenti tutto diventa un’occasione epocale sprecata.

  • 2. Parlate spesso di “ecosistemi di apprendimento”. Quali sono, secondo voi, le caratteristiche essenziali per rendere la scuola davvero un ecosistema educativo inclusivo e generativo?

È necessario e urgente ripensare la scuola nella sua essenza organizzativa e didattica, se vogliamo davvero formare e donare all’odierna e futura società cittadini competenti, capaci di vivere in modo consapevole e costruttivamente critico. Questo richiede un ripensamento dell’ambiente di apprendimento, da concepire in una visione pedagogica ampia e articolata. Il concetto di ecosistema educativo restituisce efficacemente l’idea di un contesto pedagogico-didattico tessuto di elementi interconnessi e in equilibrio tra loro: oggetti del sapere, relazioni sociali, emotive e cognitive, processi di apprendimento e insegnamento, stili cognitivi differenti, risorse analogiche e digitali. Ripensare strategicamente il contesto formativo in questa prospettiva significa creare le condizioni affinché ogni alunno possa esprimere pienamente le proprie potenzialità, non solo cognitive, ma anche emotive, relazionali e creative.

Solo così si possono attivare percorsi di apprendimento autentici, che emozionano, motivano e orientano, accompagnando ciascuno nella costruzione del proprio Progetto di vita. E questa è la vera inclusione scolastica: non solo non lasciare indietro nessuno, ma accogliere tutti e valorizzare ciascuno, consentendo ai talenti di emergere e di contribuire, con unicità e responsabilità, al bene comune.

  •  In che modo l’integrazione fra analogico e digitale può aiutare a costruire una cittadinanza culturale e digitale consapevole?

Viviamo in una società onlife, citando Luciano Floridi. L’integrazione fra le due dimensioni è quotidiana, condivisa nella vita di tutti noi. Non dobbiamo ragionare su una dicotomia fra reale e virtuale perchè anche il digitale è reale. Si tratta di imparare a “stare al mondo” nelle due dimensioni, che si integrano e si potenziano. L’idea che il digitale sostituisca l’analogico è un’idea smentita dall’esperienza di questo decennio; siamo in presenza di una ibridazione continua in cui anche la cittadinanza digitale è parte integrante e integrata all’educazione civica. Non è un caso che la legge 92/2019 prevede la cittadinanza digitale fra le tre aree fondamentali da sviluppare. Non è oggi possibile separare  le due dimensioni, anzi dobbiamo aiutare le nuove generazioni ad avere consapevolezza di come anche il digitale richieda consapevolezza e responsabilità, la stessa consapevolezza e responsabilità che abbiamo nella dimensione fisica. Il perno su cui fare leva è il cittadino che va educato a vivere al meglio le due dimensioni e ad esserne pienamente consapevole. In questo senso la bussola del Digcomp 2.2 è fondamentale proprio nell’andare a definire quelle che sono le competenze digitali fondamentali, molte delle quali sono competenze anche etiche.

  • 4. Che ruolo può avere l’Intelligenza Artificiale – anche alla luce del DigComp 2.2 – nella personalizzazione e nella valutazione dell’apprendimento?

L’Intelligenza artificiale ha già un impatto sugli apprendimenti e sulla didattica, solo che molti docenti e dirigenti sembra non se ne rendano conto. Oggi continuiamo a proporre verifiche e prove d’esame di venti anni fa quando là fuori il mondo è totalmente diverso. Questa accelerazione, già importante con l’avvento del digitale, ora con l’introduzione dell’IA diventa imponente. Non possiamo  pensare di saper gestire in modo efficace e responsabile l’IA senza avere come prerequisito di base delle buone competenze digitali e questo è un rischio tangibile, quello di lasciare le nuove generazioni completamente sguarnite di strumenti culturali e operativi per poter approcciare l’IA in modo consapevole, attivo e responsabile. Detto questo, certamente l’IA può diventare un assistente didattico per l’insegnante, aiutandolo nella personalizzazione, nella documentazione e nello sviluppo delle attività didattiche. I chatbot personalizzati potranno sostenere gli apprendimenti diventando strumenti fortemente inclusivi, di scaffolding e accompagnamento delle strategie cognitive ed esecutive dei nostri studenti.  Consiglio la lettura dei recenti documenti UNESCO: “Guidance for generative AI in education and research” del 7/09/2023 e i relativi framework per i docenti e per gli studenti sull’utilizzo dell’IA a scuola.  Sono un punto di partenza fondamentale per la riflessione.

  • 5. In che misura il digitale può contribuire alla cura del patrimonio culturale, anche attraverso una didattica orientata all’etica e alla sostenibilità?

Il digitale può contribuire in modo significativo alla cura del patrimonio culturale, a patto che sia integrato in una didattica che unisca conoscenza, etica e sostenibilità. Non si tratta semplicemente di digitalizzare archivi o realizzare tour virtuali, ma di educare le nuove generazioni a prendersi cura del patrimonio culturale come bene comune, valorizzandolo con strumenti digitali che stimolino la partecipazione, la creatività e la responsabilità.  Una didattica etica e sostenibile promuove competenze critiche: i ragazzi imparano a interrogarsi non solo su cosa si può fare con il digitale, ma su cosa è giusto fare, come rappresentare in modo rispettoso un monumento, una tradizione, un paesaggio. Questo richiede l’integrazione tra educazione al patrimonio, cittadinanza digitale e pensiero ecologico. Il digitale, così inteso, diventa un ponte tra passato e futuro: uno strumentum cogitandi che consente agli studenti di entrare in dialogo con la memoria, di restituirle voce, e di immaginare nuovi modi di abitarla e custodirla, anche nel contesto delle trasformazioni ambientali e sociali del nostro tempo.

  •  L’intelligenza socio-emotiva e le life skills occupano uno spazio importante nel libro. Come possiamo formare i docenti a integrare davvero la dimensione emotiva nella pratica educativa quotidiana?

Domanda stupenda, perché è proprio questo il nodo centrale della questione: la società cambia, gli studenti sono diversi, e i docenti hanno bisogno di sviluppare o rimodulare le proprie competenze professionali, andando oltre la semplice padronanza della disciplina, come accadeva fino a pochi anni fa. Oggi, troppo spesso, gli insegnanti si trovano di fronte a ragazzi demotivati, privi di impegno, di desiderio di apprendere e spesso profondamente disorientati. Anche i docenti, però, hanno bisogno di ritrovare motivazione nell’insegnamento, e questo può avvenire solo attraverso una formazione intesa come ricerca e sperimentazione didattica. Una formazione capace di tradurre in pratica i principi pedagogici che stanno alla base di una didattica emozionale, orientante e motivante, capace cioè di accendere il senso, la relazione e il desiderio dentro e fuori l’aula.

  • 7. Cosa significa, concretamente, educare attraverso le emozioni in una scuola che è anche sempre più digitale?

È proprio attraverso una didattica emozionale che gli studenti possono apprendere in modo consapevole ed equilibrato, anche grazie al digitale. La digitalizzazione è un processo inesorabile che ha investito ogni ambito della nostra esistenza, e anche i nostri alunni ne vivono quotidianamente gli effetti, spesso senza filtri né guida. In questo scenario, il docente rappresenta l’anima pedagogica del processo di insegnamento e apprendimento: è lui, con la sua presenza empatica e consapevole, a poter accompagnare gli studenti in percorsi di esplorazione non solo conoscitiva, ma anche emotiva. Solo il docente, infatti, può riaccendere la meraviglia – nel senso più alto e aristotelico del termine – emozionando in modo riflessivo attraverso il sapere disciplinare. La sua funzione non è solo quella di trasmettere contenuti, ma di generare significato, coltivare domande, accendere passioni.

In un mondo digitale, educare alla meraviglia è forse la sfida più alta e necessaria che la scuola può assumere.

  • La vostra proposta insiste su una nuova “postura” del docente. Come si costruisce questa postura? Quali resistenze incontrate nei vostri percorsi formativi?

Il docente è il grande professionista capace di rimettersi sempre in gioco e di affrontare le sfide poste dai cambiamenti: oggi occorre fornire ai docenti occhiali nuovi per guardare secondo prospettive differenti uno dei mestieri più antichi del mondo. Le eventuali resistenze incontrate svaniscono nel momento in cui i corsisti si sentono motivatamente coinvolti in epserienze formative concrete e stimolanti.

Con il termine “postura” intendiamo la capacità di rimanere in contatto con se stessi, con il proprio ruolo e la propria missione, con una visione contemporanea degli apprendimenti e del mestiere dell’insegnante che certo affonda le radici nelle discipline ma che deve avere uno sguardo avanti. Don Milani nella lettera ai giudici scrive “E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. La postura deve avere le radici nelle discipline ma anche prevedere uno slancio di fiducia negli studenti,nel loro presente e nel loro futuro. Deve comprendere “mani, cuore e testa” anche da parte dell’insegnante, in una partecipazione autentica alla mediazione educativa.

  • Come possiamo favorire un’integrazione autentica tra STEM e Humanities per sviluppare competenze trasversali in modo non artificioso?

L’integrazione autentica tra STEM e Humanities non si ottiene sommando contenuti disciplinari, ma progettando esperienze didattiche capaci di generare senso. In altre parole, dobbiamo uscire dalla logica dell’incastro tra materie per abbracciare una visione educativa sistemica, dove ogni disciplina contribuisce alla comprensione della realtà nella sua complessità. L’approccio STEAM non è un’etichetta, ma un cambio di paradigma: promuove ambienti di apprendimento in cui matematica, scienze e tecnologia si incontrano con la narrazione, l’etica, l’immaginazione. Un ponte tra il rigore dell’analisi e la profondità della riflessione. Questo approccio consente lo sviluppo di competenze realmente trasversali – pensiero critico, creatività, empatia, collaborazione, consapevolezza etica – che non sono generiche “soft skills”, ma competenze profonde, necessarie per affrontare le sfide globali, dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale. Per evitare un’integrazione artificiosa, è essenziale innanzitutto lavorare su compiti autentici che abbiano impatto sulla realtà (progetti legati al territorio, alla sostenibilità, alla cura del patrimonio culturale); ancora, è necessario costruire alleanze tra docenti di diverse aree disciplinari, non per coordinare “moduli” paralleli, ma per co-progettare percorsi significativi, capaci di connettere logica e bellezza, dati e storie, linguaggi e valori; è auspicabile promuovere il protagonismo degli studenti, offrendo loro situazioni-problema complesse da affrontare con strumenti cognitivi diversi, dove l’arte diventa lente interpretativa e la scienza chiave operativa. Solo un’educazione che mette al centro la persona – nella sua dimensione cognitiva, etica, emotiva e sociale – può formare cittadini capaci di abitare un mondo interconnesso con intelligenza, responsabilità e visione. STEM e Humanities, insieme, ci aiutano a costruire teste ben fatte, non solo ben piene, citando Morin.

  1.  Che ruolo ha l’educazione estetica nei processi di apprendimento significativo e motivato?

Schiller associava la formazione estetica con la libertà del soggetto ed in questa espressione rivive l’essenza dell’apprendere all’apprendere di un’educazione che diviene estetica perchè  si sviluppa attraverso esperienze che restituiscono il senso profondo del bello e dell’appartenenza a quella bellezza e i  giovani più che mai oggi hanno bisogno di riscoprire questo legame profondo esistemte tra cognizione, emozione, bellezza, morale per viverla nella sua pienezza.

  1. Quali sono, secondo voi, i rischi maggiori di una “innovazione senza visione”? E cosa possiamo fare per trasformare il cambiamento tecnologico in vera innovazione educativa? 

Un’innovazione senza visione rischia di ridurre l’esperienza educativa a una somma di tecnologie e strumenti, senza cura per il contesto, le relazioni, la crescita integrale della persona. Quando il digitale viene applicato senza un pensiero pedagogico forte, può trasformarsi in una scorciatoia apparente: si moltiplicano le piattaforme, ma si perde il significato dell’apprendere; si inseguono le novità, ma si smarrisce il senso profondo dell’educare. Cosa possiamo fare allora per trasformare il cambiamento tecnologico in vera innovazione educativa? La risposta sta nel rimettere al centro la visione, cioè l’idea di scuola che vogliamo costruire. Una scuola inclusiva, generativa, capace di attivare la curiosità, il pensiero critico e il desiderio di contribuire al bene comune. E questa visione va declinata nelle pratiche concrete che abbiamo delineato nel nostro libro:

  • Formare docenti consapevoli, capaci di scegliere e non solo di usare gli strumenti, che si pongano domande di senso prima di introdurre tecnologie: A cosa serve questo strumento per i miei studenti? Quali competenze sviluppa? Quale forma di cittadinanza educa?

  • Coltivare metodologie attive che sfruttano il digitale per costruire conoscenza, non per somministrarla: narrazione multimediale, coding unplugged, realtà aumentata, making, intelligenza artificiale al servizio della creatività e del pensiero critico.

  • Promuovere un’ecologia dei saperi, dove il digitale non isola ma connette: un ambiente didattico in cui le Humanities dialogano con le STEM, le emozioni con la logica, le esperienze con i concetti.

  • Educare all’etica del digitale, perché gli studenti non siano solo utenti ma cittadini digitali, capaci di scegliere, valutare, proteggere sé stessi e gli altri, riconoscere i limiti e le potenzialità dell’algoritmo.

In questo modo, il digitale non diventa un fine, né una moda, ma uno instrumentum cogitandi: un mezzo per pensare, creare, comunicare, apprendere insieme. Una vera innovazione educativa nasce da qui: da una visione chiara e condivisa di ciò che vogliamo diventare come comunità educante, non da ciò che semplicemente possiamo acquistare.

  1.  Se poteste lanciare una vostra personale Call for Action per una nuova scuola post-digitale, cosa proporreste in tre parole-chiave?

Progettazione, didattica estetica-motivazionale, contemporaneità

Conclusione redazionale / Invito alla lettura

L’intervista si inserisce in un percorso di ascolto e confronto che la nostra rivista promuove per alimentare una cultura della scuola fondata su visione, consapevolezza e responsabilità. Il libro “Oltre la Scuola 4.0” è un invito a educatori, dirigenti, formatori e studenti a rileggere il cambiamento in atto con occhi nuovi. Un testo ricco di spunti, strumenti e domande che interrogano non solo il “come”, ma soprattutto il “perché” dell’educare oggi.

(*) Gli Autori

🖋️ Loredana De Simone è Dirigente Scolastica, esperta-formatrice a livello nazionale su tematiche legate alla valutazione, alla progettazione di ambienti di apprendimento e alle metodologie didattiche innovative e inclusive. Collabora con enti di formazione e con l’editoria scolastica, portando avanti da anni attività di ricerca e sperimentazione nei diversi ordini e gradi di scuola.

🖋️ Gabriele Benassi è docente di Lettere e membro delle Equipe formative territoriali e del  Servizio Marconi TSI dell’USR Emilia-Romagna. Formatore e innovatore didattico, è stato consulente presso il Ministero dell’Istruzione e scrive per diverse riviste del settore, tra cui ‘Fare l’Insegnante’. È cultore della materia in didattica della lingua italiana presso l’Università di Bologna.