Intervista all’Arch. Laura Moro, Direttore Generale dell’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale del Ministero della Cultura.

Architetto Laura Moro, una lunga e profonda conoscenza sulle problematiche legate alla catalogazione e la documentazione del patrimonio culturale come Direttore dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, da circa tre anni direttore dell’Istituto Centrale per la Digitalizzazione del Patrimonio Culturale- Digital Library. L’ Istituto sta rivoluzionando l’approccio al patrimonio culturale con l’obiettivo di coordinare e promuovere i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale del Ministero della Cultura, nonché di promuovere il coordinamento delle iniziative idonee ad assicurare la catalogazione del patrimonio culturale, come stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L’ Ente dotato di autonomia speciale – che svolge anche le funzioni di indirizzo e controllo sull’Istituto centrale per gli archivi, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane –  ha avviato nei mesi scorsi, attraverso un modello partecipativo di assoluta novità per la PA, il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale.

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Architetto Moro, da tutti le viene riconosciuto un impegno e una responsabilità rilevante per portare il nostro Ministero della Cultura e le sue funzioni di indirizzo e coordinamento per la conservazione e tutela del patrimonio culturale nella modernità. Ci illustra i momenti salienti di questo percorso.

Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND) è il frutto di un processo di condivisione e confronto con diverse istituzioni culturali, il Piano costituisce la visione strategica con la quale il Ministero intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026, rivolgendosi in prima istanza ai musei, agli archivi, alle biblioteche, agli istituti centrali e ai luoghi della cultura statali che possiedono, tutelano, gestiscono e valorizzano il nostro patrimonio culturale.

Il documento, licenziato nei mesi scorsi, crea anzitutto il contesto strategico – intellettuale e professionale – di riferimento per la realizzazione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ed in particolare per le «Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale».

In questa direzione il PND costituisce un riferimento metodologico e operativo per tutte le istituzioni e per gli operatori culturali, sia in ambito pubblico che privato, che si riconoscono nei valori sottesi al PND e in questo processo non più procrastinabile.

Architetto Moro, il PND rappresenta una grande opportunità culturale di cambiamento per le organizzazioni come DiCultHer impegnate nella promozione della “Cultura Digitale” con particolare riferimento al mondo dell’istruzione, per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. In questo senso quale visione adottate per creare quell’ecosistema digitale capace di incrementare la domanda potenziale di partecipazione alla vita culturale del Paese, nonché di ampliare l’accessibilità al patrimonio per diversi segmenti di pubblico?

La stesura del PND poggia la sua progettazione da questa visione e, soprattutto da valori condivisi e da obiettivi di cambiamento correlati alle fasi del processo di trasformazione digitale che stiamo vivendo sia nella quotidianità, sia nella visone politica della conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio, da cui scaturiscono opportunità per l’intero ecosistema culturale. In prospettiva, i progetti di digitalizzazione sin qui realizzati dalle singole istituzioni culturali potranno rafforzarsi al confronto con il PND, confluendo in un’azione collettiva basata su una visione comune, declinata secondo una chiara cornice fatta di politiche pubbliche e regole, cogliendo le occasioni offerte dagli sviluppi dei processi di innovazione tecnologica.

Per realizzare tale processo, abbiamo cercato di dotare il Ministero, per il tramite del PND, di una strategia che armonizzi la dimensione culturale con quella manageriale e tecnologica, con lo scopo di determinare un cambiamento della visione, una verifica e un’innovazione sia dei processi interni che di quelli rivolti all’utenza esterna, un’evoluzione dei sistemi con cui operare nell’ambiente digitale, ma anche una opportunità di avvicinare tipologie di pubblici differenti al patrimonio.

Per descriverlo, sono state individuate delle traiettorie di cambiamento – interpretative delle dinamiche in atto – che pongono in un rapporto di reciproca interdipendenza i valori, gli obiettivi e le opportunità della trasformazione digitale, così descritti nel disegno di seguito.

Nel documento di PND elaborato dal suo Istituto, viene posta particolare attenzione alle riflessioni sul valore culturale delle nuove entità computazionali prodotte nell’Era Digitale contemporanea avviate in questi ultimi anni derivanti da ricerche e studi volte a dare un’identità al nuovo Digital Cultural Heritage definito dall’UE – nell’Art. 2 delle Conclusioni del Consiglio del 21 maggio 2014 relative al patrimonio culturale – come risorsa strategica per un’Europa sostenibile (2014/C 183/08). Istanze queste che sono state alla base della costituzione stessa di #DiCultHer nel 2015 e che ha dato origine a un confronto vivace tra le organizzazioni culturali che ne fanno parte. In particolare è stata data voce a giovani e docenti al fine di identificare il digitale nel suo autentico ruolo di facies culturale dell’epoca contemporanea, presupposto di base per proposte concettuali volte a restituire ai giovani la consapevolezza di quanto sia importante riappropriarsi della “titolarità partecipata del patrimonio”, ripartendo proprio dal riconoscimento del valore della cultura digitale.

Proposte che nel corso degli anni sono state disseminate e arricchite nell’ambito di una serie di iniziative progettuali realizzate da #DiCultHer con il coinvolgimento congiunto e sinergico delle comunità scientifiche, educative, territoriali in varie regioni e sottolineate nei documenti di indirizzo come il Manifesto Ventotene digitale e la Carta di Pietrelcina per l’educazione all’eredità culturale nonché alla base di tutti i documenti programmatici annuali delle attività di #DicultHer.

Le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea[1]  sono state uno dei principali riferimenti culturali dei lavori per la stesura del PND in quanto è stato il primo documento in assoluto che ha incluso tra le forme del patrimonio culturale, oltre ai beni materiali e immateriali, anche le risorse digitali, nella duplice accezione di digitale nativo e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione. Si tratta di un passaggio importante, perché supera la funzione ancillare del bene digitale come replica o copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili.

Queste riflessioni sono state certamente uno dei punti cardini nel momento in cui si è avviata la stesura del PND: il patrimonio culturale digitale è costituito da oggetti, la cui natura può essere definita sulla base delle relazioni informative che sono in grado di generare. Essi, anche quando collegati ai beni culturali fisici, possiedono un’autonomia ontologica, come ormai attestato da un’ampia letteratura. Sono disponibili e accessibili, non ponendo alcuna barriera geografica e temporale alla libera fruizione.

Sono dispositivi di potenziamento: il patrimonio, nelle società contemporanee, è strategico perché crea le condizioni per la costruzione di un dialogo tra diversità, e pluralità. Gli oggetti del patrimonio culturale digitale, inoltre, ambiscono a saldare tradizione, storia e memoria secondo formule variabili, determinate dall’intenzione creatrice o dalle successive interpolazioni favorite dai processi di co-creazione. Infine, uniscono tempi, beni (materiali o immateriali), luoghi e persone, perché l’originale significato patrimoniale di cui sono latori si situa sempre all’interno di percorsi concettuali e di senso.

Convinti che il digitale non debba essere considerato un mero strumento di comunicazione, ma l’espressione di un più ampio mutamento che coinvolge gli individui, i processi e la nozione di cultura, influendo così sull’immaginario collettivo.

Il PND tiene conto di queste riflessioni individuando traiettorie e prospettive per considerare le potenzialità del digitale, evolvendo da una fruizione passiva tipica delle piattaforme commerciali, a quella correlata al potenziamento delle capacità culturali, di apprendimento e creative degli individui, delle comunità e della collettività.

In questo senso, il PND considera l’ambiente digitale un elemento abilitante per creare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale attraverso l’elaborazione, anche simbolica, dell’informazione, lavorando su diversi piani di approccio, come per esempio sul piano della contestualizzazione degli “oggetti” culturali, ma anche sopperendo ai limiti intrinseci degli spazi espositivi tradizionali, dove il digitale ne “aumenta” gli spazi di connessione e la ricostruzione del contesto storico-culturale, critico e sociale diventa infatti uno degli elementi salienti del patrimonio digitale.

Lo sforzo profuso nella definizione degli obiettivi e delle conseguenti strategia del PND trova piena attuazione allor quanto l’ambiente culturale digitale contribuisca a generare relazioni, ovvero nella possibilità di generare e rigenerare connessioni reciproche tra le informazioni, facilitando la produzione di nuovi significati. Accettare il valore delle relazioni comporta la transizione verso nuovi modelli di rappresentazione della conoscenza, non più coincidenti con la visione generata dall’istituzione che ha in consegna il bene culturale, ma integrati e potenziati da una pluralità di punti di vista, spesso inediti e originali. Il web è il luogo in cui si manifestano le relazioni semantiche fra le risorse digitali dei diversi domini del patrimonio culturale: i beni culturali diventano pertanto nodi di una rete di relazioni alla cui costruzione tutti possono contribuire.

Naturalmente tutto ciò non potrà essere un processo spontaneo, perché i dati dovranno essere organizzati e modellati per essere correlati ad altri dati, anche in modo automatizzato; gli ambiti di dominio possono così diventare l’uno il contesto dell’altro, arricchendo reciprocamente il portato informativo della risorsa digitale.

L’auspicio è che nel merito, la ricostruzione dei contesti, in senso tanto disciplinare quanto culturale, consentirà di affrontare una delle sfide più impegnative che gli specialisti si troveranno ad affrontare: sul piano metodologico, per definire standard descrittivi idonei alla generazione di relazioni semantiche; sul piano logico e tecnologico, per avere strumenti di ricerca e integrazione dei dati trasversali ai diversi domini; sul piano comunicativo, per poter costruire efficaci architetture dell’informazione adeguate alla restituzione.

Va da sé che tali prospettive si potranno realizzare sono attraverso processi educativi, formativi, di ricerca, sviluppo tecnologico e management per il pieno sviluppo di una Cultura digitale diffusa, intesa come attenzione costante all’innovazione, ai temi dell’inclusione sociale, dell’interculturalità, della sostenibilità. Campi applicativi questi che vanno ben oltre il semplice utilizzo delle sole tecnologie digitali in funzione abilitante ai fini della valorizzazione – ovvero come strumenti atti a favorire processi di semplice aggiornamento e digitalizzazione dell’esistente, ma ambiti per veicolare la consapevolezza del valore delle tecnologie digitali per la conservazione, rappresentazione e valorizzazione dei patrimoni culturali nella società.

Quest’ultimo aspetto, la promozione della Cultura digitale in particolare nel mondo dell’istruzione, rappresenta l’essenza stessa e la priorità dell’Associazione #DiCultHer per educare al e con il Patrimonio culturale, per produrre un pensiero critico e un impegno responsabile e adeguato a rispondere alle sfide della modernità in relazione al Nuovo Bauhaus Europeo (NEB), di cui #DiCultHer è partner ufficiale, che mostra la direzione per la transizione sostenibile dell’Europa. In questo senso, La Cultura digitale e NEB, assumono valenza metodologica, strutturale e di contesto, all’interno della quale è stata avviata una nuova ermeneutica per la coesione sociale e la promozione delle diversità, l’innovazione socialmente sostenibile, la promozione della salute e del benessere e l’educazione inclusiva. La Cultura digitale, in questa visione condivisa, intende favorire l’emergere di occasioni strategiche di riorganizzazione dei saperi, di apertura alle entità e ai nuovi contenuti, di accesso alle forme stesse del contemporaneo.  Una visione che offra una opportunità per restituire ai nostri giovani la piena consapevolezza del loro ruolo nella modernità, essenziale nel raggiungere obiettivi di sostenibilità, attraverso un processo che pone al centro la loro ‘creatività’ per renderli protagonisti nei processi di costruzione identitaria e di cittadinanza attiva europea.  Un protagonismo per l’esercizio del diritto alla cultura, del diritto all’istruzione, del diritto all’innovazione affinché queste capacità e abilità siano conseguite nello spazio formativo/educativo scolastico quale irrinunciabile azione per una “appropriazione culturale” dei territori di riferimento di ognuno e della “formazione alla cittadinanza”.

Naturalmente questa complessa operazione non può essere affidata solo alla tecnologia. La descrizione e il “racconto” attribuiti agli oggetti del patrimonio, anche nella loro dimensione sociale, necessitano di una formazione ampia, interdisciplinare frutto della cooperazione tra esperti di dominio che possano pensare i contenuti e valorizzarne la rappresentazione attraverso il corretto trattamento dei dati correlati e lo sviluppo di prodotti interattivi.

Il patrimonio culturale, che tradizionalmente si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono offerte, nello spazio digitale accoglie diversi modelli interpretativi e nuovi pubblici ed è quindi in grado di produrre contenuti ulteriori. Il patrimonio culturale digitale diventa così un attivatore d’interesse perché sedimenta e trasferisce alle generazioni future i dati della conoscenza e le interazioni che le comunità hanno intrattenuto con essi nelle epoche pregresse. In questo scenario, la cultura digitale è una pre-condizione abilitante che deve essere diffusa per orientare processi complessi di trasformazione digitale: è possibile immaginare il futuro come un ecosistema nel quale tutti gli attori e le professionalità del settore possano relazionarsi.

In questa dimensione, il percorso di trasformazione digitale del patrimonio e delle istituzioni culturali perseguito nelle azioni individuate nel PND intende ampliare le forme di accesso al patrimonio digitale per migliorare l’inclusione culturale, ma anche e soprattutto ampliare le pratiche di digitalizzazione includendo oltre ai beni culturali anche i servizi all’utenza in processi end-to-end, in modo da monitorare l’efficacia e l’efficienza delle singole funzioni o attività, nonché dell’organizzazione nel suo complesso di azioni di tempestiva risoluzione di problemi e di miglioramento continuo dei processi stessi. Un altro aspetto essenziale è costituito dall’ampiamento delle forme di cooperazione e di interoperabilità dei dati nell’ecosistema, considerando anche la necessità di interscambio all’interno di infrastrutture digitali di ricerca internazionali che rispondono alle necessità di diverse comunità scientifiche.

Di particolare interesse in questa direzione la discussione aperta da un paio di anni dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per un nuovo Bauhaus europeo e rilanciata con la prima edizione del New European Bauhaus Festival al Museo d’arte contemporanea MAXXI il 12 giugno  scorso con l’obiettivo di riunire “persone di ogni ceto sociale per esplorare, discutere e plasmare un futuro bello, sostenibile e inclusivo” fondato sui valori della qualità e dell’inclusione ai fini anche della valorizzazione della diversità, la garanzia dell’accessibilità, culturale ed economica, rappresentano un visione comune da perseguire per una cittadinanza europea fondata sulla Cultura digitale.

Una visione che rafforza la visione e l’operatività intrinseca del PND, attraverso il necessario ed opportuno dialogo tra le varie comunità, tanto scientifiche, educative e patrimoniali, innestato sui principi della Convenzione di Faro che agisce sul patrimonio culturale secondo molteplici approcci e discipline differenti, perseguendo strategie proprie di disseminazione e interazione con diverse categorie di utenti. Naturalmente il percorso per raggiungere questi obiettivi esige la disponibilità delle istituzioni a migliorare le prassi operative e organizzative impiegate sino ad oggi, in una logica di evoluzione continua.

La prospettiva della conoscenza e della presa in carico dei patrimoni culturali europei, tanto a livello territoriale che individuale, è indispensabile per definire a livello di comunità la consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri posti in carico all’eredità culturale ricevuta.  In questo superamento dalla posizione di ‘fruitori’ a “titolari” del patrimonio – che #DiCultHer persegue nella dimensione digitale, come si colloca il PND?

Per raggiungere gli obiettivi di cambiamento che il Piano prefigura, abbiamo individuato una strategia di attuazione che sappia cogliere le opportunità offerte dal processo di trasformazione digitale per tradurle in azioni concrete, che punti anche sulle persone.

Il PND 2022-2023 delinea infatti le azioni strategiche da realizzare a livello nazionale, come pre-condizione abilitante per lo sviluppo di un ecosistema digitale della cultura. Questo ovviamente non esaurisce né sostituisce le azioni che ciascun comparto istituzionale o settore disciplinare introdurrà a partire da ciò che viene realizzato dal Ministero della Cultura al servizio di tutto l’ecosistema, con particolare attenzione all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che come sottolineato in molti contesti rappresenta una azione “di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. Per l’Italia il Next Generation EU rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il Next Generation EU può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni”.

In coerenza con gli obiettivi del PNRR, nell’ambito della Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, Componente 3 “Turismo e Cultura 4.0” il Ministero della Cultura ha previsto uno specifico investimento denominato “Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale” con lo scopo di attuare un progetto organico e strutturato per:

  1. sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali nella direzione esplicitata nella Visione del PND, riconducendo la frammentazione attuale a una prospettiva che restituisca l’unitarietà e la complessità del patrimonio culturale nazionale;
  2. garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine degli archivi digitali e dei prodotti di digitalizzazione del patrimonio culturale, adottando le nuove strategie di conservazione (approccio cloud) e capitalizzando i vantaggi che offrono in termini di sicurezza e durata nel tempo;
  3. semplificare i rapporti con i cittadini e le imprese, ridisegnando le procedure di settore e portando i servizi in rete;
  4. facilitare la crescita di un mercato complementare dei servizi culturali aperto alle piccole e medie imprese e alle start-up innovative, finalizzato a innovare le modalità di fruizione del patrimonio culturale;
  5. accrescere il capitale umano degli operatori e dei fruitori, attraverso azioni formative finalizzate alla crescita delle competenze e allo sviluppo consapevole delle potenzialità della co-creazione.

L’investimento mira da un lato a recuperare i gap nella transizione digitale, al pari di ogni altra pubblica amministrazione, e dall’altro vuole stabilizzare alcuni processi avviati negli anni passati e accelerati durante la pandemia.

Data l’ampiezza del programma PNRR e il potenziale trasformativo delle azioni che saranno introdotte in tale contesto, l’investimento è articolato in 12 misure tra loro correlate che, come evidenziato dal grafico, tengono conto di tutte le componenti dell’ecosistema andando a creare quelle infrastrutture nazionali abilitanti (hardware, software e di governance) oggi mancanti.

Questo anche nell’ottica di concorrere al conseguimento degli obiettivi di digitalizzazione previsti dalla “Raccomandazione della Commissione EU sulla creazione di uno spazio dei dati europeo per il patrimonio culturale[2] del novembre 2021.


Si tratta di un programma pensato per facilitare e accelerare i cambiamenti strutturali che l’innovazione tecnologica abilita in tutto il settore culturale. Esso prevede un’ottica di cooperazione di lungo periodo, allargata a tutte le componenti dell’ecosistema, per avviare un percorso di crescita capace di alimentare un processo di rinnovamento degli istituti culturali, chiamati a ripensare il proprio ruolo sociale in funzione delle possibilità offerte dall’ambiente digitale.

L’obiettivo strategico è chiaro: fare in modo che il patrimonio culturale digitale non si disperda, che possa essere utilizzato liberamente da tutti e mantenuto nel tempo. Lo Stato s’impegna dunque, attraverso gli investimenti del PNRR, ad assicurare ad ogni istituzione culturale che vorrà cooperare la disponibilità e la preservazione nel lungo periodo dei dati culturali di cui già dispone e di quelli che vorrà produrre e conferire, attraverso processi d’identità, di conservazione, di riuso, non alternativi ma aggiuntivi a quelli esistenti.

In un contesto così eccezionale, è del tutto evidente e naturale che il PND fondi la sua strategia nazionale sulle azioni del PNRR, anche se ovviamente la sua portata non si esaurisce con esso. Le azioni strategiche delineate a livello alto nel PND #2022-2023 saranno progressivamente attuate nel prossimo quinquennio, secondo fasi che verranno affinate negli aggiornamenti del Piano e che definiranno per ciascun settore gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, identificando gli indicatori di performance e impostando le metriche di valutazione dei risultati raggiunti e il monitoraggio delle azioni programmate.

Come ricordato in vari punti del documento descrittivo del Piano, il PND non ha l’ambizione – ne avrebbe le possibilità – di descrivere i percorsi di trasformazione digitale o i processi di sviluppo dei singoli istituti sia del MiC che delle altre organizzazioni culturali nazionali; tuttavia, rappresentando una cornice culturale e di orientamento strategico, può utilmente indirizzare tale processo fornendo le componenti comuni sia in termini metodologici che di componenti abilitanti. In questa prospettiva vanno letti i capitoli che costituiscono il PND, che vogliono essere, nella loro stessa “architettura”, una proposta di metodo.

Le linee di azione strategica sono suddivise e descritte secondo tre ambiti: le tecnologie abilitanti, i processi e le persone. Le tecnologie infatti abilitano i processi, che sono governati dalle persone affinché sulle medesime producano i loro effetti. Su questi parametri può dunque essere misurata la maturità digitale di una organizzazione.

Nello schema seguente è riassunta la mappa di navigazione della sezione Strategia del PND

I capitoli “Tecnologie abilitanti” e “Persone” fanno riferimento per la parte operativa alle piattaforme abilitanti previste nel PNRR; il capitolo “Processi”, invece, fa riferimento a quanto approfondito nelle Linee guida allegate al Piano stesso.

Per ciascuna linea strategica individuata in questa prima versione del PND vengono individuate le azioni a breve, medio e lungo termine che il Ministero metterà in atto a livello nazionale per facilitare il funzionamento dell’ecosistema digitale nel suo insieme. Ovviamente queste azioni non rappresentano, né possono rappresentare, la totalità delle azioni che saranno introdotte da tutte le istituzioni ai vari livelli di governo.

Nella sezione “persone” del PND viene posta particolare attenzione sull’opportunità di porre le stesse al centro dei processi di cambiamento. Come sottolineato in varie parti del PND, investire sul capitale umano è imprescindibile per creare l’impianto organizzativo necessario alle amministrazioni: troppo spesso, infatti, la trasformazione digitale è impedita o ostacolata dalla mancanza di competenze interne di natura tecnica e organizzativa. L’educazione e la formazione rappresentano quindi lo strumento fondamentale per far sì che l’innovazione possa radicarsi, crescere e generare valore; in questo contesto essa va intesa come un processo trasversale di lunga durata, volto all’aggiornamento costante delle competenze e delle conoscenze degli individui.

Operare una trasformazione nelle forme e nelle modalità di interazione dei pubblici con i patrimoni culturali non è cosa semplice e immediata. È necessario che tutte le istituzioni superino la logica del passato basata sulla fruizione passiva degli utenti, in favore di pratiche di disseminazione culturale e condivisione sociale ad ampio raggio, capaci di mettere le persone al centro delle strategie e di farle interagire con la cultura in modo consapevole e innovativo. L’auspicio è che le istituzioni culturali incentivare la partecipazione attiva mediante pratiche di co-creazione e crowdsourcing, incrementando le potenzialità e la creatività degli individui, enti non commerciali, imprese e comunità.

Solo implementando azioni strategiche volte al costante aggiornamento delle competenze del personale interno e abilitando la partecipazione di strati sempre più ampi di cittadinanza si potrà favorire la creatività culturale, intesa come processo permanente di ri-contestualizzazione e re-interpretazione del patrimonio all’interno dei paesaggi culturali, a cui il PND dedica un intero capitolo.

Le competenze digitali si presentano come tessere di un ampio mosaico, nella cui composizione rientrano abilità tecnologiche, conoscenze metodologiche, attitudini gestionali e processi mentali che consentono di creare e gestire informazioni e contenuti mediante le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Nel PND del MiC, in affiancamento delle attività formative ordinarie, nell’ambito dell’investimento del PNRR è prevista la realizzazione di un programma di “Formazione e aggiornamento delle competenze”. Quest’azione strategica non ha solo lo scopo di arricchire la competenza del personale interno del Ministero – e di tutti i professionisti che operano a vario titolo nelle istituzioni culturali – mediante un programma di apprendimento permanente pensato per supportare il processo di cambiamento richiesto, ma anche quello di individuare i fabbisogni in termini di adeguamento organizzativo, assicurando una gestione del cambiamento in tutte le sue fasi.

L’intervento formativo tenderà alla creazione di un patrimonio condiviso di competenze, in linea con quanto già stabilito nel Piano per l’Educazione al Patrimonio, di cui mi risulta che #DiCultHer abbia un apposito Protocollo d’intesa, che possa favorire l’ibridazione degli ambiti disciplinari e operativi e l’integrazione dei livelli di conoscenza, attraverso l’attivazione di un’offerta formativa articolata congrua con gli obiettivi del PND.

[1] Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti – materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo”;

[2] Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione del 10 novembre 2021 relativa a uno spazio comune europeo di dati per il patrimonio culturale (OJ L 401 12.11.2021, p. 5, CELEX: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:32021H1970).