Reale/Virtuale

Intervista alla Prof.ssa Vincenza Pellegrino, docente di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione ed esperta di teorie e dinamiche dell’apprendimento. 

Domanda:

Nel saggio Virtualmente Reale, pubblicato recentemente sulla rivista “Didattica Pedagogica”, edita da ANICIA, Lei affronta un tema che, negli ultimi anni, è diventato di grande attualità: il rapporto tra reale e virtuale.

Cosa l’ha spinta ad interessarsi di questo argomento?

Risposta:

La rivoluzione digitale che stiamo vivendo ha prodotto cambiamenti epocali, inimmaginabili, che hanno trasformato, non solo la nostra esistenza, ma, persino, il nostro stesso modo d’essere.  

Dai primi simulatori di volo, utilizzati per l’addestramento dei piloti, la realtà virtuale si è evoluta in modo esponenziale ed è utilizzata, oggi, in molteplici attività umane e per svariati scopi: medico, scientifico, lavorativo e, ovviamente, anche ludico. 

Il mondo artificiale, che si vive nelle esperienze di realtà virtuale più avanzate, consente di muoversi liberamente in uno spazio simil-realistico così coinvolgente che, difficilmente ci si ricorda di non trovarsi in un mondo vero, giacché si provano emozioni e sensazioni reali e si ha l’opportunità di essere protagonisti di situazioni e di esperienze che, nel mondo tangibile, è difficile, anche solo immaginare. La possibilità di variare i ruoli e gli ambienti facilitano il sorgere di nuove forme, atipiche, di relazioni sociali e ciò incide, ovviamente, anche sul nostro senso di , sulla nostra stessa identità.

Alcuni studi hanno, infatti, evidenziato che, l’assenza, in ambito virtuale, delle coordinate spazio-temporali, finisce col provocare un continuo mutamento degli aspetti del che si ripercuote, decisamente, sulla strutturazione dell’identità. Sono stati rilevati, in particolare, frequenti casi di moltiplicazione e/o di destrutturazione dell’unicità identitaria. La realtà virtuale tende a convincerci che non vi sia niente di impossibile, che l’immaginazione si possa materializzare e che l’unico limite stia nella nostra mente. Siamo, quindi, in grado di creare un nostro mondo, di far uscire la coscienza dal corpo, di poterla vedere e toccare, rischiando, però, di perderci in un vuoto spazio-temporale in cui non riusciamo più ad orientarci, a riconoscere le reali caratteristiche del vero mondo, dove ci aspettano tutte quelle responsabilità, alle quali non possiamo, comunque, sfuggire. 

Dunque, la realtà virtuale agisce sulle nostre capacità percettive, sul sistema che determina la nostra idea di realtà, illudendoci che la sua rappresentazione corrisponda ad una realtà effettiva e, tanto più è alto il grado di coinvolgimento dei nostri sensi, tanto più la nostra identità si destruttura e si convince di essere in relazione con il mondo esterno e non, come in effetti è, con una macchina tecnologicamente avanzata, capace di costruire un universo verosimile.

Come nota Bauman, il nocciolo duro dell’identità può formarsi solo attraverso legami che connettono l’io ad altre persone e che restano affidabili e stabili nel tempo: per definire noi stessi, insomma, abbiamo bisogno di relazioni solide, su cui poter contare, ma nella nostra epoca, che, non a caso, egli chiama della “modernità liquida”, le relazioni vanno perdendo queste caratteristiche essenziali e stanno diventando molto rischiose.

Il progresso scientifico ha permesso di realizzare, anche, macchine robotizzate che invertono i termini del virtuale, poiché non è l’uomo ad agire nella virtualità, ma è il robot, l’uomo virtuale che lo sostituisce nella realtà. La robotica è ormai vicina a realizzare una macchina dalle sembianze umane e dotata di un cervello che le consenta di pensare, di elaborare, autonomamente, le risposte alle varie situazioni che si presentano, senza doversi attenere ad uno schema preconfezionato dall’uomo. Pertanto, è lecito chiedersi se la mente artificiale acquisirà, pure, la capacità di sviluppare, nel tempo e per proprio conto, tutte le facoltà di quella umana, nel qual caso, è ipotizzabile che lo studio delle dinamiche che dovessero, eventualmente, permettere al robot di costruirsi una coscienza propria, potrebbe, finalmente, permetterci di scoprire molti segreti della nostra mente, anche se, l’ipotesi di avere a che fare con una coscienza artificiale, figlia di un’intelligenza artificiale, pone, necessariamente, una questione, per così dire, robo-etica, di non poco conto.

Al riguardo, sarà determinante vedere come e quanto queste macchine saranno in grado di provare emozioni e sentimenti, di distinguere il vero dal falso, di intuire e di agire istintivamente. Il problema centrale sarà, in futuro, quello di stabilire, primariamente, se le prerogative umane siano tecnologicamente trasmettibili ad altre entità e quali rischi comporti una simile possibilità. 

Appare evidente, dunque, che la realtà virtuale pone sul tappeto una serie di incognite che non è possibile, né auspicabile, ignorare, ma va pure ricordato che, in un certo senso, l’uomo vive, da sempre, una realtà che è virtuale, ovvero è una rappresentazione della realtà prodotta dalla sua mente ed elaborata in base al bagaglio di conoscenze e di competenze tecniche di cui è dotato. Possiamo, allora, dire che la realtà virtuale post-moderna non è altro che una nuova modalità di rappresentazione simbolica, ipertecnologica, del reale. Occorre, però, aggiungere che l’informatica e l’elettronica hanno, anche, dato vita a nuove forme di rappresentazione e di comunicazione, capaci di interferire, direttamente, con i nostri processi intellettivi, compresi quelli da cui dipende l’apprendimento.

De Kerckhove, ad esempio, pensa che l’uomo stia mettendo le mani sul mondo del pensiero che esce dal corpo e si manifesta fisicamente e ciò dovrebbe indurci a riflettere, seriamente, su cosa siamo esattamente e dove stiamo andando.

Sono tanti, dunque, gli interrogativi che il progresso tecnologico ci propone e che mi hanno spinto ad approfondire lo studio dei tanti pensatori che si sono confrontati su questo terreno, per cui, quasi spontaneamente, la mia speculazione ha preso la forma di breve saggio scritto.   

Domanda:

Secondo due diverse correnti di pensiero, il virtuale può rappresentare, per l’uomo, una fenomenale opportunità, oppure un colossale rischio. Come si colloca il suo saggio, rispetto a questi orientamenti contrapposti? 

Risposta:

In effetti, il dibattito filosofico, che si è sviluppato intorno al tema del virtuale, è stato caratterizzato da due differenti approcci: uno, per così dire, ottimistico ed un altro, invece, più pessimistico. Sono stati, in alcuni casi, prefigurati scenari apocalittici, basati sulla convinzione che il virtuale porterà l’uomo a perdere il senso della realtà e provocherà una, vera e propria, apocalisse culturale.

Su questa linea, troviamo Jean Baudrillard, per il quale, la società è, oggi, totalmente plagiata dalla comunicazione e ciò determina la desertificazione della realtà, ovvero la scomparsa del reale a vantaggio di un virtuale, sempre più sofisticato ed ingannevole, tanto da sembrare, addirittura, più vero della realtà stessa.  

Ne consegue l’impossibilità di distinguere il virtuale dal reale: i media, la rete e gli altri strumenti della digitalizzazione ci rinchiudono all’interno di modelli interattivi preconfezionati ed omologanti, che non lasciano spazio al senso critico ed alla creatività degli individui. Nella stessa direzione, Paul Virilio ritiene che la rivoluzione tecnica potrebbe trasformarsi in una grande tragedia della conoscenza, a causa del caos “babelico” che rischia di produrre sul sapere, sia a livello individuale che collettivo. 

Deleuze e Lévy, invece, ritengono che l’avvento del digitale rappresenti una tappa fondamentale dell’evoluzione umana e che il virtuale sia uno stato ontologico dell’essere, che non si contrappone, in alcun modo, alla realtà, ma che, anzi, la realizza, però su un piano diverso e con specifiche modalità. Lévy stesso, nell’introduzione al suo libro, Il virtuale, si chiede se, a causa della generale tendenza alla virtualizzazione, ci sia, veramente, da temere quella totale derealizzazione, di cui parla Jean Baudrillard e si domanda, pure, se è vero che siamo minacciati dall’apocalisse culturale, dalla raccapricciante implosione spazio-temporale, già preannunciata, anni prima, da Virilio. La sua risposta è un’ipotesi diversa, meno rovinosa, che considera le trasformazioni culturali in atto, come un ineludibile passaggio del processo di ominazione. La virtualizzazione, dunque, simboleggia l’eterogenesi dell’umano e Lévy invita a comprenderla, senza pregiudizi ed in tutta la sua complessità, per scoprire le tante opportunità che ci prospetta. L’utilizzo massivo delle moderne tecnologie, a cui, oramai, non è più possibile rinunciare, evidenziano, oggi, il carattere, quasi profetico, di questa visione che, in fondo, dava già per scontato che saremmo arrivati  ad una coesistenza, sempre più stabilizzata tra “vita reale”, in presenza e “vita virtuale”, che si “realizza” per mezzo della rete. Queste due tipologie esistenziali hanno, poi, finito col sovrapporsi, per cui reale e virtuale, di fatto, ai nostri giorni, tendono frequentemente a coincidere, proprio in virtù di quelle caratteristiche essenziali del virtuale, che Lévy ha, puntualmente, individuato e descritto. Occorre precisare, in merito, che il termine virtuale, ha sempre definito, sistematicamente, ciò che è diverso dal reale, che non esiste, che non è concreto, però, alcuni studiosi dell’era post-moderna, hanno introdotto un nuovo concetto di virtuale, che supera la classica contrapposizione, riconducibile all’antica distinzione aristotelica tra atto e potenza. Nel pensiero moderno, poi, questa discriminante trova il suo fondamento nel dualismo cartesiano, nella diversa natura che Cartesio attribuisce a mente e corpo, collocando il cervello e la mente in mondi diversi: quello materiale, dove esiste il corpo e quello immateriale, dove abita la mente, la coscienza di . Sarà Deleuze a superare il dualismo, ipotizzando che sussista un solo livello di sviluppo del pensiero, quello virtuale, o dell’immanenza, in cui si intrecciano le relazioni tra il reale e l’irreale, tra il soggetto e l’oggetto. La sua indagine, lo porterà ad individuare due coppie di elementi contrapposte: possibile-reale e virtuale-attuale, per cui il virtuale non si oppone al reale, ma soltanto all’attuale, poiché il possibile è l’equivalente, già definito del reale, mentre l’attuale è la concreta definizione del virtuale. Nel processo di realizzazione, quindi, il virtuale è esattamente il reale che non è attuale, il simbolico non fittizio. Il possibile, invece, è quello che può (o non) realizzarsi e il reale è l’immagine del possibile che si realizza e, pertanto, rispondono allo stesso concetto, ma su piani distinti: quello astratto e quello concreto.

Al contrario, virtuale e attuale sono situati sullo stesso piano, dove l’attuale non è stabile e determinato, ma è sempre soggetto a continui mutamenti; è, insomma, una determinazione fluida in cui si identifica, in quel momento, l’ambito virtuale. 

La conoscenza, secondo Deleuze, non deve limitarsi ad un soggetto che si interroga su un oggetto, come vuole la prassi tradizionale, che considera soggetto e oggetto separati e contrapposti, ma deve, bensì, interessarsi, anche, dei diversi piani in cui essi si sgretolano creando molteplici relazioni. Ne deriva che è soggettivo quello che conosciamo perfettamente, mentre è oggettivo ciò che possiamo pensare come l’effetto di una sua divisione, che non ne modifica la fisionomia. 

Nel pensiero di Deleuze risultano, dunque, centrali i concetti di molteplicità e immanenza: la prima è una caratteristica primaria della virtualità, che corrisponde ad una pluralità indefinita, mai completamente strutturata, mentre il piano di immanenza è il luogo che si forma, mano a mano che si sviluppano le molteplicità. 

Lévy, successivamente, ha ampliato il costrutto deleuziano e ha elaborato una teoria, completa ed organica, nella quale il virtuale acquisisce una sua, indubbia, validità ontologica. Al riguardo, come ho già affermato nel mio lavoro, sono convinta che lo straordinario progresso tecnologico di quest’epoca sia il risultato della fame di conoscenza che ha sempre contraddistinto l’uomo e che, in ogni era, ha contribuito a modificarne la vita, la cultura e le stesse, particolarissime, peculiarità.

Ritengo, quindi, anch’io, che ci si trovi nel mezzo di un guado, di un passaggio obbligato, verso uno stadio successivo dell’evoluzione umana e, per averne conferma, è sufficiente osservare le nuove generazioni. I ragazzi nati dopo la grande rivoluzione del digitale, infatti, hanno caratteristiche molto differenti, rispetto ai loro ascendenti e vivono, in modo naturale, un’esistenza inedita, dove reale e virtuale si intrecciano e si confondono, ininterrottamente: ciò che io chiamo, appunto, “virtualmente reale”.

Domanda:

Una parte rilevante del suo lavoro riguarda il pensiero di Pierre Lèvy. Cos’è il virtuale, per il filosofo francese?  

Risposta:

Lévy, nella sua opera, il Virtuale, descrive la virtualizzazione come un perenne processo, connaturato all’essere umano e che risponde ai tre stadi dell’originario trivium: grammaticale, dialettico e retorico. In quest’ottica, al primo grado, quello grammaticale, corrisponde la virtualizzazione del tempo reale, perché l’uomo, attraverso il linguaggio ha iniziato a porre domande e raccontare storie, svincolandosi dal presente. La grammatizzazione ci ha permesso di creare i codici, ad esempio, quello alfabetico, per quanto riguarda il linguaggio e quello binario, che è alla base della digitalizzazione. 

Il secondo livello (dialettico) coincide con la tecnica, ovvero la virtualizzazione delle azioni, dello spazio e del corpo. La dialettica dà vita al virtuale, perché spalancando le porte di un altro mondo, quello delle idee, consente il formarsi dell’esperienza. 

Il terzo processo (retorico) è quello di virtualizzazione della violenza, ovvero è il contratto, una convenzione che definisce e regola le relazioni sociali, rendendole stabili, per cui contribuisce alla costruzione delle culture umane (religione, etica, diritto, politica, economia). L’intero processo di virtualizzazione, dunque, coinvolge tutte le facoltà dell’essere, che trovano la massima espressione nella retorica, in cui sono riassunte tutte le creazioni, linguistiche, tecniche e relazionali. Per mezzo della retorica si arriva all’essenza del virtuale, poiché la creazione va oltre l’utilità, il senso e la verità, provocando tensioni e indicando altre finalità. A questo punto, nasce un problema, si produce un buco nel bel mezzo del reale e questa, secondo Levy, è la più grande invenzione.  

Rispetto all’informatica, al livello grammaticale corrisponde la digitalizzazione, mentre, il potenziamento dei mezzi informatici, coincide con lo stadio della dialettica ed infine, con la fase retorica, a causa del subentrare di nuove finalità, si passa all’agire virtuale e la rete si trasforma in cyberspazio.

L’indagine filosofica di Lévy, si avvale, sul piano ontologico, di un quadrivio, formato dalle coppie, deleuziane, possibile-reale e virtuale-attuale, in cui possibile e virtuale non sono tangibili, come il  reale e l’attuale, che, invece, lo sono entrambi. 

Il virtuale, è una condizione soggettiva e dinamica, la cui configurazione viene modificata dall’attualizzazione, ovvero dal compimento di un atto, non predefinito.

Con la realizzazione, invece, si verifica una delle possibilità già predeterminate, pertanto, il possibile è la forma che acquista la materia, per mezzo della realizzazione. Al contrario, si ha la de-realizzazione quando, a partire da una data entità, si risale al coacervo di probabilità da cui origina. Tra possibile e reale si instaura una sorta di meccanismo che, quando entra in funzione, determina un risultato ricompreso tra tutti quelli preventivati, invece, il virtuale è un insieme problematico, che attende una risposta, per cui, l’attuale è il riscontro alla richiesta del virtuale, che arriva grazie ad un’azione creativa (o ermeneutica) dell’uomo.

Lévy, quindi, dimostra che l’incessante passaggio da uno stato dell’essere all’altro, avviene attraverso quattro procedimenti, che richiamano, espressamente, le quattro cause aristoteliche: realizzazione, potenzializzazione, attualizzazione e virtualizzazione. Con i primi due si compie una selezione, nell’ambito di possibilità predeterminate, mentre gli altri due chiamano in causa la creazione ed il divenire. La virtualizzazione, ovviamente, è la causa finale, giacché, come dice Lévy, essa travalica il tempo e arricchisce l’eternità, comanda le attualizzazioni e, con la sua innata forza creatrice, inventa questioni, nuovi dispostivi e macchine del divenire

Domanda:

Alla luce dei cambiamenti prodotti dalla rivoluzione digitale, quali prospettive si aprono, per la società del futuro?  

Risposta:

Lévy, non si è limitato a porre in relazione i diversi stati dell’essere con l’evoluzione tecnologica, ma ha, anche, ipotizzato quali mutamenti sociali e politici potrebbero intervenire, in futuro, grazie alla cyber-democrazia, tema di cui si è molto occupato, nelle sue pubblicazioni. Egli prevede una profonda trasformazione della società moderna, per opera di una nuova civiltà, che si propagherà attraverso il cyberspazio. La comunicazione globalizzata, che corre in tempo reale sulla rete, agevola, secondo il filosofo transalpino, la formazione di un pensiero libero ed indipendente e la nascita di idee innovative, di orientamenti moderni, di nuove esigenze sociali, che costituiscono un’intelligenza collettiva, un inedito strumento di democrazia, che filtra e media la quantità infinita di posizioni che sono veicolate dalla rete. Questa continua attività di intermediazione permette, infine, di rinnovare i valori e gli scopi futuri dell’agire umano, anche se, lo stesso Lévy, avverte che, di una simile rivoluzione non si possono, minimamente, sottovalutare gli effetti che può produrre, rispetto all’organizzazione sociopolitica ed alle condizioni individuali e relazionali dell’essere post-moderno. Come ho scritto nel mio saggio, forse Lévy mostra un po’ troppo ottimismo, quando afferma che la rete è un potente veicolo di elaborazione e di apprendimento della cultura, un grande strumento democratico che spinge in direzione della solidarietà e della condivisione del bene comune.

D’altronde, egli è convinto che le tecnologie possano aiutare l’individuo ad abbandonare le sue tendenze più egoistiche e che siano, anche, l’unica risorsa di cui è dotata la società, per evitare che il capitalismo moderno si trasformi, inesorabilmente, in autoritarismo. Sotto l’aspetto etico e sociale, il virtuale di Lévy offre, allora, molteplici opportunità per accrescere le esperienze individuali e collettive, in un perpetuo interscambio di informazioni, di saperi e di proposte, destinate a far sorgere una nuova cultura globale ed una società più equa e solidale. Va detto, però, che sia le relazioni interpersonali, sia l’intero processo di civilizzazione, resterebbero, in tal modo, completamente assoggettate alla mediazione dalla rete, che, abbiamo scoperto in questi decenni, può essere oggetto di   influenze e manipolazioni, di ogni genere. Al contrario di quanto ipotizza Lévy, non è, allora, affatto scontato, che, l’intelligenza collettiva, sbarcando dal cyberspazio, riesca, realmente, a costruire quella cyber-democrazia che renderà migliore il mondo; sussistono, anzi, forti dubbi sul fatto che la rete possa, effettivamente, veicolare una volontà comune dei cittadini, formatasi nel rispetto dei fondamentali principi democratici. In ogni caso, voglio ribadire quanto ho già sostenuto nel mio saggio, ovvero che, al di là di qualsiasi considerazione di carattere sociopolitico, è innegabile che talune previsioni del filosofo francese siano risultate, almeno in parte, corrette. È facile, infatti, rilevare quanto siano, oggi, fondamentali, a livello globale, l’economia e la finanza, che sono regolate da norme, prassi ed istituzioni, anche sovranazionali, a cui è assoggettato ogni governo e, di conseguenza, qualsiasi comunità. Ciò, è dovuto al progressivo dilagare di un capitalismo internazionale, evoluto e sofisticato, che, come temeva Lévy, è divenuto autoritario ed autoreferenziale, cinico e disinteressato, rispetto alle necessità degli individui ed alle sorti del pianeta e dell’esistenza umana. Con la globalizzazione, il potere economico ha potuto travalicare le sovranità nazionali ed ha imposto una dottrina basata sulla competizione, sul profitto e sull’efficienza, che richiede di agire e vivere vorticosamente e che offre alle persone, sempre meno opportunità, per la riflessione e per i contatti umani. Ne consegue un disorientamento che impedisce all’animo umano di trovare le coordinate, indispensabili, per individuare i valori fondamentali e lo scopo stesso del suo essere. Si comincia, però, ad intravvedere, la tendenza, a riscoprire una dimensione più spirituale, che spinge molti individui, soprattutto giovani, ad impegnarsi nel portare aiuto e nell’assistere gli altri. Va, pure, apprezzato il risveglio civico, la voglia di partecipazione alle scelte politiche e sociali, che inizia ad emergere e che indica la volontà dei cittadini di non delegare, in toto, ai governanti, la gestione della cosa pubblica. 

In conclusione, ritengo che, al giorno d’oggi, tutti siano consapevoli di far parte, grazie ad internet, di un’intelligenza collettiva che si avvale di un processo cognitivo, decisamente innovativo, in quanto si può accedere a tutto, senza avere imparato niente prima. Sono mutate, anche, le modalità relazionali: non è necessaria la compresenza fisica e si possono intrecciare, contestualmente, un’infinità di interscambi, con chiunque e in ogni parte del globo. 

Sono, però, convinta che l’utilizzo della rete richieda l’acquisizione di abilità e competenze specifiche, anche perché, come avverte Howard Rheingold, chi non sa utilizzarla correttamente non è in grado di integrarsi nel mondo d’oggi e non potrà, in futuro,  neppure sviluppare, adeguatamente, la propria intelligenza. Occorre, allora, tener presente che le opportunità offerte dalla tecnologia sono notevoli e ancora, in parte, ignote, ma per evitare conseguenze, talvolta disastrose, è indispensabile saper ricercare e selezionare le informazioni ed instaurare relazioni idonee e produttive. Nella futura società, sarà essenziale, a mio avviso, che le persone abbiano la capacità di ampliare, continuamente, la propria conoscenza e di partecipare all’agire collettivo, apportando idee ed opinioni che riguardano i maggiori temi, di cui si dibatte sui nuovi media. Saranno questi individui, infatti, che riusciranno, in ogni ambito, ad appropriarsi del potere intellettuale, politico ed economico. La rete potrà, dunque, essere decisiva, nell’indirizzare la società verso un’autentica democrazia, liberale e partecipativa, ma ciò dipenderà, come detto, essenzialmente, da quanto sarà in grado di rendersi indipendente dai tanti potentati, politici ed economici, che hanno interesse a condizionarla.