Una nuova Bauhaus per una nuova Europa.

A cura di Piero Chiabra, Associazione DiGenova

Diceva Winston Churchill che “alcuni vedono il capitalismo come una tigre da abbattere, altri come una vacca da mungere. Pochi lo vedono per quello che è: un cavallo che trascina un carico molto pesante”.

Qualcosa di simile si potrebbe dire per le Istituzioni Europee: alcuni le vedono come un mostro burocratico da abolire, altri come delle dispensatrici di fondi per gli scopi più svariati: ma pochi le vedono nella loro vera essenza: delle benemerite “think tank”, creatrici di azioni che hanno cambiato l’idea stessa di Europa, abolendo le guerre, promuovendo la crescita economica, la certezza delle regole, la promozione dei diritti individuali e collettivi.

E, ciò che è importante, queste istituzioni continuano a pensare. E, pensando, si rendono conto delle emergenze del pianeta, e si rendono conto che un radicale cambio di passo è necessario per salvare il nostro concetto stesso di civiltà, e un modo di vivere accettabile per tutti noi.

E da queste elaborazioni è scaturito il Green New Deal. E da queste elaborazioni è scaturita la New Bauhaus Initiative.

Molti (tutti?) sanno cos’è il Green New Deal (molti, naturalmente, ricadono nel secondo caso: sanno solo che è un possibile grande dispensatore di soldi, ma tant’è…). Ma che cos’è la New Bauhaus Initiative?

Forse, per spiegare cos’è l’iniziativa della “nuova Bauhaus” bisognerà accennare prima a cos’era, cos’è stata la Bauhaus.

La Bauhaus era un movimento artistico, architettonico e letterario, nato in Germania subito dopo la fine della Prima guerra Mondiale, e attivo dal 1919 al 1933, fondato dall’architetto Walter Gropius, assieme ad altre prominenti figure culturali della Germania di Weimar. Il programma della Bauhaus era quello di rivendicare la compatibilità tra produzione industriale e creatività artistica, immaginando lo sviluppo di una nuova estetica, e di una «bellezza trasfigurata», che fungesse da preludio ad un rinnovamento del modo di vivere e ad una trasformazione della Società.  

Questa non era una idea originale, già i futuristi italiani l’avevano teorizzata, ma c’era una importante differenza: mentre per i futuristi lo sviluppo della nuova estetica era un’opera elitaria, appannaggio delle avanguardie spinte dal loro “sacro fuoco” innovatore, per Gropius la nascita della “nuova bellezza” doveva essere un fenomeno condiviso. Un processo in cui milioni di artigiani avrebbero, sulla base delle funzioni dei loro manufatti, andando al di là della “decorazione” fine a sé stessa, scoperto e sviluppato una nuova bellezza nel costruirli ottimizzati per la loro funzione, e per la produzione industriale.

…. La pittura e la scultura decolleranno verso il cielo dalle mani di un milione di artigiani, il simbolo cristallino della nuova fede nel futuro”. Così diceva Gropius. Un progetto di realizzazione di un nuovo modo di costruire, di concepire la bellezza, l’estetica, in ultima analisi, di vivere.

Il movimento ebbe successo. La Bauhaus attirò l’attenzione e ispirò grandi architetti come Le Corbusier e Ludwig Mies van der Rohe (quest’ultimo divenne uno dei principali esponenti del movimento), artisti quali Kandinsky e Klee. Il risultato di tutto questo lavoro, ispirato dalla Bauhaus ma elaborato da molteplici fonti,  fu molteplice, e portò, nell’ambito soprattutto dell’architettura e del design, alla nascita del cosiddetto “stile razionalista”, che ha cambiato completamente il nostro modo di concepire la casa, gli edifici, la comunità. 

Ma, spesso, i sogni non reggono all’impatto con la realtà. E la realtà del XX secolo è quella di una massiccia ristrutturazione della società, della crescita a dismisura dele periferie urbane, e, dopo la seconda guerra mondiale, la necessità vitale di fornire un alloggio a milioni di persone senza tetto, alloggi vivibili e che soddisfino le loro necessità fondamentali. Questo, unito ad alcuni personali convincimenti di alcune delle figure più rappresentative del movimento razionalista (sia Gropius che le Corbusier erano comunisti), determina una mutazione. Da un lato, la “funzione” che il manufatto doveva soddisfare si identifica sempre più con il soddisfacimento dei bisogni puramente materiali degli utenti, trascurando progressivamente, e alla fine ignorando, le necessità spirituali, e il bagaglio culturale, empatico, delle tradizioni sociali degli individui e delle popolazioni coinvolte. Dall’altro, la necessità di costruire molto, di costruire in fretta, pone sempre più questi progetti nelle mani di grandi organizzazioni burocratiche, preoccupate essenzialmente di fornire alloggi purchessia, e molto meno delle necessità di socialità, di soddisfazione “empatica”, di servizi non materiali.

Da qui una profonda crisi.

Vivere in questi enormi quartieri, con case tutte uguali ( i “casermoni”), disumanizzate (Le Corbusier definiva l’abitazione una “machine a habiter”…  ) fa sì che la gente si senta “oppressa” a viverci. Chi può scappa, sceglie altre tipologie abitative, più umanizzanti, come le villette unifamiliari: magari decorate in stile tirolese, magari con i nanetti nel giardino, non proprio corrispondenti ai canoni del “superamento della decorazione” e alla “bellezza funzionale”, ma meglio rispondenti alle sue sensibilità individuali. I grandi progetti edilizi restano abitati dalle classi sociali più umili, che non hanno altri posti dove andare, e non hanno, all’interno di quei progetti, spazi e occasioni di socializzazione, e di condivisione di valori. Si verificano infiltrazioni criminali, degrado, materiale e morale. E gli eterei progetti per una nuova estetica, per un nuovo modo di abitare, diventano degli inferni sulla Terra. Qualche esempio in Italia: Scampia, lo Zen di Palermo. Progetti che, al loro esordio, furono etichettati come superbe manifestazioni della ”nuova architettura” (Lo Zen di Palermo, ad esempio,  fu progettato da uno dei più grandi architetti razionalisti italiani , Vittorio Gregotti, che per questa realizzazione fu insignito di un importante premio di architettura), e che falliscono miseramente il loro scopo.

E oggi? Perché, allora, parlare oggi di una “Nuova Bauhaus”? Perché oggi abbiamo un nuovo punto a nostro favore, una nuova speranza:

La Rete.

Pur tra mille abusi e problemi, la Rete permette di collegare, in tempo reale, milioni di persone. Di scambiare voci, testi, immagini, programmi, documenti complessi. Permette alle persone di parlare tra loro, indipendentemente dalla loro locazione geografica. Premette di condividere, profondamente, in dettaglio, idee.

E premette di partecipare, in modo condiviso, a progetti. 

Ecco quindi che il vecchio sogno della Bauhaus, quello di arrivare ad elaborare una nuova estetica, legata ad una nuova società e ad un nuovo progetto di vita, in modo condiviso, tramite l’opera “di un milione di artigiani”, come diceva  Gropius, e tramite la fioritura di progetti di proposte autonomamente elaborate, che vengano composti a formare parte di un unico affresco, questo sogno può tornare in vita.

Tutto questo non è utopia: succede già.

Molte aziende utilizzano il cosiddetto “crowdsourcing” per la progettazione dei propri prodotti. Ad esempio, le grandi aziende automobilistiche invitano i loro “fan club” su Internet a esprimere idee e proposte per determinare la linea dei nuovi modelli di autovetture dal lanciare sul mercato. Anche se la maggior parte dei suggerimenti non sono utilizzabili, alcune idee valide solitamente alla fine emergono. E quelle idee consentono di lanciare sul mercato un prodotto la cui immagine e le cui specifiche sono maggiormente condivise dagli utenti, e che quindi potrà avere un maggiore successo di vendite. Altre cose allo studio sono la “crowdwisdom”, per applicare la condivisione alle decisioni di management, e la “crowdcreation”, per la creazione condivisa di contenuti artistici. Oltre all’ormai onnipresente “crowdfunding”, che ha permesso a tanti progetti generati da artigiani o piccole entità di diventare realtà.

E allora, perché non un progetto condiviso per generare una “nuova bellezza”, e un “nuovo modo di vivere”, che sia in linea con le necessità della società industriale, ma anche con le tematiche ambientali, e avvii una trasformazione condivisa del nostro modo di vivere secondo schemi vivibili, prosperi ed economicamente compatibili, e tali da promuovere le diversità culturali e l’inclusione?

Questa è l’idea di fondo della New Bauhaus Iniziative della Commissione Europea. Una iniziativa che chiama gli europei, cittadini, società e istituzioni, a presentare progetti interdisciplinari e condivisi  per “«…build together a sustainable and inclusive future that is beautiful for our eyes, minds, and souls”.

Questo al fine di definire, e concorrere ad implementare una nuova concezione del  vivere la quale sia:

Enriching, inspired by art and culture, responding to needs beyond functionality.

Sustainable, in harmony with nature, the environment, and our planet.

Inclusive, encouraging a dialogue across cultures, disciplines, genders and ages.

Il Progetto, che si svolge in contemporanea e in piena sinergia operativa con il New Green Deal, del quale rappresenta, se vogliamo, la parte “innovatrice e creativa”, è volto alla definizione, approvazione e finanziamento di proposte, presentate da partner o consorzi di partner europei, che riguardino:

  • Trasformazioni dell’ambiente costruttivo e del territorio (ad es. nuovi modi di costruire e di pianificare il territorio)
  • Sviluppo di Nuovi concetti per l’innovazione finalizzata alla trasformazione per la sostenibilità, l’inclusione e l’estetica
  • Progetti per l’indagine e la definizione di nuovi significati e percezioni in merito a temi come l’estetica, la sostenibilità, e l’inclusione

Insomma, il programma originario della Bauhaus, reso possibile dalle tecnologie digitali, e aggiornato alle sensibilità attuali in termini di trasformazione sostenibile, inclusione e interazione di genere e culture.

Il programma, che non ha una fonte di finanziamento propria, afferisce tuttavia agli strumenti di finanziamento europei quali Horizon 2020 e Horizon Europe, i Fondi regionali Europei, ed altro ancora, secondo “griglie di pertinenza” che correlano i vari sottotemi delle tre aree sopra identificate con lo strumento ad esse dedicato, e che accoglierà i progetti valutandoli secondo le sue procedure interne con un possibile  “token” di priorità.

Che dire di più? L’occasione è importante, forse irripetibile. In questi tempi tristi, dove, in certe aree appena fuori dall’UE, l’”estetica” sembra voler essere rifatta a colpi di missili, questa iniziativa della Commissione Europea è un grande atto di speranza verso il futuro, un futuro in cui tutti siano inclusi in uno schema che ponga al centro di tutto l’uomo e l’individuo, con le sue necessità materiali e spirituali, in un mondo verde, sano, libero e inclusivo.

Partecipiamo tutti a costruirlo.

Per chi è interessato   https://europa.eu/new-european-bauhaus/index_en