Il discorso interculturale fra educazione e società: una questione di forma mentis

Laura Isgrò

Abstract

La Pedagogia Interculturale si inserisce attualmente nei vari contesti educativi internazionali venendo in soccorso alle mutate esigenze sociali che hanno visto le culture occidentali arrogarsi, in un passato non troppo lontano, il diritto di prevaricare, soggiogandole, culture diverse dalle proprie.  Lo scambio di elementi e tratti culturali fra i popoli è un fenomeno impossibile da fermare poiché costituisce l’essenza e la generatività dell’essere umano in sè. La scuola e tutte le agenzie educative hanno la responsabilità di lavorare congiuntamente per creare società pluraliste e autenticamente inclusive. Per questa ragione è necessario pensare in termini concreti ed efficaci alla preparazione dei docenti e di tutto il personale della scuola che si trova quotidianamente a porre in atto il processo educativo con al centro la persona, esprimibile nelle più svariate forme di umanità.

Abstract

Intercultural Pedagogy is currently inserted in the various international educational contexts, coming to the aid of the changed social needs that have seen Western cultures arrogating, in the not too distant past, the right to overrule, by subjugating them, cultures other than their own. The exchange of cultural elements and traits between peoples is an impossible phenomenon to stop since it constitutes the essence and generativity of the human being in itself. The school and all educational agencies have a responsibility to work together to create pluralistic and truly inclusive societies. For this reason it is necessary to think in concrete and effective terms of the preparation of teachers and all school staff who find themselves daily to implement the educational process with the person at the center, expressible in the most varied forms of humanity.

Parole chiave

Pedagogia Intercultura Educazione Società Relazione Inclusione Comunità Formazione docenti Scuola primaria Scuola dell’infanzia Forma mentis Cambiamento

Keywords

Pedagogy Interculture Education Society Relation Inclusion Community Teacher training Primary school Kindergarten Forma mentis Change


Da un ventennio a questa parte la pedagogia è sempre più impegnata nell’indagare i mutamenti sociali che sono alla base delle nuove conformazioni delle comunità; esse appaiono mutevoli, fortemente influenzate da fattori esterni di breve-media durata. Gli effetti della rapidità con cui i beni materiali e le idee di oggi  vengono consumati necessitano di una capacità di interpretazione molto profonda e il docente, sin dalla scuola primaria e dell’infanzia, è chiamato a riflettere criticamente sui contesti in cui esplica la sua professione e a saper creare le condizioni migliori affinché gli alunni possano orientarsi, e non disperdersi, in questa bufera di apparenze, intrecciando rapporti significativi con l’alterità, di qualunque alterità si tratti.

Lo sviluppo della cura della dimensione relazionale intesa come dialogo e scambio fra mondi originariamente diversi, sarebbe la strategia vincente per formare ambienti di apprendimento stimolanti e accoglienti e per promuovere la nascita di competenze interculturali necessarie per imparare a vivere in modo pacifico e costruttivo fra culture differenti, sin da bambini. Le competenze interculturali sono costituite da quel bagaglio di saperi, conoscenze, modi di agire che, possedute inizialmente dal docente, poi  sviluppate dagli alunni, comportano la capacità di comprendere e rispettare l’altro percepito culturalmente diverso da sé, di rispondere e interagire in modo appropriato e rispettoso quando si entra in relazione e si comunica con persone di diversa cultura e dunque stabilire relazioni positive. Pensare in “modo interculturale” significa comprendere che gli altri e il sé non sono che molteplici manifestazioni di un’umanità di pari diritti e pari dignità. In questo senso, il possesso di competenze interculturali è un fatto decisivo per la responsabilità educativa dei docenti nel contesto sociale variegato attuale.

Con “contesto sociale” ci riferiamo a quella complessa rete di rapporti fra persone singole e gruppi di qualunque provenienza geografica, cultura e condizione economica. È ormai un dato di fatto che le società siano composte da tante e differenti culture sia endogene che esogene. Visto che la scuola primaria è il luogo deputato alla promozione dello sviluppo originale della persona in relazione alla società, l’insegnante deve sapersi rapportare con gli alunni e le famiglie di culture diverse, e quindi è necessario che costruisca sapientemente, nel corso della carriera un’ accurata e dinamica formazione in ambito interculturale.

L’aspetto prettamente inclusivo che caratterizza la mentalità interculturale, amplia il suo raggio d’azione a tutte le possibili diversità di cui un essere umano si sostanzia. Il dibattito pedagogico e didattico è oggi fortemente orientato al tema dell’ “inclusività”, che supera il concetto di “specialità” intesa come particolare forma di esistenza di un individuo percepito nella sua evidente diversità (a testimonianza del peso dato all’argomento dalle varie istituzioni europee ed extraeuropee basti osservare la copiosa letteratura esistente e le sezioni dedicate alla didattica inclusiva nei libri di testo adottati dalle scuole di ogni ordine e grado), dunque pedagogia speciale e pedagogia interculturale lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni. La rilevanza dell’impegno sociale che sottende ai contenuti qui accennati impone, a chi si occupa di ricerca, di rilevare i bisogni formativi dei docenti in relazione all’argomento intercultura, dato che sarebbe anacronistico  concepire la scuola come una riserva monoculturale.

Come sostiene Portera (2013, p.43 e p.71)

«L’aggettivo interculturale  rimanda a una nuova forma mentis. Il discorso interculturale non può essere riferito solo a un tema specifico (come le immigrazioni o le relazioni inter etniche): nel tempo del pluralismo, delle globalizzazioni e dell’interdipendenza, i processi che l’interculturalità mette in evidenza dovrebbero essere collocati alla base di ogni rapporto interpersonale o inter gruppo.[…]

Nel tempo della globalizzazione ogni buona pedagogia, tutta la pedagogia, dovrebbe essere a carattere interculturale e accogliere ogni forma di similitudine e di diversità (fisica, culturale, limiti e talenti) di ciascun educando.»

 C’è stato un periodo nella storia, il Medioevo siciliano, in cui la Sicilia accoglieva diverse culture ed era a tutti gli effetti costituita da una fitta rete di linguaggi, religioni, credenze, tradizioni. Il plurilinguismo era un fenomeno assodato, gli uomini si esprimevano attraverso infiniti codici artistici e tecnologici plasmando una natura sociale flessibile, adattabile, accogliente di cui abbiamo testimonianza nelle opere monumentali, nella letteratura, nei documenti istituzionali, nelle varietà linguistiche locali  e nella toponomastica. Tutto questo splendore è stato realizzabile grazie al dialogo, allo scambio, alle “interferenze” nella vita quotidiana di culture differenti ma, per necessità, disponibili a dare e a prendere vicendevolmente il meglio possibile.

Sarebbe auspicabile coltivare, con lucidità e coscienza predittiva, una società dell’oggi e del domani in grado di condividere energie, idee, diritti, opere perché tutti, indistintamente, possano goderne. Iniziare questo percorso è concretamente possibile, bisogna innanzitutto imparare ad accogliere il cambiamento. In questa direzione procede il progetto pedagogico internazionale Reconnecting With Your Culture, RWYC, promosso e diffuso nel 2020 dal Centro di Ricerca Internazionale Esempi di Architettura, EdA, e da UNESCO University and Heritage. Si tratta di un metodo pedagogico che ha la finalità di rendere consapevoli i giovani membri dei diversi gruppi del valore identitario della propria cultura, della necessità di preservarne e custodirne l’essenza pur sviluppando l’idea che essa sia in continua evoluzione proprio in virtù dei continui scambi con l’esterno. Tale processo educativo senz’altro ha efficacia concependolo come ponte di collegamento significativo con le diverse identità che necessariamente vengono a contatto a scuola e nelle differenti dimensioni della società. Si legge, infatti, nella descrizione ufficiale del Metodo (EdA, 2021, p.1):

Il metodo pedagogico “Reconnecting with your culture” avvicina i bambini e i giovani ai temi della cultura e alla formazione civica perché solo conoscendo e valorizzando le rispettive eredità culturali è possibile apprezzare il presente e costruire bene il futuro. Questo metodo pedagogico vuole così proporre in tutte le scuole del mondo l’insegnamento del “patrimonio culturale locale” avviando un percorso di formazione basato sulla Cultura e quindi favorendo il dialogo e l’interazione tra le diverse discipline scolastiche (tra la matematica e la letteratura, tra lo studio linguistico e la storia, tra lo studio della scienza e delle arti applicate). Questo metodo favorisce un approccio etico e morale fondamentale per costruire una buona società e quindi lo sviluppo delle nazioni del mondo. Quindi il progetto favorisce la interdisciplinairetà ed invita tutte le discipline ad interrogarsi sul valore della Cultura.

Primi, fondamentali, riferimenti epistemologici della Pedagogia Interculturale

Gli studi nell’ambito della pedagogia interculturale prendono avvio dalla ricerca di due pedagogisti francesi, Louis Porcher e Martine Abdallah-Pretceille [1]Louis Porcher (21 gennaio 1940-13 luglio 2014) è stato un sociologo ed educatore francese, professore alla Sorbonne Nouvelle, esperto del Consiglio d’Europa e della Commissione Europea per le … Continue reading. Il primo, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, diede le basi alla innovativa dimensione del concetto di intercultura quando fu chiamato dal Consiglio d’Europa per definire un progetto sistematico per la formazione dei docenti impegnati nell’istruzione scolastica rivolta ai figli dei migranti (Porcher, 1979). I fondamenti della nuova prospettiva pedagogica portarono alla coniazione di un lessema (educazione interculturale, interculturalismo pedagogico) che da lì innanzi avrebbe segnato progressivamente l’orientamento educativo, politico e sociale del sistema istruzione ampliandone l’influenza a livello macroscopico nei tessuti delle istituzioni dei Paesi Europei che accolsero, in varia misura e con tempi diversi, il principio di intendere l’educazione come un bene essenziale aperto a tutti nel rispetto dell’identità inviolabile della persona.  Martine Abdallah-Pretceille proseguì il lavoro di Porcher, suo maestro, approfondendone le linee concettuali e orientando sempre più specificamente il suo studio pedagogico nella disamina del rapporto intimo fra educazione, istruzione, sociologia e antropologia, al fine di pensare concretamente alla costruzione di una dimensione sociale autenticamente inclusiva, scevra da fittizie disposizioni all’accoglienza dell’altro interessate piuttosto a un progetto assimilazionista delle culture minoritarie.

Per cogliere bene i motivi che portarono alla nascita di questo quadro teorico cerchiamo di focalizzare il contesto storico che ne ispirò le fondamenta e che potrà indurre a riflettere su quanto accadde in Italia qualche decennio più tardi.

Prima del 1975 l’impianto educativo e didattico della scuola francese era prettamente teso a trasmettere ai discenti i valori repubblicani al fine di incentivare la formazione di cittadini- modello che sapessero garantire, in futuro, la coesione della società, e di controllare il meccanismo sociale prevenendo ogni ostacolo alla crescita economica, culturale e politica della nazione. Il proposito dunque era di modellare i bambini secondo una cultura comune impartendo loro le conoscenze di base per sapersi integrare, un domani, nella cittadinanza rispettando l’ideale politico francese. Le singolarità culturali quindi non venivano prese in considerazione nel nome di questa ideologia repubblicana e il sistema scolastico, di fatto, ne rispecchiava pienamente la prerogativa, assimilando le culture altre, spogliando gli alunni della propria identità culturale per uniformarli al bene comune (Lorcerie, 1988). Furono create appositamente istituzioni pubbliche destinate all’insegnamento della lingua francese L2 con l’obiettivo di integrare i bambini immigrati nei contesti comunicativi sociali quotidiani e scolastici, che però non portarono il risultato sperato. Infatti, cresceva enormemente il numero degli studenti bocciati e la percentuale dell’abbandono scolastico. Di fronte all’evidenza dei fatti,  al fine di promuovere un concreto miglioramento del livello dell’istruzione di tutti i giovani, con la  progressiva presa di coscienza che in Francia la popolazione oramai era costituita dall’eterogeneità delle culture e che il fenomeno dell’immigrazione non si era limitato a manifestarsi con una natura transitoria, ma permanente, dal 1975, a seguito di una circolare ministeriale,  il governo adottò un’altra misura introducendo nei programmi d’insegnamento lo studio della lingua materna (L1) e della cultura di origine, ritenendo che la valorizzazione dello strumento culturale per eccellenza, la lingua madre appunto, sarebbe stata la carta vincente per l’integrazione scolastica o, per meglio dire, per l’inclusione scolastica e sociale degli studenti [2]Si tratta dei corsi ELCO, Enseignement des Languages et des Cultures d’Origine..

La  nuova politica, dunque, si ispirò all’universalismo, secondo i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UNGA, 1948) e orientò di conseguenza i curricula scolastici all’apertura nei confronti delle altre culture. Sotto la pressione del Consiglio d’Europa, la Francia iniziò a organizzare le proprie istituzioni con il proposito di accogliere le differenze culturali, riconoscendole, fornendo a esse l’opportunità di manifestarsi pienamente e liberamente, al fine di accrescere la qualità dei programmi scolastici per tutti indistintamente e  di favorire il confronto e il contatto costruttivo fra i discenti di diverse culture. Si cercò, insomma, di superare finalmente l’annosa prospettiva etnocentrica. Nel 1981 fu pubblicato da parte del Consiglio d’Europa un documento dall’importanza decisiva in ambito didattico: L’interculturalisme. Pour une formation des enseignants en Europe, alla cui redazione partecipò il sociologo  Louis Porcher (1981). La formazione dei nuovi insegnanti doveva prevedere la promozione di una prima bozza dell’approccio interculturale, con lo scopo di aiutarli a saper gestire proficuamente il dialogo fra le culture, la comprensione reciproca, la tutela dell’originalità di ogni cultura. Ecco che da questo momento in poi, le parole “interculturalismo”, “intercultura”, “interculturalità”, cominciano a essere diffuse sempre più frequentemente e a circolare in modo sempre più incisivo nell’ambiente delle politiche scolastiche e sociali. Sulla scia delle linee guida descritte dal Consiglio d’Europa, Martine Abdallah-Pretceille, una giovane studiosa di Scienze dell’Educazione presso l’università La Sorbona di Parigi, svilupperà un percorso sperimentale approfondito sull’impianto concettuale e operativo di un nuovo modo di intendere la pedagogia. Nel 1986 pubblica la sua tesi di dottorato dal titolo Vers une pédagogie interculturelle (Abdallah-Pretceille, 1986), che costituisce ancora oggi, con le sue edizioni ampliate e aggiornate, il punto di riferimento teorico della ricerca pedagogica interculturale. Si legge nella prefazione della terza edizione a cura di Louis Porcher [3]Traduzione mia:

«Eravamo pochissimi a quel tempo a lottare per dimostrare che si trattava davvero di un concetto operativo, che fu interpretato, però, dalle istituzioni come un mezzo per colmare le immense lacune dell’istruzione dei bambini migranti. Non importa quanto abbiamo ripetuto che la pedagogia interculturale era rivolta a tutti gli studenti senza eccezioni, che si trattava di una prospettiva sia universalista sia specifica. Martin si è impegnata con grande coraggio a costruire pietra su pietra le basi epistemologiche di questo concetto fondamentale creando filiazioni, elaborando verifiche incrociate teoriche, portando alla luce le basi fondamentali dell’interculturalismo come polo essenziale di un’ educazione aperta all’alterità. Da allora però  l’interculturalismo in pedagogia è stato usato con intemperanza da molti, secondo standard approssimativi, per qualsiasi causa. Di conseguenza l’estensione del concetto è diventata quasi indefinita e  ora è difficile stabilire un significato rigoroso e circoscritto. L’autrice di questo libro costituisce un riferimento prezioso che segna i percorsi ed evita le derive di un discorso sempre in evoluzione che è stato intrapreso, negli anni, con un approccio scientifico, sistematico, che fornisce un sistema educativo oggi molto valido. Certamente non dobbiamo smettere di formulare teorie, perché la riflessione  è comunque una forma di intervento, ma ora è importante agire  e scegliere il proprio percorso senza sbagliare, stando attenti alle proprie posizioni nel dibattito contemporaneo e assumere, ognuno di noi, la nostra parte di responsabilità. L’interculturalismo mette in gioco il nostro futuro e anche il nostro presente e costituisce appunto una delle nostre emergenze.»

La studiosa precisa che l’approccio interculturale è concentrato innanzi tutto su un’intenzionalità pratica e nell’azione concreta che trova il suo punto di partenza nella formulazione di interrogativi sulla conoscenza di se stessi e successivamente sull’alterità. Dunque la prospettiva epistemologica inizialmente è relativistica nel senso che tiene in ampia considerazione la reciprocità dei punti di vista (io-altro) nelle dimensioni psicologiche, emozionali, sociologiche, culturali e storiche. L’atteggiamento di chi fa ricerca in ambito interculturale è costellato da domande tese a indagare in modo critico e decentrato i principi consapevoli e inconsapevoli che muovono gli attori culturali a manifestare la loro prensione del mondo e a distinguere ciò che appare da ciò che è sostanza sempre mutevole, in quanto la cultura di un individuo non è mai la rappresentazione monolitica e statica delle sue radici e del suo gruppo di appartenenza. Gli sforzi del ricercatore sono tesi a un’ incessante azione di decentralizzazione da se stesso per porsi in relazione con l’alterità da comprendere rifuggendo dal produrre comparazioni fra oggetti d’indagine basandosi su parametri etnocentrici. Risulta fondamentale entrare nell’idea che osservare e descrivere una o più culture significa cogliere il processo dinamico che sottende la formazione della personalità dell’individuo che, in un’ottica interculturale, appunto, prevede una co-costruzione frutto della relazione fra soggetto osservante e oggetto osservato. Tale funzione prospetta non già la formazione di una conoscenza nozionistica delle peculiarità culturali di ognuno ma la promozione della comprensione della mutevolezza con cui ognuno manifesterà la propria persona nel corso delle relazioni con gli altri. Dal punto di vista metodologico la comprensione non è un prodotto di un’analisi distanziata dall’oggetto, ma un’attività intenzionale di introspezione e di apertura al riconoscimento dell’altro abbracciando il valore della solidarietà. L’empatia è il mezzo con cui è possibile operare fattivamente per realizzare tale proposito in quanto essa è identificabile in un processo cognitivo orientato a rendere disponibili due interlocutori alla comunicazione costruttiva.

Per sua natura l’approccio interculturale in pedagogia e in didattica è da considerarsi interdisciplinare, dato che attraversa in ogni momento gli ambiti del sapere e i metodi con cui vengono insegnati, adottando una strategia basata sull’indagine e sulla comprensione dei punti critici incontrati durante l’apprendimento. Le discipline che sorreggono questo approccio (psicologia, sociologia, antropologia, storia), costituiscono i riferimenti epistemologici del docente che vi attinge per adottare, a seconda della situazione che si presenta in classe, opportuni interventi per aiutare gli alunni a esplorare in modo critico i concetti più problematici o le conflittualità relazionali. Da questa considerazione possiamo estendere i principi che nutrono l’approccio interculturale a tutte le scuole che abbiano o meno un bacino di utenza variegato dal punto di vista culturale, sia in presenza sia in assenza di alunni di nazionalità straniera. D’altronde tale prospettiva non si occupa di costruire categorie ed etichette.

L’atto di categorizzare espone al pericolo di creare gerarchie. Lo scambio relazionale fra persone di diversa provenienza culturale insito nell’attività pedagogica in questione, promuove la relativizzazione della conoscenza ossia offre gli strumenti indispensabili per sviluppare progressivamente una forma mentis multi polarizzata, flessibile, capace di cogliere i fatti che si dispiegano quotidianamente non già come verità statiche e universali, ma relative al qui e ora. Lo scambio di opinioni, dei punti di vista, è un esercizio concreto di decentralizzazione; ciò non esclude che la comprensione porti alla contestazione, alla divergenza delle idee, anzi, induce alla libertà di imparare a percepire se stessi grazie all’interazione con l’altro senza rischiare l’identificazione in modo acritico.  I docenti non dovranno limitarsi a fornire informazioni sulle culture, di cui non si può creare un profilo definito, ma operare in modo da sensibilizzare gli alunni a porsi domande e a indagare per comprende perché e come la diversità è differente, in altre parole, come funziona la cultura nella sua accezione universale, che implica il particolare. Non si vuole negare che in generale tutta la conoscenza passa attraverso una serie di filtri formatisi per l’influenza della cultura di appartenenza, tuttavia la novità dell’approccio inter culturale prevede che essa venga rinnovata e trasformata dal movimento plurale del pensiero, connettendo in più punti di incontro l’io e l’altro. Così scrive a tal proposito Abdallah-Pretceille (1986, pp. 181-183):

«L’obiettivo di una pedagogia interculturale sarebbe quello di cogliere l’opportunità offerta dall’evoluzione multiculturale della società e di riconoscere la dimensione culturale nel senso antropologico del termine di tutta l’educazione e introdurre l’altro, o meglio, la relazione con l’altro nell’apprendimento. Il riconoscimento degli altri passa attraverso l’accettazione di se stessi e viceversa. […]La pedagogia interculturale non mira a insegnare le culture, siano esse nostre o di altri; si tratta di dare all’insegnamento un nuovo obiettivo considerando che sotto la pressione degli eventi la scuola deve sviluppare una prospettiva in grado di accompagnare il continuo cambiamento sociale. La pedagogia interculturale è una risposta  metodologica e strategica al pluralismo culturale.»[4]Tutte le traduzioni dei brani tratti dallo studio di Martine Abdallah-Pretceille sono mie

L’adeguamento della scuola al mondo circostante richiede un aggiornamento continuo in termini di obiettivi e di formazione professionale infatti, prosegue la studiosa (Abdallah-Pretceille,1986 pp.183-185),

«il contatto tra individui e gruppi di culture diverse esige lo sviluppo di alcune abilità e atteggiamenti rimasti fino ad ora privilegio e prerogativa di alcuni specialisti. La pedagogia interculturale è una pedagogia in azione che  viene costruita e sviluppata attraverso il confronto, l’esperienza e l’analisi. La pedagogia interculturale è un mezzo per conciliare didattica ed educazione stimolando i bambini e gli adolescenti a prendere coscienza di ciò che sono, a situarsi in relazione agli altri e ad adempiere al ruolo che saranno portati ad assolvere da adulti.  Parliamo di educazione come preparazione alla vita  e come possa essere raggiunta attraverso le  informazioni sul mondo esterno.»

Le prassi didattiche ed educative, in un’ottica interculturale, non dovrebbero essere orientate tanto a rilevare le differenze poiché questo comporterebbe il pericolo di concentrarsi sulla differenza in quanto tale senza permettere di superare la soggettività. D’altronde focalizzare l’attenzione su ciò che appare diverso risulta molto più semplice a livello cognitivo, mentre cogliere somiglianze richiederebbe uno sforzo rivolto alla concettualizzazione dell’uguaglianza e dell’equità, che è certamente molto importante nel lavoro di comprensione dell’altro. Le somiglianze stimolano l’attitudine alla vicinanza e alla solidarietà.

L’autrice ci porta anche a riflettere sulla rilevanza dell’apprendimento delle lingue straniere come veicolo ottimale per la conoscenza delle culture. Com’è noto, la lingua ha un peso socio culturale di massima importanza perché mette in comunicazione individui facendone risaltare differenze e uguaglianze. L’intervento sul patrimonio linguistico merita grande attenzione sia nel preservare la lingua materna degli studenti in quanto base cognitiva e affettiva per l’approccio con il mondo sociale, sia nel promuovere l’incontro con le lingue seconde come progetto di relazione autentica con le culture diverse dalla propria. In questo contesto si inserisce un altro aspetto cardine dell’approccio formulato da Abdallah-Pretceille: la pedagogia interculturale si pone come mezzo per la lotta contro il pregiudizio e per la promozione di ciò che oggi chiamiamo inclusione, valore fondamentale nella dimensione sistemica scuola-famiglia-comunità. Il pregiudizio non si può sconfiggere con le teorizzazioni e le lezioni frontali, perché esso risiede oltre il livello cognitivo. Non è sufficiente informare su cosa sia, è necessario invece aiutare gli alunni a indagare dentro loro stessi, perché imparino a intercettare il proprio modo di vedere l’esterno ponendosi domande introspettive, guardando i propri pensieri e le proprie opinioni preconcette su situazioni e persone. È importante che prendano coscienza che il pregiudizio resiste alla razionalità (avremo modo di riprendere l’argomento più avanti). L’esperienza in classe, attraverso attività appositamente progettate dal docente finalizzate allo sviluppo delle relazioni positive fra gli alunni (giochi di ruoli, cooperative learning, discussioni guidate, scenari immaginati all’interno di situazioni- problema), rappresenta una concreta opportunità per imparare a osservare eventi e persone con lo scopo di comprenderli e non giudicarli a priori,  e di confrontare le proprie esperienze con quelle altrui costruendo di fatto, progressivamente, le prime ipotesi su come funzionano i rapporti umani.

Concludo questo contributo con un concetto che riassume l’idea portante dello studio di Abdallah-Pretceille (1986, pp. 238-242):

«Più che una mutazione nel contenuto didattico, più che una definizione di modelli comportamentali, la pedagogia interculturale tende a provocare un cambiamento reale nelle prospettive iscrivendo il cambiamento come parte integrante dell’atto educativo. Il cambiamento è concepito in una rete di interazioni multiple e diversificate […]

Il discorso interculturale è un’utopia non nel senso di un modello ideale impraticabile, ma di un’utopia che porta cambiamento ed evoluzione. Le potenzialità insite in questo approccio incoraggeranno la produzione di nuove idee sociali e pedagogiche.»

Bibliografia

Abdallah-Pretceille, M. (1986). Vers une pedagogie interculturelle. Paris: La Sorbonne.

EdA, (2021). Pedagogical Method Reconnecting With Your Culture. The school of the world. Tokyo: EsempidiArchitettura.it

http://esempidiarchitettura.it/sito/rwyc-pedagogical-method/ (Estratto il 6 settembre 2021).

Lorcerie, F. (1988). Éducation interculturelle et changement institutionnel: l’expérience française. InOuellet (Ed.), Pluralisme et école : jalons pour une approche critique de la formation interculturelle des éducateurs. Québec: Institut québécois de recherche sur la culture.

Porcher, L. (1979). L’interculturalisme. Pour une formation des enseignants en Europe. Strasburg: Editions du Conseil de l’Europe.

Porcher, L. (1981). L’éducation des enfants de travailleurs migrants en Europe : l’interculturalisme et la formation des enseignants. Strasbourg :Conseil de l’Europe.

Portera, A. (2013). Manuale di pedagogia interculturale. Roma-Bari: Editori Laterza.

UNGA (10 dicembre 1948). Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (Universal Declaration of Human Rights).Parigi.


References

References
1 Louis Porcher (21 gennaio 1940-13 luglio 2014) è stato un sociologo ed educatore francese, professore alla Sorbonne Nouvelle, esperto del Consiglio d’Europa e della Commissione Europea per le lingue moderne. Martine Abdallah-Pretceille, studiosa dell’educazione, è professoressa emerita presso l’Università di Parigi VIII Vincennes a Saint-Denis in Scienze dell’Educazione e in Lingua straniera francese all’Università di Parigi III Sorbonne Nouvelle.
2 Si tratta dei corsi ELCO, Enseignement des Languages et des Cultures d’Origine.
3 Traduzione mia
4 Tutte le traduzioni dei brani tratti dallo studio di Martine Abdallah-Pretceille sono mie