Tempo per un nuovo Adamo?

di Piero Chiabra*

Uno dei più grandi sogni dell’umanità è sempre stato quello della realizzazione di un nuovo sé stesso.

Sin dai primordi della civiltà, sin da Omero e dalle sue ancelle meccaniche, che nel canto XVIII dell’Iliade accolgono Hermes in visita a Efesto, per proseguire poi con il medioevo, gli alchimisti e le loro pretese di realizzare Homunculus, l’uomo alchemico, e con l’Ottocento, con Frankestein, e infine con i vari robot frutto della fantasia di Karel Çapek, Isaac Asimov, James White, Philip K. Dick e dei grandi autori della fantascienza anni ’50 e ’60, la realizzazione di un essere umano artificiale, che ci serva, ci aiuti, e sia il nostro supporto e il nostro “schiavo” (magari fino a quando, distopicamente, non si ribelli, come capita prima o poi a tutti gli schiavi) è un obiettivo che da sempre ha popolato i sogni di romanzieri, scrittori, o, più genericamente, sognatori, che hanno utilizzato, per cercare di dare corposità “scientifica” a quello scopo, le migliori conoscenze della loro epoca (la meccanica fine, che i  Greci conoscevano, l’alchimia del medioevo e del Rinascimento, l’elettricità biologica scoperta da Galvani per dare vita a Frankestein e così via).  

Negli ultimi decenni, tuttavia, sembrerebbe che, sul serio e non in sogno, abbiamo fatti grandi passi avanti verso la meta.

A partire dalla fine degli anni 60, sono entrate in servizio, nelle industrie di tutto il mondo, macchine flessibili, intelligenti e riprogrammabili, che ricreavano funzionalità tipiche di alcune parti del corpo umano (tipicamente, un braccio). Queste macchine, dette “robot industriali”, hanno rivoluzionato il modo di produrre, e quello stesso di concepire la fabbrica, ponendo le basi di quella rivoluzione dei processi industriali che ha preso il nome di “industria 4.0” e che, a parte i facili slogan, sta in realtà avendo luogo con una lenta (lenta?) evoluzione dei processi produttivi in atto da almeno 30 anni. Quindi, in un certo senso, i robot sono già partecipi, attori attivi nella nostra società, sono già i nostri “schiavi”.

Ma questi robot hanno delle grosse limitazioni. I robot industriali sono rigidi, limitati, costretti a svolgere attività semplici, sempre le stesse. E sono ciechi e sordi. Non percepiscono niente, o molto poco, dell’ambiente attorno a sé, e quindi sono impiegabili solo in compiti semplici, ripetitivi, e in ambienti strettamente strutturati per la loro operatività, fatti cioè su misura per loro.

Sono schiavi molto stupidi. Vorremmo qualcosa di più.

Così da almeno trent’anni, verso l’obiettivo di rendere questi robot sempre più “sensibili”, ricettivi e “intelligenti”, verso lo scopo di costruire sempre più “pezzi di essere umano”, che ne riproducano sempre più funzionalità, si sono mossi quantità sempre maggiori di ricercatori, supportati da quantità sempre maggiori di fondi di ricerca.

E i risultati, man mano che il tempo passava, si sono cominciati a vedere.

Oggi abbiamo le gambe: la Boston Dynamics ha spinto lo sviluppo di robot bipedi fino al punto di consentire livelli di movimento acrobatici, e numerosi laboratori di tutto il mondo hanno raggiunto risultati forse meno eclatanti ma altrettanto concreti. Abbiamo braccia sensibili, in grado di afferrare oggetti e manipolarli con delicatezza e velocità. Abbiamo capacità di percepire e comprendere un discorso, e l’abilità di imbastire conversazioni, anche senza toccare argomenti particolarmente intelligenti (si ravvisa una sorprendente somiglianza tra le conversazioni dei sistemi robotizzati e quelle di certi politici e diplomatici: sono in grado di pronunciare bellissimi discorsi che hanno un senso apparentemente compiuto ma senza che sotto ci sia nulla di realmente concreto…). Abbiamo, grazie agli enormi investimenti compiuti sulla guida autonoma per le automobili, sistemi di navigazione in grado di orientare un veicolo in un ambiente esterno non strutturato, facendolo muovere sui tragitti voluti, affrontando imprevisti e incertezze sulla percezione ambientale. Abbiamo anche software in grado di comprendere delle direttive impartite a voce, decifrarle e tradurle in un piano di azione univoco, e che tenga conto degli imprevisti.   

Eppure, fino ad ora, tutte queste realizzazioni sono rimaste fini a sé stesse, prototipi di laboratorio, macchine da esibire in fiere e congressi, realizzazioni buone per giornalisti in cerca di sensazioni, ma con poche ricadute sul mondo reale e sulla nostra vita. È mancata sinora la figura di un imprenditore, di un industriale, di un “Henry Ford” della robotica, capace di “mettere i pezzi insieme”, costruire con loro un prodotto utilizzabile per applicazioni pratiche, e buttarlo sul mercato.

Ma forse, adesso, quell’imprenditore sta arrivando. E indovinate chi è?

Ma Elon Musk, naturalmente. Chi, se no?

Sì, questa particolare figura di innovatore, questo personaggio che TIME, nel nominarlo Uomo dell’Anno 2021, ha definito come “una via di mezzo tra T.A. Edison, J.P. Morgan e P.T. Barnum”, dopo avere praticamente imposto al mondo l’auto elettrica con la Tesla, dopo avere conquistato il quasi monopolio mondiale dei lanci spaziali commerciali togliendo uno zero ai costi di lancio dei satelliti tramite la sua invenzione dei razzi riutilizzabili, e dopo aver varato una incredibile serie di iniziative rivoluzionarie come Starlink,  Hyperloop e Neuralink, che promettono (o minacciano) di stravolgere completamente la nostra vita, questo signore ha ora deciso di occuparsi di robotica.

E ha lanciato Tesla BOT OPTIMUS. Il primo robot umanoide destinato a non essere un prototipo, ma un prodotto industriale, utilizzabile per una varietà di applicazioni, da assistente ad aiutante per lo svolgimento di una vasta gamma di lavori ripetitivi, pesanti e/o pericolosi. Alto 1,72 m, peserà 57 kg, potrà camminare a una velocità di 8 km/h e, soprattutto, potrà trasportare fino a 20 kg e sollevare pesi in strappo anche di 68 kg. Avrà una silhouette androgina in bianco e nero, un display al posto del viso su cui si formeranno espressioni che imitino quelle umane, e sarà in grado di comprendere comandi dati a voce. E Elon Musk, secondo lo stile narrativo che lo contraddistingue, ha dichiarato che il prototipo potrebbe essere pronto nel 2022!

C’è da credergli?

Sicuramente, non sulla data. Elon Musk è famoso per esagerare in maniera enormemente ottimistica le sue previsioni temporali, sbagliando, normalmente, la data di disponibilità delle sue realizzazioni di 5-10 anni. Probabilmente lo fa apposta, per mantenere alto il livello dell’attenzione mediatica su di lui. Però, è anche vero che, sia pure con grandi ritardi, tutto quello che ha promesso parecchi anni fa si è realizzato. E quello che ha promesso due/tre anni fa (ad es. l’astronave Starship per portare un carico di 100/150 tonnellate in orbita terrestre e oltre, o la costellazione di 30000 satelliti Starlink per realizzare un Internet universale interamente basato nello spazio) è VERAMENTE in fase di avanzata realizzazione. Le sue iniziative non sono, quindi, da deridere come le fandonie di un manipolatore mediatico: chi finora lo ha fatto, come le aziende automobilistiche o quelle produttrici di razzi spaziali, se ne è pentito amaramente.  Come dobbiamo quindi considerare questi annunci?

Indubbiamente, al di là delle reazioni della stampa e dei media, tra cui Musk ha indubbiamente molti nemici, e di quelle tra la comunità dei ricercatori di robotica, che invece appare divisa tra sostenitori e detrattori, anche in funzione degli interessi particolaristici dei ricercatori stessi, la cosa è da considerare con attenzione. Tesla ha già a disposizione il sistema FSD di guida autonoma per le auto, che sta arrivando ormai ad una fase avanzata di realizzazione, e che costituisce, unitamente a quello di Google/Waymo, il più avanzato sistema di guida automatica di un veicolo attualmente esistente. E‘ un buon punto di partenza per sviluppare qualcosa che permetta a un robot di orientarsi in un ambiente.

Ma un robot è previsto che non si muova solo in spazi esterni, ma anche in interni. E il movimento in interni è, normalmente, più complesso di quello in un ambiente esterno, in quanto richiede una percezione dello spazio in tre dimensioni notevolmente più articolata (se non ci credete, provate a camminare in una casa moderna guardando solo per terra senza mai sbattere nello spigolo di una porta o sul bordo sporgente di un tavolo, e poi ditemi se ci riuscite…). Non so come sia organizzato il software del sistema FSD (in realtà nessuno al di fuori degli ingegneri di Tesla lo sa). Potrebbe, probabilmente, essere anche facilmente scalabile alle tre dimensioni, considerando che almeno una percezione embrionale in 3D dovrebbe averla, per percepire gli ostacoli su una strada; ma la cosa potrebbe anche richiedere rilevanti sviluppi.

Quanto alla mobilità, invece, il problema della locomozione a mezzo gambe è, come detto, ampiamente risolto, e il problema si traduce semplicemente nell’acquisizione del know-how necessario (faccio incidentalmente presente che la Boston Dynamics ha cambiato proprietario diverse volte nel corso degli ultimi anni, e non mi stupirei che lo cambiasse ancora…). Anche la formulazione di comandi in linguaggio naturale da parte di un “padrone” umano dovrebbe essere risolvibile abbastanza facilmente, con semmai qualche difficoltà nella definizione di direttive per operazioni complesse.  Ma il problema che forse richiede più sviluppi, e che, a mio avviso comporta le maggiori difficoltà, almeno sul piano teorico, è quello dell’interazione attiva con ciò che lo circonda: ci si aspetta sicuramente che questo robot debba identificare oggetti in un ambiente non strutturato (pensate alla pluralità di oggetti presenti in una normale casa,  e alla confusione con cui, spesso, sono sistemati) afferrarli (sapendo come, in modo da non rovinarli e/o non farli cadere) e svolgere manipolazioni su di essi (mi immagino che un robot del genere dovrebbe essere quantomeno in grado di aprire un contenitore, e svolgere operazioni di manipolazione consimili). Se ormai lo sviluppo di mani e braccia opportunamente “abili” è un problema risolto, quanto meno a livello di ricerca, il software necessario per riconoscere e manipolare oggetti è un campo ancora molto complesso, e in cui, a quanto so, non esistono ancora soluzioni “robuste” e affidabili, e soprattutto generali, in grado di riconoscere e manipolare vaste classi di oggetti. Qui, il lavoro di sviluppo è ancora ingente. Molti sono stati i tentativi effettuati in tutto il mondo (anche in Italia, all’IIT e altrove, abbiamo avuto degli interessanti sviluppi). Si tratta però di generalizzare gli algoritmi e porli a fattor comune, sviluppando un software realmente generico, in grado non solo di afferrare e manipolare oggetti, ma di acquisire quali oggetti afferrare e manipolare, ed essere in grado di farlo, qualunque essi siano.  Qui, c’è quindi, a mio avviso, veramente ancora parecchio da fare.

Ci riuscirà Elon Musk?

Indubbiamente, le sfide tecnologiche per giungere ad un robot umanoide per compiti complessi funzionante in maniera affidabile sono elevate. Dobbiamo però tenere in conto, da un lato, dei progressi enormi fatti dalla ricerca (dieci anni fa avrei concluso che era impossibile, adesso direi proprio di no); dall’altro, dall’enorme massa di risorse economiche che l’uomo attualmente più ricco del mondo può convogliare sugli sviluppi che lo interessano; dall’altro ancora, infine, della personale storia di Elon Musk stesso, che ha conseguito i risultati che lo hanno reso famoso affrontando e risolvendo con fatica, sudore ed incredibile perseveranza difficoltà tecniche gigantesche, che nessuno aveva mai risolto prima di lui (basti pensare ai grandissimi problemi tecnologici derivanti dall’avvio della prima produzione mondiale di massa di auto elettriche, una cosa che nessuna casa automobilistica aveva mai provato a fare, e che aveva portato Tesla, alcuni anni fa, vicino al fallimento; oppure dell’idea dei razzi riutilizzabili, accolta inizialmente tra l’ilarità generale, ilarità che poi si è tramutata in sudore freddo sulla fronte di tutti i derisori).

Che dire? Personalmente, penso che, per quanto sopra detto, ce la possa fare. Però, alla fine delle fini, che ce la faccia lui non è così importante: la cosa importante è che le premesse sono tracciate, e le precondizioni tecniche, le cosiddette “tecnologie abilitanti” per la realizzazione di robot umanoidi stanno cominciando a diventare disponibili e fruibili. E quindi ritengo che, se anche Elon Musk dovesse fallire, sono certo che, prima o poi, ci riuscirà qualcun altro.

Scrive Yuval Noah Harari che, mentre la scienza dà potere ma non significato all’esistenza, la rivoluzione umanistica a lei collegata ha spostato il ruolo di “creatore di significato” per l’universo e l’esistenza da Dio all’Uomo stesso. Se è così, sembra che questo “nuovo Dio” che risiede in noi stia meditando di creare a sua volta un nuovo Adamo, con conseguenze di lungo termine che potrebbero essere enormi e difficilmente quantificabili. Avverrà, o tutto questo non è che un sogno romantico espresso da una civiltà matura e, ormai, forse, sull’orlo del declino, che insegue traguardi tanto immaginifici quanto impossibili?

Stiamo a vedere.

https://www.agi.it/blog-italia/scienza/post/2021-10-02/robot-previsione-elon-musk-14047860/

[*]L’autore è stato Consigliere Nazionale della Società Italiana di Robotica