Performare opere

di Roberto Maragliano

Abstract

Nell’era della pandemia, il teatro musicale ha un importante sviluppo sia tecnico sia estetico. I media digitali contribuiscono a questo sviluppo e amplificano non solo gli spazi della ricezione degli eventi ma anche gli spazi della loro costruzione. Questa esperienza può diventare un modello da seguire per tutto il settore dei beni culturali.

In the pandemic era, musical theater has an important development both technically and aesthetically. Digital media contribute to this development and amplify not only the spaces of the reception of events but also the spaces of their construction. This experience can become a model for the entire cultural heritage sector to follow.

Parole chiave

rete, musica, teatro, digitale, interpretazione


“La pandemia ha accentuato e accelerato cose che stavano già accadendo: l’egemonia della Rete, il primato del commercio elettronico, la disabitudine ai teatri, ai concerti, alla vita sociale, il predominio del virtuale sul reale”. Questo è dato leggere sul quotidiano nazionale di maggiore diffusione. Indubbiamente sono tanti, tra di noi, quelli che pensano e di conseguenza agiscono muovendo da simili presupposti. Dunque, non è facile smontare un simile pregiudizio, la cui preoccupante gravità consiste nel fatto che venendo logicamente prima, come pregiudizio appunto, finisce col condizionare ogni forma di considerazione e valutazione di ciò che accade, e soprattutto con l’assolvere ogni eventuale peccato di disattenzione pubblica nei confronti di fenomeni che, di fatto, lo smentiscono.

Tra queste eccezioni, sono da includere i segni di vitalità di cui ha dato prova, proprio in questo periodo, il settore del teatro lirico nazionale. Sono dell’idea che il fenomeno meriti considerazioni tutt’altro che di maniera, e, che, soprattutto, per comprenderlo occorra uscire dal terreno degli appassionati o degli addetti ai lavori. Il problema sottostante che si dovrebbe lavorare a portare alla luce, perché è questione che va al di là delle disposizioni settoriali legate ai gusti e alle sensibilità individuali, è quello che si riflette nella difficoltà a dare una risposta ad un interrogativo che provo qui ad esprimere in termini provocatori: perché Manzoni è “scolastico” e Rossini o Verdi non lo sono?

Qualunque risposta, assertiva o problematica, vogliamo fornire ad una simile domanda, è inevitabile che ci si misuri con un assetto di cultura ed una gerarchia di ordini di importanza che, secondo una tradizione ben assestata nell’inconscio collettivo, riserva un ruolo centrale alla scrittura e la stampa e pone in una posizione decisamente più marginale l’immagine, il suono e la riproduzione/produzione multimediale: non è un problema, o meglio non è solo un problema di libro e schermo, è piuttosto una questione legata ai processi di articolazioni o riarticolazioni storiche e geografiche dell’apparato sensorio dell’uomo. Non sarebbe improprio, a questo proposito, chiederci se un modo di considerare l’universo dell’esperire e del conoscere che fa della scrittura il parametro fondativo della cultura sia conforme ai processi di democratizzazione sociale del sapere su cui è cresciuta e si è affermata la sensibilità culturale e politica nazionale nel corso del secondo Novecento. Sulla stessa falsariga, ci si potrebbe ulteriormente chiedere se non sia da rapportare anche a questa lacuna, per così dire ‘epistemologica,’ la crisi di identità che caratterizza da tempo, come ‘cosa che stava già accadendo prima’, l’assetto disciplinare delle nostre scuole e delle nostre università. Ma tutto ciò ci porterebbe a toccare nervi troppo sensibili, e troppo coperti, del nostro comune sentire, anche se, ragionando sul tema, ci si troverebbe coinvolti sul versante del significato da attribuire al vincolo di riallineamento europeo prospettato (o, se preferiamo, imposto) dal PNRR.

Quest’ultimo ferimento permette comunque di porre, tornando al tema, la questione di quale contributo abbia dato e stia dando la rete, a livello nazionale e non solo, in ordine alla rivitalizzazione del settore del teatro lirico, proprio nella fase della pandemia, dunque del presunto ‘predominio del virtuale sul reale’, e di come il fenomeno cui sto alludendo possa assumere un valore paradigmatico per l’intero settore, anzi per l’intera realtà dei beni culturali.

Sbaglieremmo se pensassimo che il ricorso alle infrastrutture dell’universo digitale per ‘trasmettere opere’ altro non faccia che incrementare le possibilità di fruizione degli eventi, sia pure in chiave sostitutiva, secondo la linea che è stata seguita fin qui con la radio e la televisione, o anche, più recentemente, con gli streaming domestici o pubblici. C’è qualcosa di diverso e di più, nella condizione che stiamo vivendo, un qualcosa che amplia l’idea stessa di teatro, e non solo di teatro musicale, anche se in quello musicale il fenomeno appare ben più pregnante e dunque interessante.

Mi limito a due esempi, di cui c’è ancora significativa traccia, nei media: il Barbiere di Rossini, allestito per l’Opera di Roma dal duo Gatti/Martone nel dicembre 2020, e il Macbeth di Verdi, allestito per la Scala di Milano dal duo Chailly/Livermore nel dicembre 2021. In ambedue i casi, peraltro di sostanza, fattura e rilevanza pubblica assai diverse, è possibile cogliere un uso della rete e del digitale anche (e soprattutto) come componente costitutiva dell’evento stesso. Rendendo possibili soluzioni innovative sul piano della costruzione e della regia che dissociano l’allestimento dall’unità di luogo e di tempo ma anche dall’unità fra attore e spettatore il digitale permette di moltiplicarne le facce e gli usi. Per merito della rete, tutto di quell’evento, ossia preparazione, attuazione, ricezione, diventa spettacolo, essendovi incluso come ‘gesto’ estetico oltre che politico. Verrebbe da dire, a proposito di queste esperienze, che esse segnano un positivo recupero della migliore tradizione delle avanguardie artistiche novecentesche, con due puntualizzazioni importanti, però: che questo recupero, già importante di per sé, viene in un settore quantomai negletto, per una sorta di vacuo e autolesionistico modernismo nazionale, e dentro una condizione di “plenitudine digitale”, dove tutto è mescolato con tutto, senza barriere di distinzione e contenimento.


Due ragioni in più per riconoscere il valore specifico di tali esperienze e per proporle a modello per altre imprese, anche fuori dei circuiti del teatro di musiche. Certo, è più normale che certe innovazioni tecniche e artistiche possano maturare negli ambiti dove il rapporto fra testo e fruizione è lì di tipo performativo e dove, per intenderci, il testo funziona solo se è materialmente interpretato e se l’interpretazione funge da condizione perché lo spettatore ‘ci sia’. Se già per la musica questo del rapporto testo/interpretazione è un vincolo da cui non si può prescindere, come mostra il profondo e rivoluzionario cambiamento che l’intero settore ha maturato per effetto dello sviluppo novecentesco delle tecnologie della riproduzione sonora e sonoro/visiva, tanto più questo vincolo vale per il teatro d’opera, la cui resa coinvolge numerosi aspetti, materiali e no, oltre a quelli sonori, e, nell’inspessire e arricchire, anche per merito del digitale, il rapporto fra testo e interpretazione, arriva a virtualizzare il testo e a testualizzare il virtuale (il Barbiere di Gatti/Martone diventa ‘testo’ e, per così dire, ‘virtualizza’ cioè problematizza creativamente il testo originario di Rossini).

Quella del teatro lirico, si converrà, è un’arte tipicamente performativa.

Ma è da prendere in considerazione la possibilità che attribuire al digitale, sia in produzione sia in ricezione, il merito di poter rendere performativa buona parte dei nostri atti e delle nostre arti dell’esperire e del conoscere. Assieme a Rossini e Verdi, proprio con il digitale l’intero nostro patrimonio culturale potrebbe e dovrebbe dunque diventare realmente “scolastico”.

Roberto Maragliano. Attualmente pensionato, ha insegnato materie di ambito pedagogico e didattico, come professore ordinario nelle università di Lecce, Roma Sapienza, Roma Tre. Precedentemente, nelle università di Sassari e Firenze. Svolge attività pubblicistica e editoriale dedicando attenzione al ruolo dei media nel rapporto fra i soggetti e i saperi. Buona parte della sua produzione scientifica e divulgativa dal 1973 ad oggi è disponibile nello Scaffale Maragliano, cartella web ad accesso libero: https://www.scaffalemaragliano.it/