Prevenzione e coraggio: cura contro ogni violenza

Isa Maggi, Stati generali delle Donne

Relazione del 25 novembre 2021 al Service organizzato dal Distretto Lions 108 Yb insieme al Distretto 108 Ib2, 108 Ib3, Leo 108Yb, Ib2 e Ib3 e Stati Generali delle donne.

Premessa

Eccoci in un collegamento ideale tra nord e sud dell’Italia per parlare di futuro nella sua capacità proattiva e generativa che le donne sanno dare in una interfaccia del confine dell’Io, tra dentro e fuori, che investe nel sociale e nella collettività, su un argomento fondamentale per le nostre vite, la PREVENZIONE E il CORAGGIO come misure di cura contro ogni violenza.

Gli argomenti che potremmo affrontare intorno al tema della violenza sono veramente tanti e purtroppo di tragica attualità ma abbiamo deciso di dedicare questo incontro ai cittadini e alle cittadine per rispondere a due domande:

Perché, nonostante la modernizzazione delle civiltà occidentali, delle menti e dei costumi, assistiamo ancora oggi e sempre più a fenomeni di violenza sulle donne così numerosi e cruenti?

Perché, il fenomeno della violenza sulle donne in tutte le sue forme, invece di diminuire di frequenza assume proporzioni sempre più estese?

Innanzitutto, sappiamo che per combattere le radici culturali del fenomeno e le sue cause, bisogna fare prevenzione mediante strategie politiche mirate all’educazione a partire dal contesto familiare e scolastico, alla sensibilizzazione, al riconoscimento ed alla realizzazione delle pari opportunità. Prevenzione deve essere la parola d’ordine. Per questo è indispensabile mettere a punto un’agenda di incontri che coinvolga le Scuole, le Università e le Amministrazioni locali con il supporto di tutte quelle associazioni che da anni operano sui territori.

Ma bisogna avere coraggio per capire che la violenza, in tutte le sue forme, non è amore. Occorre coraggio nell’allontanarsi prima che la violenza embrionale diventi qualcosa di ancora più serio. Se qualcosa di serio lo è già, bisogna allora chiedere aiuto perché da sole non è possibile uscirne, servono sostegno, condivisione ed aiuto legale.

Bisogna agire subito. Non c’è più tempo.  Ci sono troppe donne in pericolo.

La violenza sulle donne ha le stesse origini della violenza perpetrata sulla Madre Terra.

Le donne sanno prendersi cura di noi, della collettività e del creato.

Deve allora emergere con forza ed affermarsi una nuova idea di gestione dell’economia basata sulla condivisione e sulla collaborazione, una “economia del femminile”.

Una economia che ci permette di vivere e lavorare in un mondo interconnesso, dove le parole sono lavoro, economia, giovani, comunità, periferia, Europa, cura, libertà, uguaglianza verso un “tempo nuovo” che chiamerà sempre più in causa responsabilità individuali e collettive, forte senso delle relazioni umane, volontà di abbracciare stili di vita rinnovati, dando valore alla cittadinanza attiva e a percorsi di speranza, formando le coscienze alla responsabilità per la “casa comune”.

Cosa fare per passare dalle parole ai fatti?

Occorre che gli attori pubblici e privati, insieme, promuovano con decisione politiche per garantire la parità di genere, incrementare l’occupazione femminile, sostenere l’indipendenza economica, l’autonomia e l’emancipazione delle donne per contrastare la violenza sulle donne, come raccomanda la Convenzione di Istanbul.

La violenza è la rappresentazione del desiderio di controllo, dominio e possesso degli uomini sulle donne, anche quando la relazione si è conclusa.

È questo il nodo fondamentale, ma non possiamo abituarci a questa situazione.

Noi donne, da tempo, chiediamo che le Istituzioni mettano subito in atto politiche attive, coerenti e coordinate per far fronte al drammatico problema della violenza maschile sulle donne, così come richiesto dalla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dal Governo italiano nel 2013, richiamata nel Piano Nazionale per contrastare la violenza di recente formulazione.

Si deve agire insieme a tutte le associazioni che hanno costruito in questi anni grande professionalità nell’affrontare il problema, con tutti gli operatori coinvolti (operatori sociali, sanitari, del mondo della giustizia, delle forze dell’ordine, della scuola, dell’università, dei media, dell’imprenditoria) per realizzare politiche ed azioni integrate.

La reazione delle Istituzioni deve essere forte a tutti i livelli, dal Governo alle amministrazioni regionali e locali e deve coinvolgere anche la pubblica opinione e il sistema delle imprese utilizzando modalità innovative che in altri contesti europei hanno ottenuto risultati soddisfacenti come a Londra e a Barcellona.

Dobbiamo sentirci tutte e tutti obbligati ad agire, gli uomini e non solo le donne.

Un Paese democratico non può tollerare che milioni di cittadine siano vittima di violenza, sia essa psicologica, economica, fisica e/o sessuale. Un Paese democratico deve reagire subito e con grande forza, applicare le leggi che ha e dotarsi di sempre rinnovati strumenti.

Le donne sono uccise nella completa e assordante solitudine, nell’indifferenza generale perché la violenza contro le donne è considerata ancora oggi un fatto privato, la solidarietà umana non viene più coltivata, mentre si alimentano da parte di alcuni media morbosità e paura. Si deve creare un ambiente sociale che faciliti e promuova relazioni personali paritarie e non violente. I ragazzi e le ragazze devono diventare adulti ed adulte capaci di gestire le emozioni e le relazioni, per risolvere i conflitti e riconoscere le situazioni a rischio nella consapevolezza che se ne può uscire.

Le violenze sulle donne si eliminano solo con la prevenzione primaria, combattendo le cause: siamo per una vera rivoluzione culturale nell’ambito di una rinnovata e decisa attenzione alla cittadinanza attiva e responsabile. I giovani come gli adulti, donne e uomini devono:

poter vivere nel rispetto reciproco,
-avere parità di opportunità, autodeterminazione e libertà e il dovere al rispetto della libertà altrui e delle leggi
−conoscere cosa è la violenza in ogni sua forma e come prevenirla 
-conoscere e prevenire le discriminazioni di genere contro qualsiasi persona e a non farsi condizionare dai mass-media e dalle pubblicità sessiste e maschiliste.

Dagli ultimi dati emerge che in generale è aumentata la coscienza femminile: sono di più le donne che hanno subito violenza a riconoscerla come un reato; sono di più le donne che riescono a prevenirla o ad interrompere la relazione prima che la spirale si stringa troppo attorno a loro. Le donne ne parlano di più con gli altri/le altre, si attivano, aumentano le denunce (ma sono una minima parte le donne che hanno la forza e il coraggio di denunciare), si recano di più presso i centri antiviolenza e le associazioni che accolgono sui vari territori italiani. 

Ma i dati dicono anche che aumenta la gravità della violenza subita e in particolare la quota di donne che riferiscono di aver temuto per la propria vita.

Qualche considerazione sulle risorse pubbliche destinate al sistema della violenza

Ecco qualche dato preoccupante che non riguarda i numeri dei femminicidi e dei casi di violenza denunciati ma riguarda l’uso dei Fondi antiviolenza: i tempi per l’uso delle risorse sono lunghi e le risorse inadeguate, molti gli impedimenti burocratici e la mancanza di interventi strutturali che incidano sulle cause della violenza.

Qui le questioni a cui vorremmo ottenere risposte:

Dal report “Cronache di un’occasione mancata” per il 2021 sulle politiche e sul sistema antiviolenza in Italia attraverso il monitoraggio e l’analisi dei fondi statali previsti dalla legge 119/2013 (legge sul femminicidio), nonostante le misure straordinarie decise nel 2020 dal Governo per far fronte alla crescita delle richieste di aiuto durante la Pandemia, solo una minima parte è oggi effettiva.

Nel caso dei 3 milioni del DL Cura Italia di marzo 2020 per le spese di sanificazione, acquisto mascherine e gel disinfettante delle Case Rifugio: alla fine di novembre 2021 solo l’1%, circa 25mila euro, sono arrivati a destinazione.

I tempi di erogazione delle risorse stanziate nel 2020 per il funzionamento ordinario dei CAV e delle Case Rifugio sono tornati ad allungarsi: sono serviti in media 7 mesi per trasferire le risorse dal Dipartimento Pari Opportunità alle Regioni. E ad oggi solo il 2% è stato erogato e solo in Liguria e Umbria.

Il nuovo Piano Antiviolenza 2021-2023, lanciato in questi giorni, con un ritardo di quasi un anno, non è accompagnato da un piano operativo con tempistiche chiare e verificabili.

Ad aprile 2020 il Governo e il Parlamento con la Commissione Femminicidio hanno introdotto risorse aggiuntive e nuovi strumenti per rispondere alle richieste di CAV e Case Rifugio dettate dall’emergenza sanitaria. A distanza di un anno però, a discapito del carattere emergenziale della situazione, i ritardi si sono accumulati.

Oltre ai 10 milioni di euro, relativi ai fondi 2019 già a bilancio e sbloccati ad aprile 2020, si sono aggiunti i fondi già citati del DL Cura Italia. Eppure, solo l’1% è stato liquidato. Il 29 aprile 2020 è stato emanato un bando d’emergenza rivolto a CAV e CR con un fondo di 5,5 milioni di euro, che, dai dati disponibili, ha permesso di erogare 300 contributi verso 142 enti gestori. Era però necessaria una fideiussione, pari all’80% dell’importo e questo ha reso i fondi difficili da ottenere per molte strutture soprattutto le più piccole.

Infine, a maggio 2020 è stato varato il Reddito di Libertà per sostenere le donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Una misura diventata effettivamente operativa solo l’8 novembre 2021 con la circolare dell’INPS che ne regola il funzionamento. A ciascuna donna potranno andare 400 euro mensili per un massimo di 12 mesi. Non un intervento strutturale, ma che dovrà essere rifinanziato in bilancio anno per anno. 

E le donne vittime che non si rivolgono ai Cav?

Al 15 ottobre 2021, le Regioni hanno erogato il 74% dei fondi nazionali antiviolenza delle annualità 2015-2016, il 71% per il 2017, il 67% per il 2018, il 56% per il 2019 e il 2% per l’annualità 2020.

Nessuna risorsa è ancora stata trasferita dal Dipartimento Pari Opportunità per il 2021.

Rispetto all’obbligo istituito nel 2013 di destinare almeno 10 milioni di euro l’anno a CAV e Case rifugio, solo dal 2017 si è registrato un notevole incremento di risorse con 20 milioni stanziati nel 2019 e 19 nel 2020. Restano però lunghi i tempi di erogazione.

Solo per i fondi 2019 si è ottenuto un balzo in avanti per la procedura accelerata richiesta durante la prima fase dell’emergenza sanitaria: le risorse dal DPO sono arrivate in soli 4 mesi alle Regioni, dimezzando del 50% la tempistica registrata l’anno precedente.

L’analisi dell’utilizzo dei fondi stanziati dall’entrata in vigore nel 2013 della legge sul femminicidio per i rispettivi Piani Antiviolenza evidenzia uno sbilanciamento netto per le azioni volte alla presa in carico delle donne che subiscono violenza, quelle della Protezione. Manca una visione politica capace di incidere sulla prevenzione. Su 186,5 milioni di euro totali, il DPO ha destinato circa 140 milioni – il 75% delle risorse – all’asse Protezione mentre per la Prevenzione sono stati allocati circa 25,8 milioni di euro, il 14%.

In dettaglio: solo 19 milioni di euro sono stati destinati alla prevenzione primaria come la realizzazione di programmi educativi nelle scuole e di azioni di sensibilizzazione rivolte all’intera popolazione. Altri 3,5 milioni di euro per quella secondaria, cioè attività di formazione delle forze di polizia che entrano in contatto con donne che hanno subito violenza. Infine, 3,2 milioni di euro per la cosiddetta terziaria, vale a dire per programmi per uomini autori di violenza.

I dati dei monitoraggi disponibili delineano uno scenario desolante: non bastano le buone intenzioni, è necessario assicurare che misure di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza maschile sulle donne siano incluse nelle principali norme, riforme e decisioni di spesa che regolano la vita del Paese. E invece le politiche antiviolenza continuano ad essere isolate, frammentarie. Lo vediamo anche nel PNRR, dove gli assenti sono la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne.

Nella prima versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) la violenza contro le donne era esplicitamente riconosciuta essere uno ostacolo alla piena partecipazione femminile alla vita sociale, economica e politica del Paese. Era prevista comunque una sola azione rivolta alle donne che hanno subito violenza, cioè l’accesso al credito per la creazione di imprese. Una misura limitata, poi scomparsa nella versione definitiva del PNRR, che è stata invece finanziata con risorse del DPO. 

La prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne sono esclusi anche dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che rimanda questi temi al Piano strategico antiviolenza 2021-2023. Il Governo ha preferito dedicare così due documenti strategici distinti e separati rispetto al PNRR.

Si tratta di una decisione che relega i diritti delle donne a politiche e azioni non integrate alle strategie e alle programmazioni economiche, sociali e culturali che regolano la vita del Paese.

Non solo elaborazione culturale, anche azioni specifiche da parte dei Tribunali.

Occorre saper valutare il rischio.

“L’Eige (European institute for gender equality) ha pubblicato i risultati di uno studio che riguarda le risorse utilizzate per il contrasto alla violenza sulle donne. La violenza di genere costa all’Ue 366 miliardi di euro all’anno. Il costo maggiore deriva dall’impatto fisico ed emotivo (56 %), seguito dai servizi di Giustizia penale (21 %) e dalla perdita di produzione economica (14 %). La spesa per servizi di sostegno come i rifugi costituisce solo lo 0,4 % del costo della violenza di genere. Particolarmente in Italia, la carenza di rifugi e la mancanza di risposte immediate ed efficaci sono solo due tra gli aspetti che interessano le vittime. Esiste un problema di qualità dei servizi e di qualità della preparazione che, per contro, dovrebbe essere tesa all’efficacia della funzione di tutela di donne e minorenni, rivolta alla loro ‘liberazione’ ed emancipazione, soprattutto sul piano economico. Dunque, si tratta di un problema di carenza nella progettazione di regole e modalità di approccio che dovrebbero essere dettate dalle leggi e dall’indirizzo esecutivo e di controllo amministrativo tenendo conto dell’efficacia dei servizi. Fondamentale resta la necessità di comprendere e valutare il rischio e i bisogni delle vittime e la qualità dei servizi erogati direttamente da chi ne è fruitore, senza intermediazioni”.

 “È da rivedere la qualità di chi opera nell’ambito dei servizi a favore delle vittime di violenza, dettando, da parte del legislatore o dell’amministrazione, chiare finalità e controlli di qualità, incentivando e tenendo conto delle valutazioni ottenute dai fruitori dei servizi: le vittime appunto.  Le carenze italiane, purtroppo, non consistono solo nel numero inadeguato di centri antiviolenza. Il problema è molto più complesso e riguarda vari aspetti”.

Studiando gli atti processuali attraverso le nostre esperte, sono subito evidenti i deficit istituzionali a partire dalle risposte provenienti dall’ambito giudiziario, in cui si mostra, ancora troppo spesso, una incongruenza tra il diritto applicabile e il giudizio.

Ascoltando, attraverso i centri di ascolto, direttamente la voce delle vittime è chiara la percezione delle cattive risposte fornite sia sul piano amministrativo che su quello giudiziario, per quanto attiene all’assistenza, alla tutela e all’emancipazione delle vittime.

“In tema di violenza istituzionalizzata e di vittimizzazione secondaria così come indicato nell’articolo 29 della Convenzione d’Istanbul, l’European institute for gender equality e la Grevio puntano il dito su giudici, avvocati, assistenti sociali, consulenti, mostrando sempre più attenzione tanto alla qualità dell’applicazione della legge in sede giudiziaria, quanto alla qualità del controllo e riscontro dei servizi da parte delle amministrazioni che effondono denaro pubblico”.

In Italia si stanno facendo passi avanti?

In tema di risarcimento nonostante i tanti fondi devoluti dall’Unione europea, non pare che sia presente un interesse concreto per le vittime. Al contrario di altri Paesi ove esiste un rapporto diretto e immediatamente efficace tra vittime e Istituzioni pubbliche, in Italia non si tiene conto del fatto che la necessità primaria di donne e minorenni vittime di violenza è di tipo economico. Molte donne vittime che hanno denunciato le violenze domestiche sono rimaste osteggiate in ambito giudiziario e spesso mal difese dai propri avvocati, molti dei quali inesperti e che non conoscevano neanche la Convenzione di Istanbul, hanno subito la perdita del lavoro, danni alla salute, la perdita della casa di abitazione.

Oltre ai danni riconducibili direttamente alla violenza domestica e alla “violenza istituzionale” le donne vittime di violenza devono in genere far fronte a problemi economici notevoli, con relativa perdita dei rapporti sociali e a volte parentali.

E quindi il risarcimento per i danni prodotti in sede istituzionale è una necessità fondamentale nella immediatezza, oltre che precisato come dovere dalla Convenzione d’Istanbul.

Tra questi ricordiamo, e sono questioni sotto l’occhio attento di tutte noi, il tema dei prelevamenti forzati dei minorenni dalla casa materna e i traumi provocati per l’allontanamento violento in età precoce dalla figura care-giver. Molti di questi casi avvengono in totale assenza di una ragione che giustifichi il grave provvedimento di ablazione.

Nello stesso modo sottolineiamo qui la terapia psicologica imposta sul minore, illegittimamente obbligata da alcuni provvedimenti giudiziari al fine di costringere il bambino all’accettazione della figura genitoriale che giustamente si rifiuta perché violenta, come accade in alcuni casi in cui c’è un procedimento penale avviato o condanne. Ma questi danni sono sottovalutati e mai presi seriamente in considerazione anche se i danni irreversibili sull’equilibrio psico-fisico dei minori incidono sui loro comportamenti futuri. In sede giudiziaria verifichiamo che le denunce nei confronti dei giudici e quelle verso assistenti sociali, Ctu, tutori, curatori sono in genere archiviate.

Una novità in questo senso   si rintraccia nell’emendamento a firma prima della senatrice Modena che ha introdotto alla riforma del processo civile il ‘Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Al Tribunale saranno trasferite le competenze civili, penali e di sorveglianza del tribunale per i minorenni e tutte le materie riguardanti la famiglia, le separazioni o il divorzio. Soppresso il Tribunale per i minorenni, sarà istituito un unico tribunale composto dalla sezione distrettuale istituita presso ciascuna sede di Corte di Appello o di sezione di Corte d’Appello, e dalle sezioni circondariali costituite presso ogni sede di Tribunale Ordinario.

Violenza domestica e di genere: le nuove norme a tutela delle vittime

Occorrerebbe uno spazio di discussione molto ampio per un’analisi della legge n. 134/2021 che introduce misure di immediata applicabilità che ampliano le tutele previste dal cd ”Codice Rosso”

Il 19 ottobre 2021 entra in vigore la legge 27 settembre 2021, n. 134 contenente la Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.

L’art. 2 della  legge prevede ai commi 11-13 disposizioni, di immediata operatività, che estendono la portata applicativa delle norme introdotte con la legge n. 69/2019  (c.d. Codice Rosso) alle vittime di tentato omicidio e alle vittime di delitti, in forma tentata, di violenza domestica e di genere già contemplati dal Codice Rosso1.

Più in dettaglio la novella del comma 11 prescrive l’applicazione alle suddette fattispecie di reato (tentato omicidio e delitti già previsti dal Codice Rosso, ove realizzati in forma tentata) delle seguenti previsioni:

  • l’art. 90-ter c. 1-bis c.p.p., e l’articolo 659, comma 1-bis, del c.p.p. che impongono oneri informativi a tutela dell’incolumità fisica della vittima in relazione allo stato di libertà e quindi alla libertà di movimento del denunciato, e, in particolare: l’uno, la comunicazione, con l’ausilio della polizia giudiziaria, dell’evasione e della scarcerazione dell’imputato o del condannato – comunicazione da effettuarsi “sempre” alla persona offesa, quindi anche qualora non ne abbia fatto espressa richiesta, e al suo difensore, se nominato; l’altro la comunicazione, a cura del pubblico ministero, attraverso la polizia giudiziaria, dei provvedimenti del giudice di sorveglianza con cui è disposta la scarcerazione del condannato alla persona offesa e al difensore eventualmente nominato. Permane però il vuoto informativo rispetto a eventuali benefici di cui possa, in situazioni non ostative, usufruire l’autore dei reati de quibus nel corso dell’esecuzione penale, il che potrebbe porre comunque il problema delle criticità emerse nei casi di cronaca giudiziaria e che hanno compulsato il Legislatore ad una specifica attenzione dell’allarmante fenomeno.
  • l’art. 362 c. 1-ter c.p.p., che onera il pubblico ministero di attivarsi, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335, al fine di assumere informazioni dalla persona offesa e da chi abbia presentato denuncia, querela o istanza salvo che ricorrano imprescindibili esigenze di tutela dell’infradiciottenne o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa.
  • – l’art. 370 c. 2-bis c.p.p.,che onera la polizia giudiziaria a procedere, senza ritardo nel compimento di atti di indagine delegati dal pubblico ministero e a trasmettere, sempre senza ritardo, allo stesso la documentazione dell’attività espletata.

Tale disposizione, come quella di cui all’art. 362 comma 1 ter, mira a garantire una celere progressione del procedimento penale attraverso un’accelerazione delle attività di indagine affinché il pubblico ministero possa, ove necessario, assumere tempestivamente determinazioni a protezione delle vittime. Si tratta di previsioni senz’altro opportune che, tuttavia, recano con sé il rischio di sacrificare quella completezza dell’accertamento che è indispensabile in vista di provvedimenti limitativi della libertà personale.

La novella introdotta dal comma 12 estende infine alle fattispecie di tentato omicidio e ai delitti di violenza domestica e di genere in forma tentata, la disposizione di cui: all’art. 64-bis disp. att. c.p.p., il quale prevede che determinati provvedimenti penali che definiscono diverse fasi procedimentali siano trasmessi, senza ritardo, in copia, al giudice civile ai fini della decisione dei procedimenti che riguardano le dinamiche familiari cui possono essere connessi: cause di separazione personale dei coniugi, o relative ai figli minori o all’esercizio della responsabilità genitoriale (così da intendersi la locuzione “potestà genitoriale” ai sensi del D.lgs. n. 154 del 2013).

I provvedimenti in questione sono l’ordinanza che applica, sostituisce o revoca le misure cautelari personali, stante il presupposto della gravità indiziaria e i pericula che ne possono giustificare l’irrogazione e la permanenza, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, indicativo della determinazione del PM  all’esercizio dell’azione penale, il provvedimento di archiviazione indicativo del venir meno della ”notitia criminis”,nonché le diverse sentenze che possono essere emesse nei confronti di una delle parti: provvedimenti tutti che in qualche modo consentono alle parti di introdurre nel giudizio civile quanto dovesse risultare favorevole o sfavorevole alla propria posizione ma rispetto alla cui circolarità può apparire giustificato il timore di strumentali iniziative penali per cercare di corroborare illegittimamente le pretese civilistiche.

La novella introdotta dal comma 13 estende anche alle fattispecie di tentato omicidio e ai delitti di violenza domestica e di genere in forma tentata, la disposizione di cui:

– all’art. 165 c.p., in base al quale l’applicazione della sospensione condizionale della pena resta subordinata a uno speciale regime riparatorio consistente nella partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero dei condannati per questi reati. È questa una previsione senz’altro opportuna che muove dalla considerazione della complessità delle condotte criminali in questione, dell’utilità di interventi multidisciplinari in ambito psicologico, della necessità di intervenire non solo con la repressione delle condotte illecite ma anche con la prevenzione di ulteriori comportamenti violenti nei confronti di chi è portato ad agire in siffatto modo nei rapporti interpersonali.

Si tratta, come noto, delle seguenti tipologie di reato: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609-bis609-ter e 609-octies c.p.) atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); lesioni personali aggravate da legami familiari e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e art. 583-bis aggravati ai sensi dell’art. 576 c. 1, nn. 2, 5 e 5.1 e ai sensi dell’art. 577 cc. 1 e 2).

Violenza sulle donne, ecco il nuovo piano strategico antiviolenza 2021-2023

È prevista una task force multidisciplinare per il raccordo e la gestione delle misure eventuali previste dal PNNR in favore dell’empowerment delle donne vittime di violenza.

L’obiettivo della task force è integrare e supportare il modello di governance già preesistente nella realizzazione degli interventi previsti dall’iniziativa Next Generation EU, nonché da quanto complessivamente programmato relativamente all’impiego dei Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE), finalizzati al rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale riducendo il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo.

Il nuovo piano disegna, in generale, la strategia per la lotta al fenomeno della violenza e verrà in seguito implementato con un piano operativo.

Si fonda su quattro assi: la prevenzione, la protezione e il sostegno delle vittime, la punizione dei colpevoli e l’assistenza e promozione.

Tra le novità:

– le misure di contrasto alla violenza economica con la previsione di alfabetizzazione finanziaria, tirocini retribuiti,

–  norme per favorire l’inserimento lavorativo al fine di realizzare l’obiettivo più generale dell’empowerment delle donne.

Sul fronte dei dati sulla violenza è prevista la creazione di un sistema integrato nell’ottica del rafforza-mento della collaborazione con l’Istat che già aveva caratterizzato il primo piano strategico.

È stata confermata la governance del piano su tre livelli:

–  la Cabina di regia nazionale con funzione di indirizzo strategico politico,

–  l’Osservatorio, con funzione di natura specialistica,

– la Governance territoriale, con funzione di raccordo tra governo centrale e locale e coordinamento delle reti territoriali attive sui temi del piano.

Il nuovo piano aggiunge quindi come asse fondamentale l’assistenza e promozione. Agli assi tematici sono associate specifiche priorità che affrontano le sfide connesse alle condizioni di violenza maschile sulle donne, rispetto alle dimensioni più significative quali: la prevenzione, l’istruzione, la formazione, la ricerca, l’autonomia personale e abitativa, la sensibilizzazione, l’informazione, la tutela e la protezione. Per ciascuna priorità sono poi individuate le aree di intervento sulle quali il Piano intende misurarsi, in termini di direttrici in base alle quali i soggetti, a vario titolo coinvolti, saranno chiamati a raccogliere le sfide di contesto ancora aperte.

Nell’ambito dell’asse protezione e sostegno, è prevista l’attivazione di percorsi di empowerment economico, finanziario, lavorativo e di autonomia abitativaUn tema considerato elemento di rilievo sia nella fase di emersione che nell’accompagnamento verso l’autonomia. La violenza economica rappresenta, infatti, una delle forme più subdole e odiose di violenza contro le donne. Da evidenziare che il lavoro per l’empowerment acquisisce un maggior impatto, se è contestualizzato in uno scenario che non riguarda in modo esclusivo le donne vittime di violenza, ma che è potenzialmente rivolto a tutte le donne, con il coinvolgimento anche degli uomini.

Come aree di intervento sono state individuate:

– protocolli per il reinserimento lavorativo delle donne vittime di violenza e, in particolare, forme di collaborazione tra istituzioni, imprenditoria e centri antiviolenza,

–  messa a punto di norme specifiche sull’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza all’interno della contrattazione collettiva,

–  percorsi di formazione di eccellenza con la previsione di tirocini retribuiti vincolati all’inserimento lavorativo, grazie anche all’apposita formazione del personale addetto alle risorse umane, capace di intercettare tra sintomi dovuti a violenza domestica o molestie subite nei luoghi di lavoro,

–  strumenti già attivabili per l’inserimento occupazionale, sull’esempio degli incentivi all’occupazione, dei “redditi di libertà”, del microcredito di libertà e il mantenimento dell’occupazione come nel congedo per le donne vittime di violenza,

– estensione fino a 6 mesi della possibilità di utilizzare il congedo per le donne vittime di violenza previsto dal D.L. n. 8/2015, tenendo conto del progetto individualizzato della donna,

– contributi per il supporto al lavoro autonomo femminile, oltre alle forme già esistenti di microcredito, in particolare negli anni successivi all’avviamento dell’impresa, ovvero lungo l’arco dei primi cinque anni necessari al consolidamento dell’attività imprenditoriale,

– percorsi di autonomia abitativa attraverso l’implementazione e la differenziazione della rete dell’accoglienza, con seconde autonomie e co-housing, e attraverso azioni che sostengano la possibilità di inserire, con specifiche priorità, le donne in uscita dalla violenza nelle graduatorie per gli accessi al patrimonio immobiliare pubblico.

Il piano strategico sarà accompagnato da un piano operativo che siamo in attesa di ricevere.

Auspichiamo che la programmazione del 2021-2023 sia una effettiva presa in carico delle criticità non ancora risolte verso la rimozione di stereotipi e atteggiamenti lesivi della dignità delle donne, attraverso una vera e propria rivoluzione culturale che dovrà coinvolgere l’intera società in tutte le sue componenti.

Tra le priorità:

lavorare sulla cultura, aumentando la consapevolezza della cittadinanza e nel sistema educativo e formativo sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza maschile sulle donne e promuovere la destrutturazione degli stereotipi alla base della violenza.  In questo ambito vengono concepiti gli interventi di informazione e sensibilizzazione che partono da due azioni generali: la dotazione di finanziamenti strutturali da dedicare alle azioni di prevenzione, che siano distinti da quelli specifici destinati ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio; un documento, sotto forma di “Carta”, di definizione di obiettivi generali e specifici da raggiungere attraverso un’azione di prevenzione sistemica che individui i gruppi maggiormente vulnerabili come le donne disabili, le donne anziane, le donne migranti e definisca anche il concetto di violenza in tutte le sue declinazioni come la violenza domestica, psicologica, economica, sessuale, fisica. Tra i contesti specifici di intervento cui associare azioni portanti e interventi pilota ci sono le scuole e i centri di formazione, le università, i luoghi di socializzazione, i media e le campagne di sensibilizzazione.

Criticità nei casi di affidamento dei minori in ambito di violenza, no quindi alla Pas.

L’alienazione parentale (o sindrome dell’alienazione parentale), ideata e proposta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner, descrive la dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio dei genitori definiti conflittuali. Nell’ambito del Piano 2017-2020 è stato realizzato un tavolo di lavoro di approfondimento sul tema. Un forte elemento di criticità sembra essere rappresentato dall’utilizzo da parte dei tribunali civili del concetto di alienazione parentale nell’ambito di procedimenti civili che accompagnano la definizione delle separazioni nei casi di violenza contro le donne madri, utilizzata spesso come forma di condizionamento nei confronti delle donne vittime di violenza. Il tema dell’alienazione genitoriale è al centro di numerosi ed accesi dibattiti; anche la Corte di Cassazione è stata di nuovo chiamata ad esprimersi, con un’ulteriore ordinanza (n. 13217/21) in tema di Pas e di Sindrome della Madre Malevola.

È necessario evidenziare che, dove vi sia una condanna penale per maltrattamenti, il procedimento di affido dei figli, richiede il chiaro ed inderogabile obbligo del rispetto di quanto previsto sia dalla Convenzione di Istanbul in materia di protezione della vittima nei processi di affido sia dalle raccomandazioni del Grevio.

– Il monitoraggio dei dati e rafforzamento della collaborazione con l’Istat

Tra i numerosi aspetti trattati dal piano c’è anche quello dei dati sulla violenza, ancora incompleti e carenti. A questo scopo, in continuità con quanto previsto dal precedente piano in ambito di raccolta dei datiè prevista una convenzione per la collaborazione con l’Istat per rafforzare l’utilizzo del Sistema Informativo Integrato. L’obiettivo è di estendere la condivisione dei dati relativi ai diversi aspetti del fenomeno a seconda dei settori di azione e di interesse e la creazione di un Sistema Informativo Integrato e da una funzione multilivello di valutazione nell’ottica della valorizzazione e prosecuzione di quanto disposto nel triennio precedente.