Di fusioni nucleari e di tortuosi cammini

di Piero Chiabra, DiGenova

Lo scorso dicembre, i Lawrence Livermore Laboratories di Oak Ridge hanno fatto un annuncio che ha suscitato un grande clamore. Hanno affermato infatti di aver ottenuto, nella loro National Ignition Facility (NIF),  una reazione di fusione nucleare in cui l’energia prodotta era superiore (di circa un 50%) all’energia utilizzata per suscitare la reazione. E’ la prima volta che una reazione di fusione nucleare definita tecnicamente “autosostenibile”, vale a dire che genera più energia di quanto serva ad innescarla, viene implementata nel mondo. La notizia ha suscitato un grande clamore, i media se ne sono impossessati, e abbiamo assistito al solito florilegio di conferenze e dibattiti, in cui giornalisti, opinionisti, nani, ballerine, cantanti e  “intellettuali” a vario titolo ci hanno sommerso, dall’alto della loro granitica competenza in materia, di entusiastiche dichiarazioni sulla nuova era di energia pulita e abbondante per tutti, sul “piccolo sole realizzato qui sulla Terra”, sui “reattori nucleari che funzionano ad acqua di mare”, addirittura sul “nuovo predominio energetico degli USA”, senza farsi mancare i riferimenti ad Einstein, a Fermi, alle astronavi interplanetarie, etc. etc.

Sarebbe, forse, il caso, di riportare la notizia alle sue giuste dimensioni.

Ma, per farlo, Bisogna cominciare un po’ da lontano.

Non so se qualcuno tra coloro che stanno leggendo questo articolo si è mai chiesto come mai, negli ultimi decenni, con l’unica eccezione della Corea del Nord (un caso “un po’ particolare”), nessuno stia più scatenando esplosioni nucleari sperimentali.  Che sarà mai successo, siamo tutti diventati “buoni”, pacifisti, amanti del pianeta e figli dei fiori (anche Putin)?

Ahimè, non è proprio così: la realtà è semplicemente che, ai fini della progettazione di armi nucleari, le esplosioni sperimentali sono diventate inutili, obsolete: i moderni supercomputer sono in grado di simulare esplosioni nucleari sin nei minimi dettagli, rendendo inutile far esplodere testate “vere”. Per effettuare queste simulazioni, tuttavia, si rende necessario disporre di dati iniziali sul comportamento del materiale fissile in condizioni esplosive. Questi dati possono essere ricavati in maniera esaustiva facendo impattare un pellet contenente piccolissime quantità di materiale fissile con uno o più laser ad altissima potenza, generando così una “micro esplosione” nucleare, la quale non genera effetti di rilievo ma permette di acquisire tutti i dati necessari. Per questa ragione, tutte le grandi potenze nucleari (quanto meno, sicuramente USA, Francia, Russia e Cina) si sono dotati di installazioni sperimentali dotati di potentissimi laser, con le quali effettuare queste sperimentazioni.

Tra queste installazioni, un posto particolare per potenza e complessità è ricoperto dalla installazione americana, che è, per l’appunto, la NIF, National Ignition facility dei Lawrence Livermore Laboratories di Oak Ridge. Questa gigantesca facility dispone di 192 fasci laser, che colpiscono tutti lo stesso bersaglio contemporaneamente, sviluppando una potenza totale di 500 Terawatt. Per capire di cosa stiamo parlando, se la NIF operasse alla sua potenza massima con continuità, sarebbe necessario per alimentarla una potenza pari a circa 35 volte la potenza elettrica generata in tutto il pianeta. Per fortuna, tale potenza viene applicata solo per brevissimi impulsi della durata di picosecondi (millesimi di miliardesimi di secondo), per cui l’energia consumata è, alla fine, una quantità accettabile.

E un giorno, alcuni decenni fa, a qualcuno è venuta un’idea.

Per descrivere in modo semplice una cosa molto complicata, la condizione essenziale per effettuare la fusione nucleare controllata è quella di riscaldare una miscela di nuclei di deuterio e trizio a temperature di molti milioni di gradi, mantenendo al tempo stesso tale materiale fortemente confinato in uno spazio ristretto. Non potendo utilizzare, a quelle temperature, recipienti solidi, nella maggior parte dei filoni di ricerca in corso si ottiene questo confinamento con l’utilizzo di potenti campi magnetici. È la cosiddetta “fusione a confinamento magnetico”, che si implementa, nella maggior parte dei casi, realizzando un volume di confinamento a forma toroidale tramite macchine dette “Tokamak”, le quali sono, a tutt’ oggi, considerate come il sistema più avanzato per poter giungere a reattori a fusione commerciali.

Ma non è detto che non si possa pensare a metodi di contenimento alternativi. In particolare, se si operasse un riscaldamento della massa di deuterio/trizio molto veloce, gli atomi di deuterio e trizio “non avrebbero il tempo” di espandersi ed andarsene per conto proprio, venendo costretti dalla propria inerzia a permanere vicini il tempo sufficiente per fondersi nella reazione di fusione.   È questo il concetto di base della cosiddetta “fusione a confinamento inerziale”. E un modo possibile per implementarla sarebbe quello di colpire piccole pellet solide di deuterio/trizio con laser di gigantesca potenza.

Immaginate quale macchina sarebbe la più adatta per implementare questo processo? Ma la NIF, naturalmente!

E così i Lawrence Livermore Laboratories da alcuni decenni hanno intrapreso, quasi in solitudine, una grande iniziativa di ricerca per il conseguimento della fusione a confinamento inerziale (alcuni altri centri hanno effettuato ricerche simili, ma con fondi, obiettivi, e, verrebbe da dire, convinzione molto più limitati). Per molti anni, i risultati sono stati molto deludenti, tanto che ad un certo punto si stava pensando di interrompere le ricerche, tra l’opinione generale che la fusione a confinamento inerziale fosse un vicolo cieco che non portasse a risultati significativi. Poi, del tutto inaspettato, questo grande sviluppo. Che pone, o appare porre, la fusione a confinamento inerziale all’avanguardia nella ricerca sullo sviluppo della fusione nucleare controllata per applicazioni commerciali.

Ma lo fa veramente?  Realmente la fusione a confinamento inerziale, può, alla luce di questo risultato, essere considerata una valida candidata per provvedere il mondo di energia pulita, sicura e inesauribile in quantità sufficiente per tutti i suoi bisogni?

Vale la pena di prendere in considerazione i seguenti fatti:

  1. È vero: la NIF è riuscita a generare una reazione di fusione che genera il 50% di energia in più rispetto a quella del fascio laser incidente. Ma chiunque si sia anche marginalmente interessato di laser sa che il rendimento dei generatori laser è terribilmente scadente. E, nella NIF, per generare un fascio laser con quella energia è necessario consumare nell’impianto una quantità di energia circa 10 volte superiore. Per cui, considerando il rapporto TOTALE tra energia sviluppata dalla reazione e energia fornita all’impianto, questo è ancora largamente inferiore a 1. Né appare facile migliorare questa situazione, in quanto sviluppare generatori laser con un rendimento elevato è una impresa mai riuscita a nessuno (anche un semplice generatore laser industriale da 2 chilowatt, ottimizzato per essere il più possibile efficiente, non raggiunge il 30% di rendimento). Avere laser di potenza estrema ad alto rendimento richiederebbe lo sviluppo di tipi di laser completamente nuovi dei quali non si vede traccia, e su cui non si ha alcuna idea.
  2. La NIF è una struttura di ricerca pura utilizzata per uno scopo, la fusione a confinamento inerziale, del tutto diverso dai fini iniziali (e principali) dell’impianto. Non c’è alcuna considerazione, nella struttura della NIF, per i requisiti di praticità e fattibilità di un dispositivo commerciale per la produzione di energia che implementi questo tipo di reazione. Tanto per dire una cosa fra tante, i laser estremamente potenti della NIF, come detto, generano impulsi dell’ordine dei picosecondi. Quindi, anche la reazione di fusione che inducono ha durata di poco superiore. Per illuminare le nostre case avremmo forse bisogno di qualcosa che duri un po’ di più…

Da queste considerazioni, e da molte altre, si desume che, nonostante la grande importanza teorica del risultato raggiunto, la fusione a confinamento inerziale rimane una strada molto difficile per giungere a reattori nucleari a fusione commerciali. Come minimo, si richiederebbe la costituzione di un impianto completamente diverso dalla NIF, concepito e strutturato secondo criteri del tutto diversi, e che superasse notevolissime difficoltà tecniche, e tutto ciò rende il risultato raggiunto al momento nulla di più di un interessante dato scientifico. Non si ha traccia, al momento, di alcuna idea né sforzo per pervenire allo sviluppo di un progetto simile.

Forse, per avere reattori a fusione commerciali nel nostro futuro, dovremo avere soltanto un po’ di pazienza. La buona vecchia fusione a confinamento magnetico sta facendo passi avanti da gigante ogni giorno. Certo, per avere una reazione di fusione sostenibile che generi più energia di quanto consuma dovremo attendere probabilmente il 2030 e la macchina ITER: questa però dovrebbe ottenere una reazione di fusione sostenibile “seria”, che generi DIECI volte l’energia fornita alla TOTALITÀ dell’impianto, e per periodi continuativi di almeno 20 minuti. Questo consentirà il passaggio da ITER a reattori di fusione commerciale, se non immediato, quanto meno fattibile in breve tempo, e infatti già numerose società industriali stanno progettando reattori a fusione commerciali basati su miglioramenti dell’approccio ITER (ENI ha anche preso una importante partecipazione in una di esse, la Commonwealth Scientific Inc., un atto di lungimiranza, bisogna dirlo, raro per una impresa italiana).

Che dire, quindi, dobbiamo essere ottimisti o pessimisti? Personalmente, propenderei nonostante tutto per la prima ipotesi. La strada verso la fusione nucleare è stata ed è una strada tortuosa, che dura da decenni. Ci sono state brusche accelerazioni, curve che sembravano mandarci fuori strada, pendenze che sembravano impossibili, e, in certi momenti, era lecito dubitare che quella strada portasse da qualche parte. Ma ora le curve più brutte sono state superate, le pendenze sono sempre meno ripide, e la curva del pendio sembra addolcirsi verso un esaurimento della salita.

Probabilmente, la vetta non è lontana.