Il Convento di Celestino V di Ripalimosani – Qualche ipotesi per il futuro

di Giuseppe di Fabio

Sono nato a Ripalimosani nel 1949 e dal 1956  vivo a Campobasso, dove la mia famiglia si è trasferita dopo l’emigrazione di mio padre in Venezuela e l’inizio del lavoro di mia madre presso  un pastificio del Capoluogo.  Dal 2013 ho ripreso dei contatti in qualche modo strutturati con la comunità Ripese attraverso impegni sociali che avevano per riferimento il Convento di Celestino V.

Il passaggio della proprietà di tutto il Convento dagli Oblati al Comune rappresenta un momento importante per il futuro di un complesso che è edificio, chiesa, impianti sportivi, terreni agricoli, area verde attrezzata, impianto arboreo di un qualche pregio. Il Convento appartiene alla storia della comunità locale ed al vissuto di tanti cittadini che nei padri Oblati hanno trovato un sostegno nel percorso di  formazione e di crescita umana e cristiana. In mia madre Filomena, nata nel 1931,  resta sempre vivo il ricordo di padre Abramo, in tanti altri il valore umano e sociale dei rapporti con i diversi padri che nel corso di quasi un secolo sono stati  protagonisti di una significativa presenza nel Convento e nel Paese.

La memoria di questa presenza va conservata con sentimenti di gratitudine, anche attraverso una rilettura nella società attuale del messaggio cristiano che il fraticello molisano, poi papa Celestino V, volle lanciare nelle terre di Molise ed a Ripalimosani. E’ il passaggio di un testimone da vivere nella continuità del significato civico e religioso del luogo, ma anche nella libertà di sentirsi pienamente titolati a ri-disegnarne il significato e la funzione nell’odierno cammino di sviluppo della comunità locale.

Il sogno dei padri Oblati

E’ una struttura che consente, come giustamente  indica il sindaco Marco, di sognare alla grande: al Convento la comunità può veder soddisfatte in modo adeguato le sue esigenze civiche, sociali, culturali e religiose. Questo richiede la capacità di gestire con lungimiranza e gradualità un progetto di valorizzazione di quel luogo; il sogno affida ad una raffigurazione pittorica la preveggente visione d’insieme di dipendenti comunali occupati  nel loro lavoro,  giovani impegnati in una partita di calcetto, bimbi che giocano nell’area verde, anziani a passeggio, operai impegnati nella cura del verde e dell’orto, volontari e operatori socio-culturali presenti per realizzare i loro programmi associativi.

Era un sogno che gli Oblati hanno cercato di realizzare dall’anno di acquisto della struttura nel 1936 ad oggi. Sono evidenti i segni di questo sogno nell’area esterna: i tanti alberi orgogliosi di mostrare la targhetta della loro denominazione; il viale del cammino verso la grotta della Madonna di Lourdes; il percorso arboreo che affianca la salita verso l’accogliente collinetta ove poter sostare e meditare ai piedi del Cristo crocifisso; il giardino con una varietà di piante che racconta ed è testimone dell’impegno missionario degli Oblati in terre lontane; il piccolo ed autonomo fabbricato utilizzato quale falegnameria e struttura di servizio; un giardino con l’angolo ristoro ove era ubicata una efficiente struttura in legno; infine, gli impianti sportivi che costituivano quasi la porta d’ingresso dei giovani al Convento, l’invito a lavorare per  la loro crescita fisica e spirituale. La prevalenza di una connotazione etico-religiosa è evidente, ma credo appartenga al comune sentire il riconoscimento anche di una funzione civica svolta dai padri Oblati a Ripalimosani.

La partenza degli Oblati è stata determinata dalla necessità di ridisegnare e ridurre per il calo di vocazioni religiose la loro presenza nel territorio italiano. Perché non fosse un abbandono hanno voluto e promosso una assunzione di responsabilità da parte di laici nella utilizzazione della struttura per attività sociali. L’associazione Bimbononno ha ospitato in un’ala del Convento per vari anni, oggi non più, una comunità socio-educativa per minori; nel 2012  p. Carlo sollecitò la costituzione di Manhu  nell’intento di consegnare la struttura del Convento ad  organismi sociali impegnati nella “valorizzazione della persona umana e nell’offerta di servizi per il soddisfacimento dei bisogni della comunità e del perseguimento di condizioni di ben-essere”.

L’associazione Man hu

In Manhu sono impegnato dal 2013, tentando di essere interprete della mission che gli Oblati avevano individuato ed inteso affidarle: operare alla necessaria riconversione in senso civico della struttura conventuale, perché continuasse ad essere riferimento per la comunità locale, attraverso attività sociali capaci di confrontarsi anche con il problema della sostenibilità economica. Per queste ragioni nell’intento dei soci fondatori dell’associazione rientrarono due obiettivi prioritari: destinare ad attività di accoglienza il primo piano del Convento realizzando un ostello per il turismo religioso; impegnare per attività socio-educative alcuni ambienti del piano terra attraverso l’organizzazione di una ludoteca.

Un impegno non semplice per gli investimenti richiesti dalla necessità di adeguare la struttura per renderla idonea ad ospitare le attività di accoglienza e di ludoteca. L’impegno finanziario è stato di oltre 100mila euro, che è stato possibile sostenere grazie a contributi degli Oblati e della Regione Molise. nonché, è opportuno sottolinearlo, alle economie di gestione rese possibili dall’attività di accoglienza degli immigrati.  Tale attività è stata avviata nel 2014 certamente ed in primo luogo, senza alcun dubbio, per scopi umanitari;  perché finanziata dal Ministero dell’Interno, però,  ha avuto il risvolto positivo di consentire un ricavo dai posti letto disponibili al primo piano  del Convento.

Manhu in questi anni ha potuto fare fronte, oltre che alle spese di investimento,  alle spese gestione, ovvero di manutenzione ordinaria e straordinaria della strutture, per le utenze di luce e gas  valutabili in oltre  10mila euro l’anno, grazie alle entrate rinvenienti dall’accoglienza immigrati e dai campus estivi di carattere musicale e sportivo.

Comunità patrimoniale

Ho richiamato l’esperienza dell’associazione Manhu per proporre due ordini di considerazioni, concernenti da un lato la valorizzazione del bene in questione e dall’altro la sostenibilità di quanto attiene alla sua utilizzazione, aspetti connessi perché l’idea di valorizzare un bene non può essere slegata da quella che riguarda la sua gestione.

L’idea del sindaco Marco ha sullo sfondo una comunità che quella struttura la senta sua e la veda non solo quale luogo deputato a funzioni amministrative, ma anche come spazio che accoglie le esperienze sociali e culturali locali. I padri Oblati percepivano fosse questo il nodo del passaggio del Convento da una funzione etico-religiosa ad una di carattere civico. Non si tratta, quindi, di discutere della organizzazione di una nuova “casa del Comune”, ma di una “casa comune”, ovvero di un luogo che venga percepito come patrimonio comune  ed in tal senso valorizzato ed utilizzato.

Un percorso di recupero di valori comuni che è possibile affrontare guardando con attenzione agli itinerari operativi proposti dalla Convenzione di Faro che introduce molte novità in tema di valorizzazione del patrimonio ed apre prospettive al concetto di  “comunità patrimoniali”, ovvero di  comunità completamente integrate e partecipi della vita sociale, i cui membri si riconoscono sulla base di interessi e priorità comuni per la propria vita, per i luoghi e le opere che la testimoniano.

“La Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società –afferma la prof.ssa Letizia Bindi, docente presso l’Università del Molise e presidente dell’associazione DiCulther-Faro Molise- insiste sul diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale. La Convenzione si focalizza, in molteplici articoli e passaggi del proprio testo, sulla funzione non divisiva ma al contrario inclusiva, dialogica, multiculturale dei patrimoni bio-culturali, in forte contro tendenza con quanti hanno esercitato ed esercitano un “uso” dei patrimoni culturali come forma di rivendicazione identitaria aggressiva e di proprietà esclusiva, non circolare in termini di accesso alla cultura e uso condiviso e sostenibile delle risorse, siano esse materiali o immateriali”.

Cooperativa di comunità

Questo percorso può trovare riscontro concreto nella scelta di uno strumento operativo che riguarda la costituzione di una cooperativa di comunità. Cos’è  la cooperativa di comunità? “La cooperativa di comunità –afferma Legacoop- è un modello di innovazione sociale dove i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi, è un modello che crea sinergia e coesione in una comunità, mettendo a sistema le attività di singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni rispondendo così ad esigenze plurime di mutualità. La cooperativa di comunità ha come esplicito obiettivo quello di produrre vantaggi a favore di una comunità alla quale i soci promotori appartengono o che eleggono come propria. Questo obiettivo deve essere perseguito attraverso la produzione di beni e servizi che incidano in modo stabile e duraturo sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità”.

Nel caso specifico questa scelta comporterebbe che, fatti salvi gli spazi che l’amministrazione comunale riserva per la propria attività istituzionale, ambienti interni, spazi esterni, impianti sportivi potrebbero avere una gestione di tipo cooperativistico, che vede presenti i diversi a soggetti sociali che ne organizzano la fruizione, in base a parametri economici concordati, per attività sociali e culturali. Esperienze di eccellenza in Italia esistono in varie Regioni. Perché non consegnare la realizzazione del sogno  alla scelta di  questo percorso culturale e sociale innovativo?

Vi è un risvolto positivo di non poco conto da considerare che interessa le priorità e le modalità individuate a livello nazionale per finanziare progetti integrati di sviluppo territoriale, per promuovere la crescita sociale ed economica delle comunità locali: favorire forme di intervento che prevedono una collaborazione tra pubblico e privato. E’ un percorso innovativo che ha trovato nell’art. 151 del Nuovo codice dei Contratti pubblici la previsione di procedure privilegiate e semplificate per la promozione di forme di intervento di cooperazione per la valorizzazione del patrimonio culturale.  In concreto si guarda alla attivazione di forme speciali di partenariato tra enti pubblici e soggetti privati dirette a consentire il recupero, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione dei beni culturali immobili. Il Convento di Celestino V potrebbe essere il luogo simbolo di una vita comunitaria vissuta nel segno di un’intesa partenariale speciale pubblico-privata capace di ricondurre ad unità le esigenze di una comunità locale  di carattere civico, sociale, culturale, economico, nonché religioso, considerata anche la presenza della Chiesa. Credo che Celestino V si sentirebbe partecipe di questo obiettivo, pensando che la capacità innovativa dei Ripesi, attraverso la costituzione di una cooperativa di comunità, ha tradotto nella modernità la sua idea di azione sociale che uomini del XIII secolo affidarono alla promozione delle “Fraterne” società di solidarietà.

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