Educazione al patrimonio culturale e digitale: da potenziale a fattore di contesto

Elisabetta Borgia, Marina Di Berardo, Susanna Occorsio

Ministero della Cultura – Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali – Servizio I – Ufficio Studi – Centro per i servizi educativi


L’analisi dello scenario odierno – a livello europeo – su patrimonio culturale[1] e digitale, sul relativo potenziale di innovazione sociale per la costruzione di un’identità comune e la crescita sostenibile di un’Europa competitiva e solidale ha evidenziato, negli ultimi anni, una sensibile accelerazione.

Attraverso ampie operazioni di coordinamento e finanziamento, la Commissione europea ha sostenuto le politiche culturali degli Stati membri, attenzionando la digitalizzazione, l’accesso online ai contenuti culturali e le attività di cura e conservazione digitali.

Significative, a riguardo, le trasformazioni andate peraltro ad investire l’intero ecosistema cultura: dall’ormai acquisita identificazione del digitale stesso come dimensione di contesto e fattore strategico richiamata dalla Nuova agenda europea per la cultura (COM 2018 – 267 final), dal Quadro d’azione europeo sul patrimonio culturale, (NC-03-19-331-EN-N del 27.05.2019) nonché, ancora di recente, e in particolare come leva  creativa, dalla Dichiarazione di Roma dei Ministri della cultura G20 (30.07.2021) fino alle sfide per il post-pandemia, con gli interventi, in capo alla Commissione Europea, del Next Generation Eu e del New European Bauhaus.

Ulteriori iniziative per incentivare trasformazione, conservazione e riutilizzo del patrimonio digitale europeo in settori-chiave economici, culturali e creativi sono la ‘Raccomandazione (UE) 2021/1970 della Commissione del 10 novembre 2021 relativa a uno spazio comune europeo di dati per il patrimonio culturale’[2] e l’avvio di un dialogo con gli Stati membri (21 giugno 2022) per la creazione di un cloud collaborativo europeo per il patrimonio culturale, da realizzarsi nel quadro di Horizon Europe (2021-2027) mediante un’unica infrastruttura e tecnologie avanzate per la digitalizzazione dei manufatti, lo studio delle opere d’arte e la documentazione dei dati.

Una serie di passaggi che, mentre sono andati favorendo il superamento dell’approccio al digitale come ‘rivoluzione’, come insieme di applicativi o, ancora, come alternativa congiunturale alla crisi sanitaria, hanno di fatto abilitato il suo riconoscimento, operato nell’ambito delle  Conclusioni del Consiglio europeo nel 2014, quale parte integrante delle risorse ereditate dal passato[3]  – nella duplice accezione di digitale nativo e di prodotti/servizi derivati dai processi di digitalizzazione – e quale fattore incrementale delle strategie di accesso e partecipazione al patrimonio/luoghi della cultura, dando luogo ad una vera e propria ‘svolta’, finalizzata a comporre implicazioni culturali, aspetti gestionali, soluzioni tecnologiche e profili giuridici in un insieme entro cui operare in maniera strutturata.

In particolare, al centro di politiche e programmi sono attualmente i processi di digitalizzazione, generativi di nuovi modelli di espressione, conservazione e diffusione del patrimonio e della sua  crescenterilevanza dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, i cambiamenti cui le organizzazioni sono chiamate a rispondere in termini di adeguamento degli standard di studio, conservazione, valorizzazione e comunicazione, la costruzione di profili di competenza innovativi e trasversali coerenti con i modelli di occupabilità giovanile e l’adozione di infrastrutture digitali in grado di interoperare con altre infrastrutture nazionali, europee ed internazionali.

Per i luoghi della cultura, una sostanziale ridefinizione dei servizi resi attraverso tali processi e attraverso il ricorso a tecnologie avanzate (3D, intelligenza artificiale, apprendimento automatico, cloud computing, tecnologie dei dati, realtà virtuale ed aumentata, etc.) – tesa ad ampliare accessibilità e inclusività sociale e a promuovere lo sviluppo dei valori culturali espressi dalla collettività e garantiti dallo Stato – rappresenta oggi una delle esigenze più rilevanti.

A livello nazionale, a fronte della mancanza o comunque della disomogeneità di un approccio teorico-sistemico al digitale e del ritardo storicamente accumulato dal Paese nell’affrontarne le sfide, gli ultimi anni hanno visto una serie di interventi[4] che hanno collaborato all’affermazione, soprattutto a livello istituzionale,  di una vera e propria ‘cultura digitale’ applicata al patrimonio, all’interno della quale dematerializzazione, digitalizzazione e soluzioni infrastrutturali (hardware, software e di governance) sono andate ad impattare su una pluralità di settori riguardanti tutela e gestione del patrimonio e dei territori.

Diverse le questioni legate alla trasformazione: dalla reperibilità delle risorse digitali disponibili all’accessibilità dei contenuti, tramite metadati strutturati allineati a standard internazionali, per il riutilizzo a fini didattici e di ricerca; dall’uso dei LOD per l’interoperabilità agli strumenti di monitoraggio, conservazione e restauro; dalla gestione degli aspetti organizzativi, sociali, manageriali e creativi ai loro impatti nell’istruzione/formazione, territorio/turismo.  

Un vero e proprio ecosistema cui, ancora di recente, ha contribuito – più in generale, in linea con la stessa centralità attribuita dal PNRR e dai relativi investimenti al processo di transizione digitale di tutta la Pubblica Amministrazione al fine di efficientarne e renderne sempre più accessibili i servizi nonché di supportarne l’adozione di modelli relazionali aperti con cittadini e imprese[5] – il processo di trasformazione organicamente avviato dal Ministero della Cultura con il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale[6], redatto dall’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library[7].

Previsto dal PNRR – Cultura 4.0 (M1C3) per quanto di competenza del MiC[8], il documento ha aperto, in termini di visione strategica, ad una nuova interpretazione degli asset chiave dell’eredità culturale in base ad una serie di proposte su formazione e gestione dei dati, proprietà intellettuale ed etica, potenziamento delle competenze digitali e, soprattutto, valorizzazione del patrimonio italiano in ambiente digitale.

Forte la connessione – declinata fra obiettivi, opportunità e processi strategici – con i temi partecipativi come leve di inclusione e rigenerazione, funzionali ad ampliare l’accessibilità fisica e cognitiva, l’estensione del patrimonio per nuovi pubblici, la disseminazione culturale e la condivisione sociale, in linea peraltro con gli indirizzi prioritari del IV Piano nazionale per l’Educazione al Patrimonio Culturale 2021[9].

Quanto alle strategie previste nella programmazione delle attività amministrative e istituzionali del Ministero, tra cui l’Atto di indirizzo concernente l’individuazione delle priorità politiche da realizzarsi nell’anno 2021 e per il triennio 2021-2023 (DM n. 148 del 2 aprile 2021)[10], le principali, delineate in base al PNRR, prevedono (Intervento 1 – Patrimonio culturale Next Generation) l’adozione di piattaforme e strategie digitali[11] con l’obiettivo di organizzare ed incrementare l’ingente patrimonio digitale prodotto dai luoghi della cultura, consentire alle comunità nuovi modi di fruizione e promuovere il riuso dei contenuti ‘per servizi sviluppati dalle imprese culturali e creative e da start-up innovative, e per fini educativi’.

In quest’ottica, anche la Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali ha lavorato per una rinnovata interpretazione del complesso di attività pubbliche cui istituzionalmente è chiamata a rispondere.

Quale organismo centrale del Ministero con funzioni di promozione e coordinamento di programmi per gli ambiti interdisciplinari di educazione, formazione e ricerca, la Direzione generale [12], ha inteso promuovere, negli anni, linee di indirizzo e strategie operative allineate all’ambito europeo, avviare azioni in cooperazione, nazionale e internazionale, pianificare e approvare un’offerta formativa ed educativa integrata per la trasmissione dell’eredità culturale e per l’aggiornamento di competenze, sostenere percorsi per l’innovazione e la sostenibilità inerenti il patrimonio curare la digitalizzazione dei servizi erogati e accrescere gli apparati della comunicazione in rete.

Uno contesto esecutivo che si riflette nell’attività di pianificazione nazionale come, nel Piano Nazionale per l’Educazione al patrimonio, edito su parere del Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici, nel Piano annuale della formazione, nel Piano triennale delle attività formative, di ricerca e di autovalutazione degli Istituti centrali e periferici del Ministero, per il triennio 2021-2023, ed ancora nel contributo fornito, per il settore di competenza, nelle linee di ricerca comprese nel Programma nazionale per la ricerca 2021-2027 curato dal Ministero dell’università e della ricerca.

Nel processo di innovazione e transizione digitale, in particolare, sono state realizzate diverse piattaforme interattive dedicate alla gestione dei corsi, alla tenuta degli elenchi dei professionisti, alle attività di promozione culturale ed ai relativi finanziamenti, configurate secondo le esigenze dell’utenza e dell’amministrazione stessa.

Prossimo traguardo sarà la configurazione di #EFR, portale integrato per l’educazione, la formazione e la ricerca che definisce uno spazio online per raccogliere, mettere in rete e valorizzare i progetti e le iniziative interne ed esterne al Ministero, rendendo visibili le relazioni tra istituti, luoghi e ambiti di interesse, in base ad una dimensione capace di restituire un quadro complessivo delle iniziative in corso e, ancora, di aprire a ulteriori prospettive di approfondimento e di ricerca attraverso l’analisi dei dati, variamente aggregati e incrociati, a beneficio di quanti sono direttamene coinvolti, di tutti i professionisti e i privati cittadini in termini di accesso all’informazione.

Costruire una governance quanto più ampia possibile, in grado di produrre azioni condivise, nuove alleanze, coesione e confronto tra i diversi attori diventa vettore di sostenibilità[13] e di rinnovamento del sistema di educazione/formazione, a garanzia della pluralità della proposta e della ricerca metodologica, nel quale possano confluire l’operato di organismi culturali, dell’istruzione, del terzo settore e del privato in genere.

Gli assunti odierni sui temi della partecipazione culturale, del benessere sociale, dell’accessibilità proiettano, in particolare, l’educazione al patrimonio verso forme di educazione circolare connesse all’innovazione digitale, allo sviluppo sostenibile e alle reti di comunità e territori, agli spazi altri della conoscenza, alla multidimensionalità dell’offerta, utile a raggiungere un principio di uguaglianza sostanziale per la diffusione dei saperi e per la formazione continua. 

Interdisciplinare e interculturale, l’educazione al patrimonio assume un ruolo chiave in rapporto sia alla dinamicità intrinseca dei patrimoni sia all’attuale complessità sociale, grazie al suo portato valoriale di approccio democratico e inclusivo, all’uso responsabile dei beni culturali e al coinvolgimento civile dei giovani verso aspetti di cittadinanza attiva, oltre che di salvaguardia e valorizzazione del territorio, in rapporto alle identità di luoghi e paesaggi.

Assi trasversali nelle politiche culturali comunitarie, dalla Convenzione di Faro (2005) alla Strategia del patrimonio culturale europeo per il XXI secolo (2017), dalla Nuova agenda europea per la cultura (2018) al Quadro d’azione europeo sul patrimonio culturale, (2019), dialogo, accesso e partecipazione sono aspetti sempre presenti, oggi, in tutti i documenti e le iniziative nazionali che abbiano ad oggetto il patrimonio.

Obiettivo è quello di ostacolare l’esclusione e la povertà educativa, favorendo il dialogo e la coesione sociale attraverso accesso e condivisione nei campi della cultura, della creatività e dell’educazione.

Per raggiungere tale obiettivo, fondamentale che le istituzioni e i luoghi della cultura offrano contesti ad accessibilità ampliata nelle forme di comunicazione e mediazione, volti all’eliminazione di barriere fisiche, sensoriali, culturali, cognitive o digitali.

Contesti fisici che, attraverso il digitale ed il web, si sono trasferiti o rimodulati in spazi ulteriori, all’interno dei quali è possibile offrire esperienze altre o complementari in una dimensione potenzialmente globale.

In tale contesto, concorrono alla continua ridefinizione della responsabilità sociale e civile dell’educazione al patrimonio, contribuendo ad attualizzarne il paradigma, alcuni temi emergenti fra cui la progressiva configurazione dei luoghi della cultura come infrastrutture per la vita collettiva e degli ambienti digitali come spazi abilitanti per la costruzione di nuovi significati del patrimonio culturale nonché i loro possibili esiti in termini di ‘titolarità culturale’ .

L’indirizzo è quello di incrementare modalità, qualità ed innovazione degli approcci al patrimonio, materiale, immateriale, digitale nativo o derivato dai processi di digitalizzazione, per assicurarne, a tutti i livelli – con sempre maggiore apertura attraverso logiche, modelli, funzionalità e dispositivi digitali – la conoscenza, la sostenibilità e la promozione.

È importante, tuttavia, chiarire quali siano gli ambiti cui si fa riferimento quando si parla di educazione al patrimonio ’attraverso’, o ‘con’ il digitale, in un’accezione ancora, molto spesso, sostanzialmente strumentale.

Tra i più comuni, oltre ai diversi approcci al digitale per la conservazione (digitalizzazione di collezioni/documenti, integrazione dei cataloghi archivistici e bibliotecari in un unico standard, diagnostica, etc.), ricorre il ditale come interfaccia partecipativo e canale di comunicazione.

Al suo interno, una possibile, ulteriore classificazione[14] riguarda l’utilizzo degli strumention-site (totem e tavoli multimediali, applicazioni, prodotti per la realtà aumentata, virtuale e mista, videomapping, chatbot e videogiochi, etc.) – la cui adozione punta in genere, a fare in modo che emozioni e utilities cognitive diventino vie di accesso ai contenuti e al loro apprendimento (Fig. 1) – e degli strumenti on-line (siti web, canali social, piattaforme dotate di feedback, etc.), anche essi utilizzati in maniera importante nella progettazione di iniziative educative  (Fig. 2).

Fig.1 – Venezia – Museo d’Arte Orientale

Fig. 2 – Genova – Palazzo Reale

Se tuttavia si prova ad uscire da queste categorie spostandosi sulla serie di istanze più forti tra quelle correlate oggi al patrimonio – partecipazione, comunità, spazi/territori/luoghi, intesi rispettivamente come condizioni fattuali, destinatari e scenari attuativi – l’educazione al patrimonio si trova, o almeno dovrebbe trovarsi, a giocare un ruolo fondante tra le ‘voci’ con cui il museo/biblioteca/luogo della cultura si rappresenta e a partecipare compiutamente alla strategia operativa complessiva degli stessi luoghi della cultura ‘con’, ‘attraverso’ ‘nel’ digitale.

Emergono di conseguenza, come orizzonti concettuali entro cui costruire l’esperienza educativa nel digitale, dimensioni da riconsiderare in una differente prospettiva.

Su un versante, iltema spaziale – quello cioè dello spazio delocalizzato, diffuso nei continui passaggi fra la dimensione analogica e digitale – che porta al superamento della dicotomia fra on-site/on-line. Dall’altro iltema della partecipazione e della messa in campo di forme di engagement  in grado di produrre ‘titolarità’ – un tema che costituisce la vera sfida in merito alla quale oggi l’istituzione culturale è chiamata ad essere relevant e che implica per es. la progettazione di esperienze dedicate a migliaia di destinatari – ovvero, ancor più, tutto il tema della co-creazione dei contenuti.

Ancora, non ultima componente del processo educativo nel digitale, quella relativa all’asse del tempo come dimensione variabile, ma trasformativa dell’esperienza di visita o cognitiva in un continuum che implica un lavoro diverso, mirato a raggiungere i pubblici, sollecitandone la ricorsività del contatto, l’acquisizione diversificata, modulare e ripetibile dei contenuti, gli approcci di life-long-learning.

In questa direzione, occorre fare ancora un passo avanti e chiedersi quanto oggi l’educazione al patrimonio stia realmente puntando a veicolare prioritariamente il patrimonio materiale e/o immateriale, anche lungo percorsi ampliati dalle tecnologie, ovvero, piuttosto quanto sia impegnata a intercettare esiti, ricadute e impatti dell’utilizzo della stessa serie di contenuti culturali digitali in rapporto all’estensione spazio-temporale dei propri interlocutori.

Centrata su un patrimonio di ‘oggetti’ disponibili, accessibili, dotati di autonomia ontologica, definibili in base alle relazioni informative che possono generare su scala variabile e interdipendente rispetto ai processi co-creativi, in quest’ottica, l’educazione all’eredità culturale digitale si trova, attualmente, a costituire una ulteriore, specifica dimensione.

Il suo ruolo –  specie rispetto all’odierna contestualizzazione dei valori della Convenzione di Faro – si qualifica peraltro pienamente come componente costitutiva degli asset di cittadinanza globale, chiamando in causa interdipendenza, appartenenza ad una comunità mondiale e sinergie tra territori, attori del sistema formativo e operatori di settore.

Quanto dunque, in una simile prospettiva essa oggi punti cioè ad andare ‘oltre’[15] ? Quanto a elaborare nuovi percorsi di senso del patrimonio culturale destinati a costituire la memoria culturale della contemporaneità?

Le vicende ultime, legate all’emergenza pandemica, hanno determinato un notevole slancio nell’uso di piattaforme, strumenti e prodotti digitali per proporre contenuti e sperimentare forme di interazione alternative alla presenza fisica, attraverso il ricorso a tecnologie, in verità già da tempo disponibili, e ad un’offerta culturale, definita da tratti spesso differenti da quelli caratterizzanti i contesti più tradizionali[16], in termini di apertura a favore di un più diretto rapporto tra istituzioni culturali, cittadini e comunità, potenzialmente chiamati ad un ruolo attivo nella salvaguardia e valorizzazione della propria eredità culturale.

Istanze di nuovi linguaggi, nuovi strumenti e modalità di mediazione dei contenuti culturali, capaci di stimolare coinvolgimento, curiosità e interesse vengono, peraltro, oggi, anche dai frequentatori usuali dei nostri luoghi della cultura.

In tal senso il digitale rappresenta sicuramente un potenziale canale di innovazione e arricchimento delle modalità di mediazione, educazione e formazione, ma, allo stesso tempo, un possibile ulteriore ambito di esclusione e di emarginazione.

Visto il suo crescente ruolo nel settore della cultura, è importante che gli oggetti digitali o digitalizzati, gli strumenti informatici, i dati e le modalità di interazione sul web, siano accessibili ad una platea il più ampia possibile, cercando, in linea con i principi dell’Universal design[17], di tendere verso un’idea di accessibilità per tutti.

Garantire accessibilità al patrimonio culturale tangibile, intangibile, naturale e digitale significa rimuovere barriere, che potrebbero derivare, anziché essere superate, in taluni casi, proprio dalla dimensione digitale. L’accessibilità anche in questo caso, dovrà essere garantita o almeno ottimizzata con l’utilizzo di prodotti, applicazioni e dispositivi con specifiche caratteristiche, così come attraverso la creazione di siti web che rispettino gli standard di navigabilità ed usabilità previsti dall’attuale normativa (Fig. 3).

Fig. 3 – Ancona – Museo Tattile Statale Omero

Il digitale, dunque, se conformato a principi equi e democratici, certamente lavora a favore dell’accessibilità ed estende l’efficacia dell’educazione al patrimonio. Allo stesso modo il web, anche attraverso i canali social, rappresenta un potente vettore per condividere la nostra eredità culturale, per raccontare e rendere accessibile il patrimonio culturale in tutte le sue dimensioni per definire spazi di incontro e di risposta a esigenze plurime, azione quest’ultima imprescindibile, oggi, in un contesto culturale che voglia definirsi socialmente sostenibile.


[1] Accesso e partecipazione civile, benessere e qualità dell’esistenza di individui e comunità, dialogo e inclusione sociale, sviluppo di conoscenze e potenziali creativi, sostenibilità e innovazione sono parole-chiave che hanno sostenuto e continuano ad attraversare le politiche europee sul patrimonio culturale: dalla Convenzione di Faro (2005; it. 23 settembre 2020) agli obiettivi individuati dall’Agenda ONU 2030, dallaRecommendation of the Committee of Ministers to Member States on the European Cultural Heritage Strategy for the 21st century CM/Rec (2017)1 focalizzata sulla partecipazione attiva del pubblico e delle comunità per affrontare le nuove sfide in tema di patrimonio culturale alQuadro d’azione europeo sul patrimonio culturale (NC-03-19-331-EN-N)(27.05. 2019), uno dei documenti di indirizzo comunitari orientati a dare continuità agli esiti dell’ Anno europeo per il patrimonio culturale 2018 e a favorire il riconoscimento dei luoghi della cultura come hub di sviluppo territoriale, di inclusione e di benessere.

[2] Sostitutiva di una precedente Raccomandazione (2011/711/UE), l’attuale linea di azione (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32021H1970&from=EN)  oltre a puntare a contenuti di alta qualità mira a rafforzare partenariati collaborativi con la rete di fornitori di dati, aggregatori ed esperti del settore.

[3] Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08): “2. Il patrimonio culturale è costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti – materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il XXI secolo” 

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014XG0614(08)&from=PL

[4] Nel 2017 ilPiano di digitalizzazione nazionale del patrimonio culturale(D.M. 23 gennaio 2017)redatto dall’ ICCD per le politiche e le strategie di digitalizzazione che i diversi Istituti del MiBACT erano chiamati ad attuare nell’ambito delle proprie attività; nel 2018 l’adozione dei Livelli uniformi di qualità per musei, monumenti e siti archeologici,alla base dell’istituzione del Sistema Museale Nazionale, in cui si riconosce il ruolo strategico della rete e della comunicazione online per facilitare l’accesso al museo, i suoi servizi e alle attività aggiuntive;nel 2019 il Piano Triennale per la Digitalizzazione e l’Innovazione dei Musei avente l’obiettivo di fornire a tutti i musei italiani un quadro di riferimento coerente “in grado di indirizzare l’adozione di soluzioni digitali” e di migliorare la capacità di tutti i musei aderenti al Sistema Museale Nazionale di gestire il patrimonio.

[5] Testo unico cui fa riferimento l’intera materia è il Codice dell’amministrazione digitale (CAD) istituito con D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82, oggetto di numerose modifiche e integrazioni successive (vd.: D.L. 1 marzo 2021, n.22) finalizzate a rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale. In particolare, digitalizzazione della PA e del sistema produttivo costituiscono uno dei grandi settori, all’interno della Missione 1 del PNRR, come prima e specifica componente progettuale delle diverse linee di intervento. Sul tema cfr. inoltre: Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2021-2023 https://www.agid.gov.it/it/agenzia/piano-triennale. Ultimo aggiornamento, redatto dall’AgID, delle tre precedenti edizioni del medesimo strumento di indirizzo contenente la strategia da attuare per migliorare l’accesso on-line ai servizi e monitorare i diversi risultati allo scopo di consolidare lo sviluppo di una società digitale, sostenere la promozione di forme di sviluppo sostenibile, etico e inclusivo e curare la diffusione delle tecnologie nel tessuto produttivo italiano; 2025. Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese https://assets.innovazione.gov.it/16105. Il Piano, strettamente connesso agli obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2030, è orientato alla digitalizzazione della società, all’innovazione del Paese ed allo sviluppo sostenibile ed etico attraverso la messa in campo di un’infrastruttura digitale, di nuovi servizi della PA e di forme collaborative tra pubblico e privato.

[6] https://docs.italia.it/italia/icdp/icdp-pnd-docs/it/v1.0-giugno-2022/index.html

[7] Contesto strategico di realizzazione dell’investimento relativo a  Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale (M1C3 1.1), il Piano intende sostenere la creazione di un hub nazionale – un’ infrastruttura informatica, di regole, policy, software e servizi abilitanti per acquisire, conservare, far circolare e riutilizzare le risorse digitali, rendendole disponibili per la fruizione pubblica – e la classificazione di prodotti e servizi digitali, nonché di processi e modelli di gestione innovativi.

[8]  Gli interventi complessivamente previsti dal quale puntano a migliorare accessibilità, attrattività e sicurezza del patrimonio all’interno di un quadro cooperativo multilivello e secondo criteri di sostenibilità ambientale allineati alla Convenzione di Faro e al Quadro di azione europeo per il patrimonio culturale. https://pnrr.cultura.gov.it/

[9] https://dger.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/11/Piano-Nazionale-per-lEducazione-al-patrimonio-2021.pdf

[10] https://www.beniculturali.it/comunicato/dm-148-02042021

[11] Priorità individuata anche nell’ultima versione del documento relativa al triennio 2022-2024: https://www.beniculturali.it/comunicato/dm-26-21012022

[12]La Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali è un organo centrale del Ministero della cultura (MiC), le cui funzioni e compiti sono indicate all’art.15 del DPCM 2 dicembre 2019 n. 169. Svolge inoltre funzione di coordinamento, indirizzo e vigilanza su quattro istituti dotati di autonomia speciale del Ministero: Istituto centrale per la patologia degli archivi e del libro (ICPAL), Istituto centrale del restauro (ICR), Opificio delle pietre dure (OPD), Istituto centrale per la grafica (ICG).  https://dger.beniculturali.it/.

[13] Tema dell’educazione/istruzione, equa, inclusiva e di qualità, costituisce il quarto degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (A/RES/70/1 del 21.10.2015)

[14] N. Mandarano, Musei e media digitali, Roma,Carocci editore, 2019, passim

[15] M.E. Colombo, Un museo per cosa? Quali i confini?, cheFare, 2017 https://www.che-fare.com/almanacco/societa/corpi/maria-elena-colombo-un-museo-per-cosa-quali-i-confini/; Id., Musei e cultura digitale. Fra narrativa, pratiche e testimonianze, Milano, Editrice bibliografica, 2020.

[16] Grazie alla dimensione del digitale, è inoltre possibile attingere ad ulteriori ambiti artistici e culturali come quello della letteratura, del teatro, della musica. Questa, per es., l’esperienza del progetto Conversazioni d’arte[16], cicli radiofonici per raccontare il patrimonio culturale, sfruttando le potenzialità e le suggestioni della radio. Un’iniziativa avviata dal Centro per i servizi educativi nel 2011 con la Radio web dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, veicolata anche attraverso una pagina facebook dedicata e trasferibile in qualsiasi contesto (museo, archivio, biblioteca).

[17] The principles of universal design Version 2.0 4/1/97, Bettye Rose Connell, Mike Jones, Ron Mace, Jim Mueller, Abir Mullick, Elaine Ostroff, Jon Sanford, Ed Steinfeld, Molly Story, Gregg Vanderheiden (a cura di) NC State University, The Center for Universal Design, an initiative of the College of Design, 1997. http://www.design.ncsu.edu/cud/index.htm. Il termine è stato coniato da Ronald Lawrence Mace, fondatore nel 1989 del Center for Accessible Housing, poi diventato Center for Universal Design.