Intellettuali in fuga dall’Italia fascista

a cura di Carmine Marinucci

Un ringraziamento del tutto particolare alla Professoressa Patrizia Guarnieri[1] di UniFI per aver promosso e realizzato questo rilevante ed ambizioso progetto di ricerca sull’emigrazione intellettuale dal fascismo. Emigrazione tuttora poco conosciuta sia in termini numerici sia nelle vicende personali, biografiche, nei percorsi e negli esiti accademici e professionali. 

https://intellettualinfuga.fupress.com

Il progetto Intellettuali in fuga dall’Italia fascista, promosso dall’Università di Firenze in occasione dell’80° anniversario delle leggi razziali, è stato sostenuto dalla Regione Toscana  ed ha avuto il patrocinio di istituzioni ed enti esteri, tra cui  The New York Public Library,  The Council for At-Risk Academics di Londra, da cui si è avuta la documentazione dell’ECADFS e rispettivamente della SPSL, The J. Calandra Italian American Institute, CUNY, e i Central Archives for the History of Jewish People, Jerusalem.

Una rilevante iniziativa che ha portato alla realizzazione dell’omonimo portale https://intellettualinfuga.fupress.com, inserito dalla Library of Congress nell’ Electronic Resources Online Catalog (EROC) e nell’Italian American Periodicals, che ha individuato finora circa 400 nominativi di studenti, studiosi e professionisti qualificati che lasciarono l’Italia, le cui vite sono state ricostruite con un approfondito lavoro di ricerca in archivi italiani ed esteri e con il contributo anche dei familiari, ove è stato possibile, che da ogni parte del mondo hanno inviato documenti e fotografie (sono finora circa 1200). Si tratta perciò di un lavoro di public digital history, in italiano e in inglese su un fenomeno sommerso di mobilità qualificata transnazionale e transcontinentale, che si è scelto di realizzare in una pubblicazione digitale perché questa permette ampliamenti, correzioni, aggiornamenti, favorisce la ricostruzione delle reti nonché la connessione tra luoghi e persone distanti, ed infine ha una veloce e vasta diffusione.

Come è stato messo in evidenzia nell’introduzione del progetto, l’Italia è generalmente considerata terra di migranti poveri e senza istruzione. Ma durante il ventennio, specie dopo l’emanazione delle leggi antisemite[2], anche accademici e professionisti, artisti e scienziati, studenti e studiosi espatriarono da soli o con le loro famiglie, in cerca di libertà e lavoro, e poi anche di salvezza. Dal progetto di ricerca emerge come queste “Vite in movimento” emigrarono nelle Americhe, in Inghilterra, in Palestina (’Eretz-Yisra’el), si rifugiarono in altri paesi europei finché sembravano sicuri, ed infine in Svizzera. 

Partirono da soli o con dei familiari. Cambiarono vita, paese, lingua e lavoro due volte e più. Quasi mai c’è un solo punto di partenza e uno di arrivo. Se per i professori ordinari si può identificare una sede di espulsione, essa non sempre coincideva con l’ultima residenza loro o della propria famiglia; i liberi docenti “decadevano” dal titolo conseguito ma non erano formalmente espulsi da una precisa università, e chi fino allora aveva insegnato da precario poteva averlo fatto anche in più atenei. I neolaureati e gli studenti non avevano ancora un luogo di lavoro e non avevano più la loro scuola.

Seppur un fenomeno numericamente limitato ma importante di brain drain, che per l’Italia non è stato ancora indagato a fondo, se non con studi su singoli casi più famosi, tra cui anche alcuni Nobel.

In questo progetto di ricerca, che vede una Comunità scientifica particolarmente rilevante con importanti collaborazioni sia in Italia che a livello internazionale, si è cercato di seguire delle  vite in movimento, rintracciandone i complicati percorsi di mobilità, che erano non soltanto

Il Gruppo di ricerca in UniFI

geografici ma riguardavano anche qualifiche e posizioni, ambiti professionali e disciplinari, relazioni, idee e comportamenti. L’arco di tempo è quello del ventennio e oltre. Tra gli intellettuali che lasciarono l’Italia per motivi politici o razziali, alcuni lo fecero appena emanate le leggi del 1938, pochi se n’erano già andati via, altri ancora si decisero dopo, e dal ’43 molti scapparono per salvarsi.

La scelta della destinazione dipendeva da vari motivi, e dalle precedenti esperienze di mobilità che allora era frequente nelle carriere accademiche; dunque contava il dove si avessero già dei contatti utili, reti di appoggio e sostegno familiare, accademico, professionale. È stato possibile indagare la pluralità dei luoghi e dei movimenti attraverso le referenze che questi studiosi presentavano cercando lavoro all’estero, e dalle referenze che effettivamente ricevevano specie se da colleghi di altri paesi. Spesso si rivelavano destinazioni temporanee: permessi di soggiorno in scadenza obbligavano ad ulteriori spostamenti; da paesi vicini ma non più sicuri si passava ad altri; rapidamente si cambiava alloggio e lavoro quasi ovunque lo si trovasse, in istituzioni, città o Stati diversi, come succedeva soprattutto in America. Una vita dura, non semplice, anzi. La ricerca di una sistemazione stabile per chi non l’aveva mai avuta, ma anche per chi da professore ordinario si ritrovava supplente per qualche mese e poi di nuovo disoccupato, spesso durava lunghi anni, a differenza di quanto si pensi in genere o appaia da frettolosi cenni nelle biografie.

Dalla lettura delle varie biografie, con mappe, timeline, approfondimenti, emerge un dato impressionante: non tutti tornarono indietro. E i luoghi variano persino negli eventuali ritorni in Italia, cui seguivano non sempre reintegri nella sede e posizione iniziale, bensì trasferimenti per «incompatibilità ambientale», o nuove assunzioni o rientri inattivi professionalmente. Se i padri espulsi da cattedratici potevano rientrare come «soprannumerari» o aggregati di chi li aveva sostituiti, e magari già prossimi al pensionamento, i loro figli non avevano un posto di lavoro dove tornare e trovavano più opportunità e motivazioni per rimanere all’estero. Certamente questo una delle conseguenze più importante della persecuzione razziale e politica del fascismo sulla cultura, ed anche un tema che richiama l’attuale fuga dei cervelli”. 

La gravità delle perdite fu naturalmente negata dal regime che le definiva irrilevanti; i vuoti furono rimpiazzati più rapidamente che adeguatamente nelle università che nell’agosto 1938 avevano censito colleghi e studenti ebrei favorendone di fatto l’immediata espulsione. Su di loro calarono silenzi ed effettive cancellazioni; e nel dopoguerra prevalse un generalizzato bisogno, da parti opposte e per ragioni diverse, di voltare pagina dimenticando o mettendo tra parentesi quanto era accaduto. 

Davanti alle atrocità delle deportazioni e dello sterminio appaiono ben poca cosa l’espulsione dal lavoro e dallo studio, il divieto di pubblicare, la radiazione dall’albo professionale, o la revoca del titolo che abilitava alla docenza. Eppure, queste ingiustizie hanno inflitto gravi sofferenze a uomini e donne, a famiglie e bambini, hanno spaesato e cambiato le loro vite, e hanno comportato danni pesanti alla cultura e al futuro di tutti. La ricerca pone una attenzione del tutto particolare, anche grazie alla sensibilità delle ricercatrici coinvolte, alle troppe signore della scienza e della cultura che furono costrette ad emigrare.

Lungi dal minimizzare le conseguenze della persecuzione razziale, questa ricerca ne vuole soprattutto documentare le molte perdite produttive e culturali, e le molte responsabilità anche dopo il fascismo di cui occorre sapere. Le storie dimenticate che emergono parlano anche di risorse e talenti, di impegno e determinazione, valorizzano i contributi di esponenti della cultura italiana all’estero.

Certamente da leggere le pagine “Dicono di noi” che mettono in risalto le tante “vite in movimento” https://intellettualinfuga.fupress.com/contenuti/256 e la mappa degli accessi al portale in tutto il mondo.

Copyright

Patrizia Guarnieri
Intellettuali in fuga dall’Italia fascista. Migranti esuli e rifugiati per motivi politici e razziali
Intellectuals Displaced from Fascist Italy. Migrants, Exiles and Refugees Fleeing for Political and Racial Reasons   

Firenze, Firenze University Press, 2019 -, English version 2020-
e-ISBN: 978-88-6453-872-3
DOI: 10.36253/978-88-6453-872-3
Biblioteca di storia
ISSN online: 2704-5986


[1] Patrizia Guarnieri, responsabile scientifica della ricerca, è professoressa ordinaria di Storia culturale dell’età contemporanea all’Università di Firenze. E’ stata Fulbright Visiting Scholar ad Harvard, docente di storia sociale della scienza all’Overseas Program di Stanford University, CNR-NATO Fellow presso The Wellcome Trust Centre for the History of Medicine in London; Jean Monnet Fellow e Visiting Scholar all’European University Institute e, di recente, M. Di Palermo McCauley Visiting Scholar al John Calandra Italian American Institute, CUNY, New York. Tra i suoi libri, Italian Psychology and Jewish Emigration under Fascism. From Florence to Jerusalem and New York (New York, Palgrave – MacMillan, 2016),  premiato all’Edinburgh Gadda Prize 2019 (Cultural Studies).

[2] Prima dei provvedimenti in difesa della razza del 1938 furono le cosiddette leggi del 1925 a stigmatizzare e allontanare gli «incompatibili» con le direttive del regime, spingendo così intellettuali e accademici anche all’espatrio, a partire dalla metà degli anni Venti. Con il giuramento del 1931, la richiesta di un’adesione incondizionata al fascismo metteva di fatto fuori legge l’autonomia d’insegnamento, di pensiero, e di religione; quell’autonomia era stata, in realtà, fortemente compromessa da subito con la nuova organizzazione dell’istruzione. Nel regio decreto n. 2102 del 30 settembre 1923, furono abolite le rappresentanze elettive; i presidi delle scuole secondarie, i rettori, i presidi di facoltà, i direttori d’Istituto, i componenti del Senato accademico sarebbero stati nominati dall’alto; direttori e presidi videro così aumentati i loro poteri di controllo gerarchico sul personale. In quanto ai giovani universitari, Mussolini ordinò ai prefetti di: 

fare comprendere agli studenti che si agitano, perpetuando un deplorevole costume che non doveva sopravvivere alla guerra e alla rivoluzione fascista, che le loro agitazioni sono perfettamente inutili e possono anche avere conseguenze di grande rilievo, non esclusa la chiusura delle università per l’intero anno scolastico. Considero la riforma Gentile come la più fascista fra tutte quelle approvate dal mio Governo. (Circolare ai prefetti delle città sedi universitarie, 6 dicembre 1923, «Il Popolo d’Italia», 292, 7 dicembre 1923).