Il Metaverso è formativo?

di Alessandro Pizzo (*)

Abstract

Can the Metaverse be formative? Perhaps, the Metaverse is not formative by default. But this is also true for any technology used within a school setting. In fact, some further conditions are required, the following: an epistemic distinction between the means and the purpose of the teaching actions; user safety; respect for the confidentiality of their privacy and finally the creation of the Eduverse within a single structure for each educational institution. This in order not to repeat some mistakes of the past and the tendency of Italian schools to abandon themselves to technology, delegating their educational function.

Abstract

Può il Metaverso essere formativo? Probabilmente, non basta usare il Metaverso perché possa essere formativo. E questo è vero anche per qualsiasi tecnologia venga adoperata all’interno di un setting didattico. Sono, infatti, richieste alcune condizioni ulteriori che riguardano una distinzione epistemica tra mezzo e finalità delle azioni didattiche, la sicurezza per gli utenti finali, il rispetto della riservatezza della loro privacy ed infine la realizzazione dell’Eduverso all’interno di una struttura unica per singola istituzione scolastica. Questo al fine, e soprattutto, di non ripetere alcuni errori del passato e la tendenza propria della scuola pubblica italiana di abbandonarsi alla tecnologia, delegando a quest’ultima la funzione propriamente formativa.

Keywords

Metaverso; Eduverso; scuola; formazione; innovazione

Avrei potuto dare a questo scritto un titolo diverso, magari più politically correct, e segnatamente “Il Metaverso è educativo?”, e forse i lettori lo avrebbero trovato più consono ad una certa maniera di impostare ed articolare i discorsi di scuola. Il problema, però, è che io non sono un autore comune, e, quindi, decido di spiazzare i lettori con un titolo divergente rispetto ad una certa vulgata scolastica o ad un comune sentire.

Non mi piacciono le cose banali, anche se sovente ripeto cose banali. La banalità, però, a dirla tutta, sta negli occhi di chi legge. Infatti, sempre più spesso è opportuno ribadire e ripetere cose banali perché il mondo pare aver dimenticato il senso proprio delle cose stesse.

Il Metaverso non è educativo, certo, ma è pure formativo? Attualmente, in tempi di PNRR, di scuola 4.0 e di rigenerazione degli ambienti scolastici, ed altre cose affini, è tutto un pullulare di discorsi, lodi e corsi di (in)formazione su Metaverso, intelligenza artificiale, scienza dei dati e realtà virtuale (giusto per averne una piccola idea si può consultare la seguente query: https://scuolafutura.pubblica.istruzione.it/search?q=METAVERSO&type=it.noema.pnsd.model.Training).

Si tratta di cose lodevoli in sé se miranti a colmare lacune formative nei docenti, ma biasimevoli se miranti invece, come purtroppo accade molto spesso nelle scuole del Regno, ad inseguire la chimera dell’innovazione digitale fine a sé stessa. Infatti, non basta dire Metaverso per fare (cose da) Metaverso. Non basta formare i docenti sul Metaverso se poi le scuole non sono in grado di fare (cose con il) Metaverso. E qui veniamo alla banalità scontata. Il fine della scuola è il Metaverso? E, mutatis mutandis, l’innovazione digitale di per sé? No, però, non lo si dice. Quel che si dice, invece, o che si stente ripetere spesso e in giro, dentro e fuori le aule scolastiche, è di segno contrario, e segnatamente che l’innovazione, soprattutto quella tecnologica e/o digitale, è la terra dorata cui le scuole devono obtorto collo adeguarsi. Tutti gli atti di indirizzo delle dirigenze scolastiche, da almeno alcuni decenni, infatti, decantano, e declinano, in ogni forma possibile le meraviglie delle tecnologie, additate agli stakeholders (Per un loro possibile elenco non esaustivo, Paletta – Bonaglia – Boracchi – Peccolo (2011) pp. 29 – 30) – che brutta parola! – come la destinazione cui fatalmente le scuole, per loro stessa definizione, dovrebbero tendere, e di cui il Metaverso è solamente l’ultima più recente, oltre che in tendenza, incarnazione (https://it.wikipedia.org/wiki/Metaverso).

Verrebbe proprio di chiedere cosa sia il Metaverso in assenza di un suo standard o in presenza di contorni ancora molto vaghi e sfuggenti. Ma resisterò alla tentazione, in posizione diametralmente opposta a quella generalmente tenuta dalle varie scuole le quali, invece, celebrano il Metaverso come il futuro orizzonte della formazione istituzionale.

In effetti, pare importare poco se, sotto sotto, sfugga la natura propria del Metaverso agognato, ovvero di uno spazio tridimensionale al cui interno gli utenti si muovono per mezzo di avatar e dispostivi appositi per compiere azioni che possono avere effetti anche nella loro vita reale, come ad esempio adoperare valuta. D’altro canto, infatti, l’avatar è solamente la rappresentazione grafica di un utente quando entra in comunicazione con altri utenti all’interno dello spazio digitale (https://www.treccani.it/enciclopedia/avatar/). La cosa innovativa, forse, oltre che costituire l’elemento di maggior appeal, è il grado di coinvolgimento dell’utente durante la fruizione dell’esperienza stessa, resa possibile dall’utilizzo di devices appositi (visori, guanti, sensori manuali, …). Ad internet ci si connette, nel Metaverso ci si immerge.

Un altro elemento rilevante è che l’esperienza del Metaverso è connessa anche all’estremo grado di interconnessione tra realtà virtuale e realtà reale, al punto che molto spesso la differenza tra le due diventa evanescente mentre in parallelo aumenta l’ibridamento reciproco tra le stesse. E mentre negli anni ’90 questa possibilità era in qualche modo avvertita come rischiosa, oggi invece appare come l’elemento traino di una nuova maniera di connettersi con il mondo.

In un passato recente, uno scenario simile si ha avuto con Second Life, anche se in questo caso si trattava di un mondo virtuale al cui interno gli utenti accedevano per mezzo di avatar e vi compivano date azioni (più correttamente, attraverso un viewer). A ben vedere, si trattava di un mondo immersivo non educativo. Tant’è che, recuperando l’idea di base, ed alcuni elementi strutturali, come gli opensims, INDIRE ha costruito edMondo, proprio con l’idea di trasformare il mondo virtuale di Second Life in qualcosa di formativo per ipotetici alunni, adattando la struttura propria del mezzo alle funzioni specifiche della scuola (http://edmondo.indire.it/).

E qui urge tornare a ripetere cose scontate, ma spesso ignorate. Qual è la finalità della scuola? Cosa deve fare la scuola? Formare forse sulle nuove tecnologie? Talvolta, questo equivoco viene rafforzato anche da documenti comunitari, come ad esempio il DigCompEdu, tendenti a suggerire l’idea che la scuola dovrebbe educare gli alunni all’uso delle tecnologie, ammantando vagamente la cosa di technology literacy o delegando a quest’ultima incombenze educative che altre agenzie si rifiutano di svolgere. Spiace deludere i più, ma non è così. La finalità della scuola è formare persone che autonomamente possano realizzarsi nella loro vita adulta (Orefice 2011, p. 9), non educare (addestrare) all’uso di new media e di strumenti digitali. Come mai? E qui veniamo al nesso, di per sé banalissimo ma quanto dimenticato, tra mezzo e fine. Il fine della scuola è la formazione, non l’educazione soltanto, delle più giovani generazioni; il mezzo sono gli strumenti in virtù dei quali la scuola manda ad effetto detta finalità. I mezzi sono le app, i devices, le piattaforme, il Metaverso stesso; le finalità l’uso di questi ultimi per consentire alle persone di sviluppare i loro talenti e di realizzarsi come soggetti autonomi. Ma se questo è il fine, perché viene posta così tanta enfasi sui mezzi? Come mai si insiste solo sui mezzi e si tralasciano i fini? Perché guardare al dito e praticamente mai alla luna?

Indicare l’innovazione digitale come il punto di arrivo delle pratiche didattiche rispetta la distinzione summenzionata? A mio modesto modo di vedere, assolutamente no. Si assiste, spesso del tutto impotenti, all’inversione dei due termini, il mezzo diventa il fine e quest’ultimo il mezzo. E allora la formazione degli alunni diventa così il mezzo di affermazione ed utilizzo delle innovazioni tecnologiche.  O, se si preferisce, le persone vengono fagocitate dai mezzi medesimi, loro sì liberi di affermarsi e di attualizzarsi. Questa è la triste tendenza della scuola pubblica italiana sin da quando ne ho notizia, quasi che l’obiettivo delle scuole fosse correre dietro al futuro digitale, e non utilizzare il digitale per continuare a svolgere la propria missione (non vocazione, please!). Ed allora è interessante porsi la seguente questione: quante delle innovazioni progettuali, e connessa formazione per il personale, si sono tradotte in effettive pratiche didattiche volte a formare gli alunni? Difficile dirsi, problematico stabilirlo, non scontato appurarlo. Mi sia consentito, a questo punto, fare un ennesimo esempio. Alcuni anni fa venne lanciata una piattaforma didattica chiamata Edmodo. Ebbe un certo successo perché, così mi venne presentata durante un corso interno di formazione, “è simile a Facebook”. In effetti, alcuni elementi, come la timeline e la gestione degli oggetti digitali, così come il layout e i colori, ricordavano molto la piattaforma social. Tuttavia, queste considerazioni estetiche non dovrebbero mai allontanarci dal porci le questioni serie sulle ricadute didattiche delle innovazioni digitali. Infatti, in che modo questa piattaforma ha inciso positivamente sulla pratica didattica? In breve, ha costituito una certa estensione della normale pratica, ma nulla di più. Siamo rimasti ben lontani da una effettiva evoluzione in senso digitale della didattica. E come mai? L’errore, se mi è concesso, è che il mezzo venne visto come un sostituto smart del fine didattico: essendo più nuovo del docente, la sua mera introduzione avrebbe comportato un valore formativo aggiunto non quantificabile.

Per meglio chiarire questo ragionamento, adoperiamo un altro esempio, stavolta più vicino a noi, e segnatamente le classi virtuali di Google, durante la pandemia prima e la cosiddetta Ripartenza dopo. Chi credeva di trovarvi un efficace sostituto, magari anche più “smart” del docente è rimasto deluso. La Classroom, ad esempio, è un ambiente, è un mezzo, è soltanto un’intelaiatura che il docente può adoperare per formare i suoi alunni. Il mezzo, per sua definizione, non possiede un valore formativo nativo (Rivoltella 2013, p. 20). È il docente che lo crea per suo tramite (Rivoltella 2013, p. 21). Paradossalmente, dunque, il mero ritorno alla lezione in presenza è stato il risultato di questa delusione collettiva: non avendo trovato un bot che replicasse automaticamente il docente, si è tornati a fare, bene o male, quello che si faceva prima di Marzo 2020. Un risultato triste, al netto della sua prevedibilità già dai primi giorni di svolgimento della DAD, con la levata di scudi da parte dei “puristi” della lezione (quella vera, autentica, pura) solo in presenza nello spazio fisico dell’aula e dei genitori preoccupati della salute emotiva dei propri figli privati della socializzazione d’aula.

Eppure, c’è una lezione da imparare, anche in queste tristi traversie didattiche. Se l’innovazione viene vista come formativa di per sé sono proprio questi i guasti o il risultato raggiunto, prendere lucciole per lanterne. Oppure cercare inutilmente di acchiappare con la mano un esiguo numero di pagliuzze disperse ai quattro venti. Organizzativamente dispendioso, politicamente impopolare e formativamente neutro.

E quindi, volendo non essere ignari, e ripetendo giocoforza delle amenità, il Metaverso è formativo? E con questo interrogativo mi chiedo se e in che misura possa tornare utile in quanto mezzo per le finalità formative proprie della scuola. Il Metaverso non è formativo. Ma di per sé non lo è nessuna tecnologia, né la LIM, né Internet, né il BYOD, né la lavagna in ardesia, e nemmeno la cara voce del docente. Le tecnologie dell’istruzione diventano formative nella misura in cui vengano giocate in funzione della formazione degli alunni. Altrimenti, diventano un trastullo più o meno impegnato, talvolta ludico, ma nulla di propriamente formativo. Con le parole di Rivoltella (2013, p. 21), «una didattica è stupida anche quando confonde l’innovazione con l’aggiornamento tecnologico, agisce vecchie pratiche attraverso nuovi formati, mette al centro lo strumento e non i processi. Questa didattica non coglie il significato del cambiamento, inganna gli studenti, illude i genitori».

Ma da quando il mero smanettare serve alla formazione dei giovani? E, per estensione, sino a che punto una scuola prona alla tecnologia continua a fare il suo? Non è che l’istituto della delega valga soltanto per i genitori nei confronti delle scuole frequentate dai figli; la delega vale anche per le scuole che abdicano alla loro funzione confidando, piuttosto ottimisticamente, che ogni problema magicamente verrà risolto dalla tecnologia, l’altro ieri dalla televisione, ieri da internet, oggi dalla Smartboard, domani dal Metaverso. Ma delegando si finisce con il venir fagocitati dal mezzo stesso, a nostra insaputa, e colpevolmente, strumenti per un delitto perfetto (Baudrillard, 1996). Il mezzo va adoperato, non idolatrato o imitato, sebbene in qualche misura influenzi il fine stesso.

Il valore formativo viene costruito attraverso il mezzo, non è portato naturalmente dal mezzo.

Giusto per rendere più chiare le nostre idee. Il digitale a scuola divide da sempre, polarizzzando gli animi tra gli entusiasti e gli scettici. In mezzo ai litiganti mi pongo io. Non bisogna demonizzare gli strumenti, e nemmeno adorarli. La vita dei nostri studenti non è più vera “là fuori” per il semplice fatto che li immobilizziamo al loro banco, inondandoli di pillole digitali. Come sostiene curiosamente Frabboni (2013, p. 95). Bisogna trattarli secondo la loro natura, di strumenti. Ma ciò significa anche che bisogna aver chiara la differenza, in sé banale ma quasi sempre equivocata, tra mezzo e fine in didattica.

Il Metaverso per poter sortire effetti formativi deve evolvere in senso formativo, diventare cioè un Eduverso, ovvero una sua particolare curvatura che possa scolasticamente essere efficace, e che, forse soprattutto, rispetti la funzione formativa della scuola.

Di conseguenza, l’Eduverso non coincide con l’intero Metaverso, esattamente come lo stesso Metaverso non coincide con l’intera virtualità della rete Internet. Ma esiste davvero qualcosa chiamato “Metaverso”? Si spera che non sia l’ennesima mossa da marketing (https://www.wired.it/article/metaverso-non-esiste/) mentre innegabilmente appare non emergere ancora un standard condiviso di cosa dovrebbe essere.

Ed il discorso si potrebbe senza dubbio estendere ulteriormente, ma farlo ci porterebbe davvero lontano.

Perché il Metaverso possa allora essere formativo è richiesto il soddisfacimento di alcune condizioni davvero minime, anch’esse in genere ignorate dai più e/o dagli stessi estensori dei documenti istitutivi delle singole istituzioni scolastiche. Quali? Proviamo ad indicarle:

  1. Ambienti sicuri per l’utenza;
  2. Rispetto della riservatezza degli utenti;
  3. Una cornice unitaria di effettuazione.

Per fruire del Metaverso è necessario adoperare delle piattaforme apposite. Queste ultime devono, dunque, operare tenendo conto degli utilizzatori finali, ovvero dei soggetti in formazione. Sono allora necessarie delle licenze che garantiscano questi ultimi, prevenendo contenuti inappropriati e consentendo anche di operare senza correre inutili o pericolosi rischi riguardo alle reti di connessione o alla comunicazione tra utenti con un profilo non scolastico. Senza la mediazione di detti ambienti sicuri non potrebbe darsi alcuna utilità formativa per il Metaverso, e, soprattutto, la scuola verrebbe meno alla sua missione specifica, ovvero prendersi cura dei soggetti in formazione.

Ma le stesse piattaforme, proprio in ragione della particolare utenza, dovrebbero garantire anche il massimo rispetto possibile per i dati personali di chi li adopera. Dati anagrafici, preferenze, eventuale profilazione dei dati, trattamento di questi ultimi vanno garantiti da chi gestisce l’accesso al mondo virtuale. Trattandosi di soggetti in formazione, sarebbe preferibile aumentare questa tutela richiedendo anche specifiche autorizzazioni scritte da parte di chi esercita la potestà genitoriale. Analoga tutela dovrebbe essere garantita anche a chi opererebbe per loro tramite.

In passato, si sono introdotte nella scuola LIM e registri elettronici ma senza dotare gli utenti delle competenze e/o degli strumenti necessari per utilizzarli. Alcune scuole hanno obbligato i docenti, ad esempio, a dotarsi di tasca propria degli strumenti utili per poter compilare il registro elettronico. A tal proposito, mi piace comparare questa situazione reale con la seguente fittizia. Immaginiamo che un giovane chirurgo venga assunto da parte di una direzione sanitaria. Firmato il contratto d’assunzione, il direttore sanitario gli fa visitare la struttura. Mentre visitano una sala operatoria, il neoassunto si accorge improvvisamente che mancano i ferri per operare. Sorpreso, ne chiede conto al direttore sanitario. Laconica la sua risposta, “garantiamo la struttura, non i mezzi per lavorare. A quelli, caro dottore, dovrà pensare lei, acquistando di tasca sua tutto ciò di cui necessita”. Non si ripeta l’errore del passato. Se si desidera che le scuole rendano il Metaverso un Eduverso è necessario che le varie pratiche possano realizzarsi all’interno di una comune cornice di istituto. Cosa sarebbe detta cornice? Che sono le istituzioni scolastiche a dover garantire per tutti le medesime condizioni di utilizzo (licenze; app; devices; banda dati; etc.), altrimenti l’Eduverso si frantumerebbe in una miriade di azioni frammentarie ed episodiche, dalla infine dubbia valenza formativa. Meglio ancora sarebbe se l’Eduverso di istituto derivasse da un piano singolo ed unitario per singola istituzione scolastica, garantendo a tutti e a ciascuno medesime possibilità (Calvani 2009, p. 120). Al riguardo, Calvani lamenta l’erronea credenza nel tocco magico delle tecnologie in assenza di un piano organico, condiviso, cooperativo di istruzione ed apprendimento. Nell’attuale frantumazione delle pratiche didattiche delle singole istituzioni scolastiche, infatti, ogni singolo nuovo elemento ivi introdotto aggiunge soltanto del “rumore” al persistente frastuono misto di sottofondo.

A scuola si fanno tante cose, ma le une si affollano, si mischiano, si equivocano, si spintonano, si sovrappongono, si fanno la concorrenza, si fanno gli sgambetti, … Fuor di metafora, ma nemmeno tanto a dire il vero, è in questo che consiste la crisi della scuola.

Quante volte si sente ripetere, dentro e fuori le scuole, che la scuola debba cambiare, che debba fare proprio il cambiamento, che debba guidare essa stessa il cambiamento? E quante volte questi slogan hanno fallito? Trovo al riguardo attuali le parole di Calvani (2015, pp. 23 – 4), sui peggiori consigli che si possano dare a una scuola che vuole migliorare:

  • fare un uso sanzionatorio dell’accountability (cioè il ricorso a test per biasimare classi e scuole che falliscono e premiare quelle che riescono);
  • promuovere affermazioni e leadership personali nella scuola;
  • pensare che la tecnologia risolverà i problemi;
  • impiegare strategie frammentate e incoerenti.

Come visto, dunque, solo soddisfacendo tutte e tre le condizioni di cui sopra, il Metaverso potrà diventare formativo. In caso contrario, rimarrà il Paese dei balocchi della fantasia collettiva. Oppure la proiezione ingannevole dei desideri di una istituzione frustrata.

In conclusione, però, e mi si sia consentito dirlo, sarebbe davvero un peccato inverare l’eterno adagio della scuola pubblica italiana, ovvero saper fare le nozze con i fichi secchi.

Bibligrafia

J. Baudrillard (1996), Il delitto perfetto. Come la televisione ha ucciso la realtà, Milano, Raffaello Cortina.

A. Calvani (2015), Come fare una lezione efficace, Roma, Carocci.

A. Calvani (2009), Teorie dell’istruzione e carico cognitivo. Modelli per una scuola efficace, Trento, Erickson.

F. Frabboni (2013), Le vie della formazione. Scuola e sfide educative nelle società dell’informazione, Trento, Erickson.

P. Orefice (2011), Pedagogica sociale. L’educazione tra saperi e società, Milano, Bruno Mondadori.

A. Paletta – C. Bonaglia – C. Boracchi – L. Peccolo (2011), La scuola rende conto. Idee e strumenti per la costruzione del bilancio sociale, Milano, Bruno Mondadori.

P. C. Rivoltella (2013), Fare didattica con gli EAS, Brescia, La Scuola.

Sitografia

http://edmondo.indire.it/

https://scuolafutura.pubblica.istruzione.it/search?q=METAVERSO&type=it.noema.pnsd.model.Training

https://www.treccani.it/enciclopedia/avatar/

https://it.wikipedia.org/wiki/Metaverso

https://www.wired.it/article/metaverso-non-esiste/

(fonti verificate al 28/01/2023)

(*)

Sono un dottore di ricerca, un prof, un marito, un padre. Da sempre appassionato di informatica ed affini (da quando almeno pigiavo i tasti in un improbabile dialetto british del BASIC su uno schermo ai fosfori verdi), tengo ferma la barra a dritta tra “fare scuola” e “discettare di scuola”, al netto di conformismi, autoritarismi, ipocrisie e giuochi delle parti. Probabilmente per via del mio particolarissimo percorso formativo, che annovera, tra le altre cose, anche due corsi di specializzazione post lauream (SISS).

Profondamente convinto della necessità di essere dei modelli credibili (veri, e, dunque, più concreti) per i giovani, ritengo che gli spazi frequentati dai giovani debbano, fuor di metafora, essere presidiati dagli adulti; non per scimmiottare malamente la vita giovanile, ma per garantire i più fragili nella loro vita sociale e per consentire a tutti degli esempi concreti di alternativa al conformismo o alla mera emulazione amorale. Sono banale? Forse sì, ma è sicuramente meglio anche razzolare bene, che limitarsi invece a predicare bene ex cathedra.

La mia ultima pubblicazione è il ricordo commosso di Bruno Celano (https://filosofiaenuovisentieri.com/2022/06/25/la-logica-che-e-pensiero-il-pensiero-che-e-logica-e-la-vita-che-e-altro/), ma in precedenza ho scritto anche di didattica (https://www.academia.edu/12902814/La_flipped_classroom?source=swp_share), organizzazione scolastica (https://www.academia.edu/30539838/La_scuola_autonoma_organizzazioni_complesse_e_legami_operativi_deboli) , cyberbullismo (https://www.diritto.it/cyberbullismo-ed-educazione-politiche-contrasto-alla-luce-della-recente-legge/) e di … AI (https://filosofiaenuovisentieri.com/2021/09/19/lllievo/)!