Carmela Albanese sugli Sguardi Divergenti dall’esterno all’interno

a cura di Elisabetta Betty L’Innocente


Un webinar de La scuola allo schermo condotto da Francesca Caprino

https://indire.webex.com/recordingservice/sites/indire/recording/48126d196738103abd6e005056827143/playback?fbclid=IwAR3KBaySVNJFDHDiame3QTZzSLSRAx_c8kLXJpCJNgWcNxxrSnzghI5o-Lg


Abstract
Hype is what discourse proliferates upon, appearing at a given moment in the centre of public attention. It’s certainly proper to talk about hype regarding autism, since a once rare diagnosis has become the most controversial issue in the world of disability in just a few decades. Autism is not simply a diagnosis, but a horizon of meaning that largely transcends the medical discourse that has generated it, it is a cultural object which is gradually expanding. This article deals with the work of authors who have developed a wider contextualisation of autism, giving rise to the specific field of Disability Studies called Critical Autism Studies. By analysing texts by authors like Ian Hacking, Majia Holmer Nadesan, Roy Grinker, Gil Eyal and Francisco Ortega, a set of themes and perspectives emerges, which are useful for thinking about autism and its cultural and social relevance
.

L’autismo come oggetto culturale: i Critical Autism Studies
Enrico Valtellina
PhD, Componente Gruppo di Ricerca Inclusione Disability Studies Italy, Università Roma Tre



Conosciamo Carmela Albanese

Carmela Albanese esperta cinema e media education 

Laureata con lode in Scienze del Patrimonio Audiovisivo e dell’Educazione ai Media all’Università di Udine (Sede Gorizia) con percorso internazionale IMACS (International Master in Audiovisual and Cinema Studies, svolto presso l’Université Paris Nanterre e l’Université Sorbonne Nouvelle) e tesi interdisciplinare: Autismo e immagini in movimento – Rileggere la neurodiversità tra gesti divergenti e animismo cinematografico. Precedentemente si laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (Cinema, TV e Nuovi Media) a Roma Tre. Negli anni addietro si forma in varie arti performative e come Operatrice di Teatro Sociale (OTS), ma anche come Figurinista di Moda e Sceneggiatrice (cinema e serie). Ha inoltre svolto ulteriori attività formative post-universitarie in campo didattico, socio-letterario e psico-pedagogico, con particolare attenzione per il complesso ambito degli autismi, attraverso vari approcci teorici (seminari legati al tema della neurodiversità, laboratori di analisi comportamentale e corsi di Comunicazione Aumentativa Alternativa). Di recente ha collaborato con la rivista Ibridamenti con l’articolo Autistico, ma non come Rain Man, da cui è tratto anche il suo intervento alla “non-conferenza” AUTCamp. Attualmente svolge servizio di assistenza scolastica.

Ian Hacking nel 2010 parlava di un “boom” dell’industria narrativa sull’autismo, e si chiedeva perché prosperasse proprio allora, precisando che la sua domanda riguardasse “i nostri tempi”, non l’autismo in sé. Secondo Pierre McDonagh avrebbe riscosso interesse crescente sia come tema che come categoria diagnostica in quanto “metafora” facente “appello alle nostre stesse paure segrete”. Ma se fosse l’autismo a rivedere il cinema e attraverso esso, farebbe così paura? Procedendo dall’“esterno” all’“interno” delle sue rappresentazioni, lo esploreremo dapprima come oggetto passivo, poi come potenziale soggetto attivo, nonché “oggetto culturale” (E. Valtellina) affrontabile mediante più approcci umanistici.

Se il cinema, come sguardo, è connesso a quello di punto di vista, e quello hollywoodiano anni ‘80/’90 ha visto l’autismo da un’ottica i cui stereotipi, in parte, permangono tutt’ora, la cultura visuale ne può offrire moltissimi altri. Tenteremo di individuare – o solo recuperare – varie forme di “sguardo divergente”, inteso sia come punto di vista del mondo sugli autismi, che degli autismi sul mondo, che del cinema stesso nel mondo, che possano convergere in una nuova lente con cui rileggere i prodotti audiovisivi, riscoprendo una sorta di “fattore autistico” (non tanto come “tratto” del personaggio, ma stilistico o simbolico) anche fuori dai cosiddetti “film sull’autismo”.

Ma una lente divergente che l’opera stessa può incarnare. Si condivideranno infatti vari spunti (emersi dal confronto tra immagini in movimento, studi scientifici e teorie del film, insieme al filtro dalle testimonianze) che propongono il linguaggio cinematografico come possibile altra “tecnica del vedere e del mostrare” (B. Balázs) l’autismo, anche in chiave comica. Inoltre, partendo da luoghi comuni che da sempre, più o meno implicitamente, accostano il “funzionamento” autistico al non-umano, giocheremo con le analogie tra l’”occhio sensibile” della persona nello spettro e quello della camera, capace, secondo Jean Epstein, di “animare le immagini fisse”, “il mondo”, e “rendere visibile l’invisibile”, superando il suo stesso status macchinico in termini di empatia e, disponendo di un’“immaginazione più intensa e precisa” (E. Morin), farsi metafora della divergente. Il cinema, come atipica “facoltà percettiva” (B. B.), diventa specchio dell’autismo: tramite adatto a rifletterci, svelandolo nella sua complessità fino a scioglierne le dicotomie (umano/non-umano, neurotipico/neuroatipico, natura/tecnologia), avvicinandosi alla sua immagine autentica, oltre i freddi riflessi.