It takes two to tango

It takes two to tango – È necessario essere in due per ballare il tango

Michele Rak

  Il lettore faccia due passi. Il primo è tra alcune note pagine: Questo grandissimo libro … dico l’universo … è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola. Senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto (Galileo Galilei, Il Saggiatore 1623).

       Il secondo passo è tra le tecniche e gli scenari che alcuni laboratori allestiscono in lingua digitale per decifrare e prevedere i cambiamenti e le tendenze che interessano mercati e merci, migrazioni e guerre, tifoni e raccolti.

     Tra questi due passi si sono mossi e, vertiginosamente, si moltiplicano gli esercizi che praticano le possibilità del digitale in campi e da punti di vista diversi. Con esercizi su testi di scrittura lineare e d’immagine, fotografie e filmati, più raramente sui numeri, sulle previsioni, sulle tecnologie. Per queste sono necessarie attrezzature, studi, creatività: materiali rari in un paese con scarse sollecitazioni in questo senso nel corso della preparazione scolastica.

     Tra questi due passi si è articolata la ricerca sulle tecnologie digitali e sulle loro ricadute sulle infrastrutture culturali: dal commercio all’insegnamento, dal traffico alle arti e, per queste vie, all’immagine del patrimonio culturale e identitario.

          Le tecnologie digitali consentono di produrre un’esplosiva costellazione di artefatti e linguaggi che stanno alterando i modi della comunicazione in molte aree. È una potente spinta del cambiamento analoga a quelle impresse da altre invenzioni: la stampa, la litografia, la fotografia. Tecniche che hanno destrutturato intere culture, facilitato l’affioramento di linguaggi, allestito enciclopedie e patrimoni cognitivi.

       Una folla crescente di adepti propone e tenta in questi anni domande e esercizi sulle tendenze e poteri del digitale da segnalare cautamente per individuare qualcuna delle strade praticabili con la sua nuova cassetta di attrezzi. A partire da questioni non semplici e oggetto di ricerca in diversi campi: i limiti della percezione visiva, gli obiettivi del processo di implementazione del patrimonio digitale, le mutazioni sociali e culturali indotte.

    Il cambiamento in atto interessa progressivamente tutti i settori del lavoro e della vita quotidiana e sembra consentire interventi in tutti i processi con cui si strutturano le società complesse.

Proviamo un primo elenco elementare delle fasi del processo che investe anche i patrimoni delle arti.

  1. Tutti gli artefatti che di solito contattiamo e usiamo in format analogico (immagini. pattern, profili) possono essere scomposti in tasselli numerici (i dati). Che siano quadri, paesaggi, testi verbali-visuali, musiche e altro.
  2. Su questi tasselli sono possibili le manipolazioni controllate dalla sezione dell’informatica che studia teorie, metodologie, tecniche e progetta sistemi hardware/software che consentono agli elaboratori prestazioni che sembrano propri dell’intelligenza umana, di fatto sono di pertinenza dell’Intelligenza Artificiale (IA).
  3. La lavorazione digitale semplifica e rende possibile la trasmissione di dati in ambiti diversi: rotte di navi e di satelliti, disegni di ponti e di gioielli, format di film e romanzi, trasmissioni di quadrerie e paesaggi.
  4. I loro materiali (per così dire) sono trasferibili sempre più rapidamente, con sempre minori costi e senza frontiere attraverso la filiera dei media elettrico-elettronici.
  5.  Questo rende possibile l’uso creativo di linguaggi che consentono di allestire artefatti di struttura numerica.
  6. Molto si trasforma e va perduto quando un testo o oggetto prende una forma digitale.
  7. Molto va guadagnato quando il dato può essere scambiato in velocità, in semplificato, con una diffusione potenzialmente illimitata e perimetrando uno spazio creativo in apparenza non immediatamente percepibile dall’occhio, per quanto esperto, ma di fatto aperto su esercizi ancora non del tutto prevedibili e controllabili se non con l’uso dell’IA.
  8. Questo lavoro facilita forme di apprendistato che hanno un valore sperimentale, con qualche distorsione cognitiva. È il caso delle mostre con dettagli ingranditi dei quadri di van Gogh, e di altre vittime illustri, spalmati su grandi superfici scambiando la decorazione attrattiva con la decrittazione e la lezione del senso.
  9. Senza dubbio questo processo facilita il trasferimento dei dati in circostanze altrimenti impraticabili e per osservatori che non potrebbero averli altrimenti, a prezzi competitivi e velocità impensabili.
  10. La ricerca tende a ipotizzare una graduale configurazione di un patrimonio prodotto e composto con tecnologie e oggetti digitali, che richiederanno altri cataloghi, musei, collezionisti, mercati.
  11. Processi necessari anche alle scienze umanistiche poco abituate ad allestire scenari che ricostruiscano la circolazione di testi e modelli, per comporre i vuoti della storia delle tradizioni e dei patrimoni, per identificare la posizione dei frammenti che le culture lasciano dietro di sé in forma di tracce man mano che si destrutturano e scompaiono. Com’è inevitabile.
  12. Gli esercizi sul digitale sono praticabili nei laboratori e nelle diverse fasi dell’istruzione per consolidare questi processi nei nuovi cittadini e abituarli a un mondo della comunicazione che cambia rapidamente.

Ma è necessario essere in due per ballare: il patrimonio hard e quello digitale, entrambi costosi, da curare continuamente, sottoposti al consumo dei tempi, necessariamente creativi. Ed è necessaria la musica di fondo: quella che si ascolta e si apprende soprattutto a scuola.

Michele Rak, già membro dell’European Panel for the European Heritage Label (EHL),è un teorico delle dinamiche delle culture e della funzione dei linguaggi d’arte nel mutamento sociale. È un critico letterario, uno storico delle idee, uno degli studiosi europei del patrimonio culturale. Ha pubblicato studi sulla cultura della Modernità e sui suoi linguaggi d’arte: le feste, la tradizione letteraria, la pittura votiva, la fiaba, il teatro.

È tra gli iniziatori della ricerca in alcuni settori delle scienze umanistiche:

  • la struttura della tradizione letteraria (i generi della letteratura d’intrattenimento, la società letteraria, la fiaba)
  • la comunicazione del patrimonio culturale e la funzione sociale dell’immagine
  • le fasi della Modernità – dal Barocco alla cultura mediale
  • la lettura e la circolazione delle idee attraverso il libro e altri media
  • la produzione degli immaginari e le loro dinamiche

Già Professore Ordinario dell’Università di Siena, ha insegnato Sociologia della letteratura presso l’Università di Napoli (1965-1985), Letteratura italiana presso l’Università di Palermo (1985-1989). Ha tenuto la cattedra di Storia della critica e della storiografia letteraria dal 1989 presso l’Università di Siena e di Sociologia dell’arte e della letteratura (Facoltà di Lettere di Arezzo).