Progettazione culturale, digitale ed una nuova idea di offerta culturale – La valorizzazione culturale 4.0

Ne abbiamo parlato con Massimiliano Zane, approfondendo i contenuti del suo ultimo libro in uscita: Breve Guida – La valorizzazione culturale 4.0, che tratta anche di musei, ma soprattutto del nuovo rapporto tra le tecnologie e il mondo della cultura.

Negli anni l’impatto della digital transformation ha provocato un cambiamento epocale inimmaginabile anche solo recentemente nel contesto culturale.

In che modo l’ambiente digitale sta influenzando il mondo delle organizzazioni culturali?

Le variazioni interpretative dell’idea stessa di Patrimonio culturale con cui oggi quotidianamente ci confrontiamo, da addetti ai lavori, ma anche da semplici appassionati o fruitori occasionali, rendono particolarmente evidente la complessa evoluzione in materia di contatto, diffusione, divulgazione, narrazione del patrimonio e quindi della sua valorizzazione. Un principio sempre più rivolto a considerare il “valore” di qualcosa, secondo la volontà di “farlo valere di più” (e non solo economicamente), quindi renderlo più manifesto, più conosciuto. Ciò implica, innanzitutto, il riconoscimento di un contesto, di relazioni, di dialogo, quindi della comprensione di bisogni ed aspettative che richiedono di esser soddisfatte secondo differenti modalità a differenti livelli di accessibilità. Tale complessità trova riscontro anche nel contesto sociale e culturale in cui la diffusione delle nuove tecnologie si configura, al contempo, come causa ed effetto di buona parte di questa evoluzione, favorendo un profondo cambiamento nella comune percezione del patrimonio e delle modalità richieste dalla società per la sua fruizione. Partendo dal principio secondo cui l’innovazione è un fatto culturale, prima ancora che tecnologico, oggi come non mai occorre sostenere la maturazione di una consapevolezza nuova rispetto alla relazione tra digitale e cultura.

E considerando il contesto museale in particolare come oggetto di riflessione: Perché secondo Lei la digital transformation e la comunicazione digitale possono essere importanti per i musei?

Digitalmente parlando di cultura e musei la parentesi che si apre è ampia e inizia dall’evoluzione dei contesti sociali, del quadro normativo e degli strumenti tecnologici a supporto della fruizione e dell’accessibilità al patrimonio culturale. Non si tratta solo di comunicazione e social media ma parliamo anche di tecnologie strutturali e strumentali: trasposizione in digitale delle collezioni e del materiale bibliografico d’archivio; o della messa a sistema dei supporti online, come i siti internet, e della ridefinizione degli standard dei servizi offerti, ad esempio e-commerce e bigliettazioni; di comunicazione di contatto e fruizione onsite, con ri-allestimenti che prevedano innesti tecnologici innovativi, come APP o VR, o online, si coi “social” o i virtual tour, ma anche della qualità dei contenuti che propongono. Quindi: di cosa si sta parlando quando si parla di digitalizzazione dei musei? Di tutto quanto di cui sopra messo insieme, ecco di cosa si sta parlando. Digitalmente parlando di cultura e musei  il valore aggiunto delle tecnologie per la valorizzazione e la fruizione sta nell’esser parte di una strategia complessiva, non nella semplice somma delle parti.

Parlando poi di un elemento cardine della cultura, quello della partecipazione culturale, che ormai risulta discriminante per quanto riguarda l’audience development culturale, centrale diventa padroneggiare un efficace storytelling perché è proprio dal racconto che nascono “attrattività” e “soddisfazione”, discriminanti fondamentali nell’orientare, tanto positivamente quanto negativamente, il processo di scelta di un museo o una località da visitare.

A questo proposito va certamente ricordato come gli strumenti digitali siano in grado di amplificare proprio il valore multi-esperienziale nel patrimonio culturale, fornendo un’integrazione tra contenuti culturali tradizionali e altre esperienze come socializzazione, intrattenimento e apprendimento in cui i visitatori godono di una nuova forma di valore narrativo co-creativo, quindi proprio di soddisfazione.

Inoltre per quanto detto sopra: quel che prima era una opportunità oggi è una necessità. Un cambio di passo del settore non solo auspicato, ma richiesto, che per compiersi deve iniziare dal rivedere alcuni dei paradigmi propri delle attività di diffusione culturale secondo una nuova interpretazione della relazione tra contenuto e fruitore in chiave partecipativa, anche attraverso un saggio uso di queste nuove “regole di ingaggio”, capaci di compiere non una sostituzione delle metodologie più “classiche” di fruizione e divulgazione, ma di creare vere e proprie nuove esperienze commiste, incrementando le potenzialità dell’innovazione tecnica, ma soprattutto facilitando il compiersi di quella tanto ricercata centralità del pubblico intesa come innovazione sociale. Perché se la trasmissione culturale, negli ultimi anni, si è sempre più fatta narrazione ed esperienza, come tale va interpretata a partire dal contenuto, in cui la tecnologia può e deve essere solo un mezzo e mai il fine, in un processo che i musei devono fare proprio, pena l’esclusione dalla contemporaneità della società di cui sono parte integrante.

Di cosa parla il suo libro?

Questo libro nasce come sintesi dell’esperienza pluriennale accumulata nello svolgimento della mia attività lavorativa di progettista culturale. In concomitanza con tale attività mi sono occupato dello sviluppo e dell’applicazione di soluzioni multi- mediali e digitali di alto profilo, atte alla valorizzazione del patrimonio culturale nazionale e tale esperienza mi ha portato a voler condividere una considerazione: parlare di tecnologie nei musei non significa affatto parlare solo di social media. Il nostro patrimonio culturale non risulta più costituito solo da un insieme di oggetti d’arte ma diviene elemento sociale, utile tanto alla crescita culturale e all’integrazione di una comunità con il suo territorio, quanto a favorire sviluppo economico locale generando occupazione e favorendo opportunità imprenditoriali.

Partendo da questo assunto, il settore culturale oggi deve giocoforza confrontarsi con un nuovo equilibrio tra domanda e offerta dell’esperienza culturale. Un complesso lavoro di ri-progettazione che, unito alla diffusione delle tecnologie, ha spinto i luoghi della cultura a razionalizzare e funzionalizzare sia i propri spazi fisici, che le modalità di condivisione dei propri contenuti culturali. Tuttavia, in questo panorama connotato da una grande complessità, talvolta i principi sull’uso della tecnologia che determinano la differenza tra “mezzo” e “fine” vengono a confondersi. Ciò può limitare la capacità di adattare in maniera ottimale la propria offerta culturale alle nuove forme di fruibilità e valorizzazione. Provando a mettere ordine a tale prospettiva, questo testo si propone di fornire gli strumenti basilari per orientarsi nel panorama in costante evoluzione delle tecnologie multimediali al servizio della cultura, così da aiutare operatori e responsabili di organizzazioni, associazioni, musei, biblioteche, soggetti pubblici e privati, che vogliono confrontarsi con la progettazione culturale 4.0, a migliorare le strategie e gli obiettivi della propria organizzazione raccontando la propria identità culturale in maniera partecipata e innovativa. 

Quali sono i benefici e le opportunità offerte dal digitale e dalle nuove ICT? Quali invece le criticità?

La combinazione bilanciata tra l’autenticità del patrimonio culturale (museale o territoriale) ed il contenuto innovativo, stimola l’engagement di nuovi visitatori ed il pubblico consolidato a rivisitare; ed attiva il processo di collaborazione intelligente e l’interazione sociale tra i Ciò che oggi possiamo augurarci in termini di sviluppo di una nuova narrativa culturale è legato al saper reinterpretare i nuovi “luoghi della cultura” come organismi in evoluzione, risultato di un lungo processo non concluso di adattamento alle nuove tendenze sociali, e ciò riguarda tanto il potenziale creativo ed espressivo tecnologico offerto dal mercato agli istituti, quanto a quello collettivo del pubblico. Accettare questo significa porre le basi per una reale inversione di tendenza e frenare lo spopolamento culturale. visitatori e l’elemento culturale ed esperienziale. Una relazione innovativa tra pubblici ed istituti in cui “luoghi della cultura” si connotano come mediatori di significati, acceleratori e facilitatori di conoscenza attivi ed in cui la dimensione educativa e formativa dei musei trova nuove modalità di espressione, arricchendo il modello educativo scolastico.

D’altra parte, però, se da un lato la nuova narrazione può oggettivamente amplificare l’innata capacità di proporre esperienze coinvolgenti tipica dei musei, creando nuove occasioni di contatto e relazione che favoriscono il dialogo e la condivisione; dall’altro lato va sottolineato il ruolo pervasivo dell’innovazione, a cui necessariamente occorre prestare attenzione, in particolar modo per ciò che riguarda la “consapevolezza dell’innovazione”, consapevolezza (soprattutto dei rischi di un uso scorretto dei mezzi) che oggi troppo spesso presenta forti limitazioni: ad oggi, il modello comune dell’offerta esperienziale e narrativa culturale, in particolar modo per quel che riguarda quella museale italiana (in cui il ruolo educativo, divulgativo e formativo è una caratteristica che va considerata intrinseca nell’identità museale stessa), è ancora spesso ancorata ad una modalità sostanzialmente tradizionale, fatta di “osservazione passiva”, da un lato, e molto superficiale dall’altro, dal lato proprio dell’uso degli strumenti. Tuttavia sempre più casi virtuosi si stanno affacciando in questo complesso panorama, spostando gradatamente l’orizzonte verso un maggior impegno attivo e interpretativo delle opportunità/necessità di supporto dell’esperienza di visita, proprio grazie ad una maggior dimestichezza nell’uso delle potenzialità tecnologiche e multimediali.

Com’è cambiata la costumer experience/visitor experience nel corso degli anni?

Secondo Lei, nel percorso di visita dei musei il concetto di “experience” deve essere considerato una best practices/un “must have” per i manager culturali?

Gli studi sulla “Customer Satisfaction” di Burns e Neisner (2006) ma anche Il rapporto della Commissione Europea “Cultural access and participation n.7”, o le ricerche condotte dall’economo Martin Falk e dalla sociologa Tally Katz-Gerro, descrivono chiaramente il ruolo sempre più centrale di persuasione che le emozioni hanno nel formare, orientare e sedimentare le nostre convinzioni e, conseguentemente, le nostre scelte ed aspettative. Gunn (1988) e Echtner / Ritchie (1991), similmente, ci suggeriscono come le nostre “intenzioni” siano sostanzialmente governate da aspetti cognitivi e affettivi. Le emozioni dunque oggi come non mai ci guidano, ci suggeriscono come comportarci in rapporto con il mondo che ci circonda. Agiscono come fonte di informazione, di comparazione, di orientamento e di esplorazione. Un complesso meccanismo di formazione ed auto- formazione che influenza fortemente il nostro potere decisionale.

Conseguentemente a queste premesse, e se è vero, com’è vero, che l’ambiente e le prassi in cui i nostri bisogni di consumo si sono modificati, anche bisogni e aspettative connessi alla fruizione del contesto culturale richiedono sempre più di esser soddisfatti secondo differenti modalità a differenti livelli di accessibilità e nuove dinamiche di personalizzazione nell’offerta dell’esperienza di visita. Un elemento, quello della partecipazione culturale, ormai discriminante per quanto riguarda l’audience development culturale.

Inoltre la crisi economica del 2009 risulta essere solo in parte responsabile di tale calo. La razionalizzazione economica e gli effetti negativi nel lungo periodo che hanno gravato sulla capacità di spesa del singolo individuo hanno portato ad una ridefinizione di quello che socialmente viene considerato “bene primario”. Tale prospettiva ha causato una grave disaffezione sociale nei confronti dei beni culturali, la cui fruizione viene ritenuta oggi sostanzialmente superflua ed accessoria da parte di una crescente porzione di popolazione europea: alla mancata possibilità di accedere a servizi e ad attività culturali è sopraggiunta anche una mancata volontà di dedicarvisi.

La questione, allora, pare non essere chiara nella differenza tra mezzo e fine, quindi, forse, occorre lasciare per un momento da parte il come, il mezzo (la narrazione culturale), per affrontare prima il tema del perché, del fine (la valorizzazione), al fine di comprenderne meglio le potenzialità d’uso (ma anche le criticità). Perché ancora troppo spesso si tende a semplificare l’esperienza culturale secondo una equazione lineare di “entrata, sosta davanti alle opere, uscita”. Un modello che non considera il “valore di attrattività” ovvero ciò che può fare la differenza nella scelta o meno di accedere ad un museo o di usufruire di una esperienza culturale. Una somma oggettiva e soggettiva che nasce dall’equilibrio tra il “tempo” (interesse) e il “costo” di quella esperienza e che diventa “valore d’interesse”.

In questo senso le politiche culturali progettate in questi anni per rendere i siti culturali accessibili a un pubblico più ampio, non sono state capaci di centrare a pieno l’obiettivo. Ciò identifica nell’accrescimento delle occasioni di crescita educativa una delle principali sfide su scala europea da fronteggiare per superare anche le difficolta del settore culturale. semplificando, il settore culturale dovrà sempre più confrontarsi con un nuovo equilibrio tra domanda e offerta dell’esperienza culturale in cui sarà sempre più l’offerta culturale a creare la domanda.

Tuttavia le istituzioni culturali nel complesso (non tutte) continuano a sostenere che la mancanza di attrattività sia “colpa” dell’apatia culturale dei visitatori data sostanzialmente dalla crescita nell’uso di internet e dei nuovi media. Posizione che tuttavia le evidenze non sembrano confermare. Infatti, ad un abbassamento dei numeri nella “partecipazione fisica” alla cultura, un numero crescente di persone si è rivolto ad altre fonti per soddisfare i propri “bisogni culturali” di intrattenimento e apprendimento utilizzando modi “alternativi” per condividere l’arte, la musica e le proprie ed altrui storie reciprocamente. Allora la domanda da porsi è: come mai, nonostante si possa ancora riscontrare una certa volontà di contatto e relazione per un’ampia gamma di input culturali, larghe porzioni di pubblico decidono di tralasciarne la componente esperienziale attiva- fisica e quindi di non frequentare abitualmente mostre e musei, biblioteche, teatri, cinema e spazi culturali?

Sempre più il focus delle organizzazioni culturali verte sull’utilizzo delle strategie di managament e marketing digitale. In particolare, si è molto attenti a perseguire percorsi strategici di audience develpment, di digital education (edutainment ed engagement), di customer satisfaction e della customer experience.

Cosa ne pensa a riguardo? Quali migliori strategie di management e marketing digitale ritiene siano indispensabili per rimanere competitivi nel mercato?

Ancora troppo spesso si tende a semplificare l’esperienza culturale secondo una equazione lineare di “entrata, sosta davanti alle opere, uscita”. Un modello che non considera il “valore di attrattività” ovvero ciò che può fare la differenza nella scelta o meno di accedere ad un museo o di usufruire di una esperienza culturale. Una somma oggettiva e soggettiva che nasce dall’equilibrio tra il “tempo” (interesse) e il “costo” di quella esperienza e che diventa “valore d’interesse”. Uscire da questa morsa sarebbe già una azione di rinnovo fondamentale. Allora Passare dal biglietto alla tessera, e dal “visitatore” al “socio”, rappresenta una trasformazione profonda (e profondamente giusta) del concetto di #museo e della sua accessibilità, un’opportunità di avvicinarlo di più alla sua comunità, di offrirlo al cuore della città. Perché i visitatori “ospiti” hanno una voce, certo, ma i “soci”, coloro che vivono quotidianamente un rapporto con l’arte, ma anche coi servizi (fisici e online) e con gli spazi museali, non limitandosi a una sola visita, ma vivendoli giorno per giorno, ne hanno un’altra, più consapevole. Ed è lì cui dobbiamo oggi guardare, e a intuizioni come questa di Brera, attraverso cui si può (si deve) ripensare l’idea di accessibilità culturale e responsabilità turistica: serve passare dal biglietto alla tessera, all’abbonamento, per plasmare un flusso di accesso e renderlo inclusivo e sostenibile, che assimili i turisti ai cittadini senza escludere gli uni o gli altri, ma soprattutto per garantire la miglior libertà e partecipazione di fruizione possibile. Perché l’identità di un museo (e il suo modello economico) dovrebbe basarsi su tutto ciò che fa per valorizzare le sue collezioni, non solo sul numero dei visitatori come misura del suo successo.

Significa introdurre nei processi di sviluppo territoriale del nostro Paese nuove prospettive che possono (devono) favorire l’uscita dalle logiche di “marketing” e di comunicazione del secolo scorso, e a cui territori, enti locali (e musei) troppo spesso si sono piegati. Passare da una impostazione verticale ad una orizzontale, significa ampliare le occasioni di relazione culturale, amplificando reti, differenziando mete e luoghi e coinvolgendo nuove comunità, il che non può che avere ricadute positive. Si tratta di riscrivere in modo più esteso le dinamiche di programmazione culturale pensando oltre l’emergenza pandemica per posare oggi le basi di uno sviluppo sostenibile dei territori di domani.

E qui si apre la parentesi legata alla circolazione delle immagini digitali delle collezioni museali:

Dal Rijksmuseum di Amsterdam al Metropolitan di New York alla National Gallery di Washington, dal Mauritshuis de L’Aia al Belvedere di Vienna, sono quasi 800 i musei, le gallerie e le biblioteche in tutto il mondo che hanno sposato una politica “open access” per le loro collezioni, con migliaia di capolavori liberamente condivisibili. Una circolazione di immagini che è anche uno strumento di promozione indiretto. Perché parlando di digitalizzazione dei musei il termine ed il campo che si investe è ampio e plurale, non parliamo solo della “semplice” trasposizione in digitale delle collezioni e del materiale bibliografico d’archivio, ma della messa a sistema dei supporti online e della ridefinizione degli standard di fruibilità, non che di strategie e servizi di accessibilità offerti.

Allora, forse, prima che di voler ridefinire e incrementare superficialmente l’offerta culturale nazionale con “effetti speciali”, offerta già sovrabbondante, si potrebbe iniziare proprio da qui: dal ripensare l’idea di accoglienza e progettare nuovi modi e luoghi per una nuova diffusione e accessibilità, aprendo a nuove strategie di valorizzazione. E un possibile rinnovo (e rilancio) dell’offerta culturale, ad esempio in Italia, può passare da qui, anche “solo” dalla messa in disponibilità, strutturata e diffusa, dei depositi degli istituti esistenti secondo una fruizione “allargata”.

Le iniziative di digital education contribuiscono a creare valore aggiuntivo all’offerta culturale?

Assolutamente si, se ben equilibrate. Un progetto che va oltre l’intrattenimento, la didattica, e che mira a valorizzare nella confluenza di arte, scienza, tecnologia il rapporto tra sé, il mondo e le proprie e altrui percezioni attraverso la creatività, stimolando abilità e forza espressiva, non può che avere effetti positivi. Intesa in questo modo la digital education si può ben agganciare all’edutainment ed alla sua componente ludica, un altro elemento principe atto a valorizzare al massimo i processi partecipativi propri. Un gioco, qualora ben condotto e con obiettivi educativi definiti, può facilitare l’apprendimento al museo e, in modo complementare, quest’ultimo (anche attraverso attività limitate nel tempo e/o nello spazio) può trasformarsi in un luogo capace di facilitare le opportunità di gioco.

La presenza di proposte di tipo ludico rappresenta un’esperienza capace per alcuni di motivare intrinsecamente la visita favorendo il coinvolgimento e l’insieme del tutto può essere un grande valore aggiunto. Intesi altrimenti, solo come mero intrattenimento allora questi elementi non avranno la benché minima capacità di innescare processi di sviluppo reali e concreti.

Osservazioni conclusive:

A suo parere quali sono le sfide che le istituzioni culturali devono affrontare al giorno d’oggi? Quali sono le principali difficoltà? Quali le cose da migliorare ed implementare?

Ci sono domande che si rincorrono quotidianamente tra le mura di un museo: in cosa consiste il gradimento di un’opera? O ancora, quali sono le variabili personali e ambientali che influiscono su questo gradimento? E Le risposte “tradizionali” spesso sono troppo approssimative. Non solo il modo di osservare, quindi, ma anche come si arriva all’opera e come e per quanto tempo la si osserva diventano rilevanti al fine della conoscenza dei pubblici. Una complessità informativa che aiuta ad approfondire le dinamiche di percezione e preferenza attraverso la raccolta e l’elaborazione di un grande numero di dati. Una misura applicabile a musei, siti e parchi archeologici, intere città oggi resa possibile solo grazie all’utilizzo di tecnologie che 5 anni fa non esistevano.

Perché nell’epoca dell’informazione i dati raccolti costituiscono un capitale molto prezioso per gli operatori, utili a evidenziare punti di forza ed eventuali criticità nella gestione dei flussi in rapporto con la finalità espositiva di contatto e diffusione culturale. Allora occorre evitare di cadere nella trappola delle semplificazioni: perché parlando di digitalizzazione della cultura occorre parlare della ridefinizione degli standard di fruibilità, nonché di strategie e nuovi servizi per una nuova accessibilità.

Quindi occorre che il sistema prenda coscienza di questa evoluzione, la padroneggi e non la subisca, sia in termini di conoscenza dei mezzi che dell’uso degli stessi, aggiornando non solo competenze e norme ma anche capacità e culture digitali: perché è interessante notare come se si parla (molto) di strumenti e (poco) di formazione di competenze, nulla si dice sulla formazione di una più articolata “cultura digitale”, propedeutica e fondamentale per l’uso a lungo termine di quegli stessi strumenti. E non è cosa da poco, perché è opportuno distinguere fra competenze digitali e cultura digitale: le competenze digitali sono insiemi di saperi che permettono di procedere a corto raggio e su breve durata, fondamentalmente con un approccio tattico; mentre la cultura digitale rappresenta la capacità di adottare una visione a largo raggio e di lunga durata, con un approccio strategico che usa anche le competenze di cui sopra. Competenze che, oggi, riguardano software, linguaggi, sistemi, piattaforme, e che sono destinate a invecchiare rapidamente, a causa dell’alto tasso di innovazione del digitale, mentre la cultura rappresenta la base teorica profonda che consentirà domani di cambiare software o sistema con la piena consapevolezza dei pro e dei contro muovendosi in una visione di ampio respiro.

Quale sarà il futuro dei musei? Il settore museale cambierà ancora? Fino a che punto? Di quali strumenti si avvarrà? Come cambierà l’esperienza museale?

La portata di strumenti digitali (non dei social media) ancora non viene compresa al 100%. Ma la chiave di questa evoluzione commista tra classico e digitale, non sta più solo nei mezzi ma soprattutto di come questi mezzi sempre più facilitino l’applicazione di una idea di “cervello collettivo” che sta dietro all’evoluzione stessa di un museo in cui le opere d’arte escono dalle stanze, comunicano con altre opere, e coi pubblici più diversi ad ogni latitudine, influenzando e influenzandosi e talvolta mescolandosi tra loro (quasi) senza confini.

L’incremento tecnologico che ha cambiato i nostri rapporti interpersonali quotidiani sta oggi sempre più modificando anche quelli di relazione, contatto e approccio ai musei e al patrimonio, dando il vita un’offerta fruitiva non più solo edonistica, statica, autoreferenziale ma sempre più capace di toccare le corde emozionali profonde delle persone. Mai come oggi la narrazione culturale 4.0 sta ri-definendo gli approcci ad ogni forma di esperienza di visita, memoria e conoscenza culturale fornendo sempre più opzioni «incrementali», «differite» o «laterali» di partecipazione e fruizione in un crescente dialogo tra humanities e science.

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Massimiliano Zane è Progettista Culturale e Consulente in Economia della Cultura. è consulente MIC, membro del Comitato Scientifico del Museo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, membro ICOM e ICOMOS, Independent Expert presso Council of Europe, parte della Expert of Management List of REA della Commissione Europea e Esperto “Senior” per i settori Cultura e Creatività e Progetti e Politiche Comunitarie per la Regione Emilia Romagna e per il Comune di Venezia. è docente in diverse università italiane, formatore ed esperto in processi partecipativi e concorre allo sviluppo ed all’applicazione delle Tecnologie Digitali per la valorizzazione della cultura come Cultural Designer per società specializzate nel settore hi-tech. Membro del Comitato Scientifico della rivista “Culture Digitali” (ISSN 2785-308X)