“Senza sperimentazione niente futuro, ma solo ripetizione del presente”

di Giuseppe Marinelli De Marco *

Il presente tecnologico futuro

Dieci anni fa ad aprile 2011, in occasione della Hannover Messe, veniva pubblicato l’articolo “Industria 4.0: con l’Internet delle cose sulla strada della quarta rivoluzione industriale”. A partire da quell’articolo, grazie all’incredibile potenziamento dell’aspetto organizzativo e produttivo, l’impresa contemporanea ha oramai già messo in atto il cambiamento della propria fisionomia. L’azienda che opera nel presente, proiettata nel futuro, è ancora oggi detta del “4.0”, si tratta di una realtàchescaturisce dalla fisionomia tecnologica e procedurale emergente da quel processo che sta portando la produzione industriale ad essere del tutto 1) automatizzata; 2) Intelligente; 3) interconnessa. La cosiddetta 4a rivoluzione industriale, che sta comportando un impatto profondo sul tessuto industriale e imprenditoriale a scala mondiale dove, si sa, di questi tempi nessuno è al riparo.

Macchina didattico poetica, Corso di Basic Design, Sara Bianco, Docenti G.Marinelli, ISIA Roma Design / Pordenone

I problemi si spostano

Se la caratteristica di una azienda così rimodellata è di non avere più molti problemi di fabbricazione e di gestione dei processi, altre dimensioni invece appaiono a complicarne i sonni: problemi di cultura, di pensiero e ideazione, di progettazione, di intuizione e crescita delle attitudini creative, di relazione e interazione fra entità collaborative e soprattutto di comunicazione, in breve tutte quelle skills chiave per affrontare le sfide che ci attendono dietro l’angolo.

Ma questi asset immateriali di cui oggi tutti parlano sono una realtà che ha i suoi modi e i suoi tempi di crescita nel quadro produttivo generale e che ha bisogno in primis di un ecosistema ad hoc costruito appositamente per far nascere e crescere quelle menti “creative e colte” che servono disperatamente anche numericamente parlando. Segnalo un fatto che ritengo singolare: se andiamo a leggere tra le pagine dei siti delle imprese italiane eccellenti che producono brand eccellenti, l’utilizzo di design italiano è posizionato fra il 25 e il 30 % massimo del prodotto complessivo mentre il grosso della sostanza progettuale (70-80%) del brand nazionale in realtà proviene da menti creative e intelletti stranieri.

Se non si sperimenta non si va da nessuna parte

Questo dato, nella patria del made in Italy fa riflettere! Ma perché l’azienda italiana di oggi quando è in cerca di creatività si rivolge molto più fuori casa che dentro? Una risposta che mi sento di dare è che se non si sperimenta non si cresce, che la sperimentazione è il sale della nostra era, specie pensando che viviamo un’era di transizione che dovrebbe fare della sperimentazione di alto livello la sua prima missione. Dunque è probabile che agli occhi delle nostre aziende cult-brandizzate parlando di una “creatività che coglie il tempo” i nostri designer appaiano forse un po’ ripetitivi, meno audaci dei loro colleghi stranieri figli di realtà europee asiatiche o statunitensi dove invece su questi temi di ricerca Concettuale, Morfogenetica e Visiva, e di legame Art&Science si sperimenta davvero moltissimo. Una per tutte la celeberrima mostra di design del MoMA di N.Y. “Design and elastic mind“ del

2008. Oltretutto curata dalla sensibile bravissima Direttrice Paola Antonelli di cui voglio trasmettervi un veloce pensiero: “Uno dei compiti fondamentali del design è stare tra le rivoluzioni e la vita e aiutare le persone ad affrontare il cambiamento”.

Macchina didattico poetica, Corso di Basic Design, Aurora Keber, Docenti G.Marinelli, ISIA Roma Design / Pordenone

L’ingannevole sirena del PIL

Non sono propenso a credere ad vocazione particolarmente esterofila delle imprese italiane, certo la Globalizzazione fa sì che l’apertura al mondo e la pratica verso  mercati mondiali implichi obiettivamente il reperire risorse creative e progettuali più familiari ai sentiment di una clientela mondiale, però allora la creazione di un nuovo dialogo e di nuove sinergie fra produzione e formazione diventa indilazionabile e l’industria non può chiamarsi fuori da questo dilemma di natura squisitamente progettuale e culturale e guardare se stessa sempre e solo dal lato del PIL magica dittatura della matematica quantitativa basata, anzi fondata, su di un export rassicurante, poiché la proprietà emergente, pilastro della teoria dei sistemi complessi e perno fondamentale del nuovo management del futuro non è la matematica ma è il Linguaggio, una dimensione immateriale sfuggente, che non può evitare il confronto con la “condizione umana” un qualcosa complesso da sempre, e che, pena lo scivolare in un incantesimo, è impossibile misurare, e da lì dobbiamo ripartire.

Una scienza non-scienza, l’incantesimo di Ulm colpisce ancora

La grande innovazione della didattica del design apportata dalla scuola di Ulm grazie a Maldonado che comunque lo si voglia vedere, rimane un assoluto faro di cultura nelle nostre latitudini, è stata l’introduzione di molte discipline scientifiche, la scuola di Ulm puntava ad un design che educa ed istruisce l’utente e dunque il suo immaginario era un immaginario illuminista puro, il sistema degli oggetti che ne usciva fuori era un sistema che non amava molto l’imprevisto e l’apertura.

Mettendosi dal punto di vista di che tipo di paesaggio va a creare una tale concezione abbiamo un paesaggio molto monotono ed equivalente, senza troppi sussulti e soprese. Alain Findeli sottolinea con forza che il mood dominante nelle scuole di design e io aggiungo specie in Italia e specie nei Bienni sia quello per cui una buona analisi è il 90 per cento del progetto e che alla fin fine basta solo tirare le somme ma tanto più sarà esaustiva la parte di ricerca quanto più sarà risolutiva la progettazione Questo credo si ben applicabile alle scuole di ingegneria a patto che sia una scuola di  ingegneria in cui non insegnino mai ingegneri come Otto Frei o Felix Candela o il nostro compianto Sergio Musumeci, geni creatori e grandi innovatori del mondo del pensiero strutturale, dei veri e propri Bruno Munari dell’ingegneria internazionale.

Tutto nasce dal fatto che nella teoria dell’informazione qualunque informazione e di conseguenza qualunque messaggio fosse una entità misurabile e dunque conoscibile. Al tempo stesso i mondi narrativi espressivi antropologici che mostrano una ritualità più marcata, sono mondi chiave e cruciali perché sono quelli in grado di «fare la differenza» nelle cose, ma hanno la responsabilità di rendersi disponibili anch’essi ad una indagine metodologica-processuale, ossia ad una verifica teorica e soprattutto pedagogica circa il carattere di riproducibilità della loro propria natura estetica e narrativa.

Macchina didattico poetica, Corso di Basic Design, Luca Pagotto, Docenti G.Marinelli E.Rausse, ISIA Roma Design / Pordenone

Nuovi ruoli per la Metaprogettazione

Le imprese italiane non adottano in modo significativo i nostri designer immagino perché sanno, o più semplicemente constatano, che sono formati in un quadro formativo-didattico generale tutto sommato restio a promuovere ecosistemi culturali autenticamente sperimentali, dei veri cercatori, dei veri pionieri scouting designer che siano spregiudicati, che indaghino su forme concetti o situazioni senza restrizioni mentali. In Italia ad es. non si parla quasi mai di Metaprogettazione o di Design Sistemico e perciò si sperimenta poco o nulla dell’alto livello di indagine concettuale-formale-eidetica, per non parlare dell’aspetto pedagogico che serve oggi, procedendo sul doppio binario di sempre: arte di quà e scienza di là, ciascuna con le proprie idiosincrasie, e ogni tanto un fugace flirt. Ad esempio noi siamo certamente attrezzati per discutere sulla forma delle cose ma cosa sappiamo dire sulla forma dei processi? e poi .. ma i processi hanno forme? Sono i processi oggetto di decisioni formali? Già il porre queste domande sarebbe oggetto di un corso di studi biennale apposito, ma ovviamente siamo lontani dal nostro mood di design del prodotto che in omaggio ad una concezione metafisica del design ci porta sempre a discutere del sesso degli angeli, siamo complessati dello scientificismo e non riusciamo ad essere sufficientemente sperimentali- 

Noi procediamo con la zavorra del metodo scientifico da un lato e la leggerezza oramai consunta e ridotta al lumicino del cosiddetto “design ironico” figlio o forse oggi meglio dire “nipotino” del Radical Design che ha goduto in Italia, a mio avviso di una esageratamente lunga e benevola stagione di consensi. Fatto sta che o in chiave concettuale o morfogenetica, o situazionista, si ha la sensazione che in Italia la sperimentazione nel design sia ferma ad un laboratorio pre-digitale o forse pre-tecnologico, in breve: pre-complessità. Ecco il punto chiave a cui è importante oggi fare riferimento: la complessità, il fatto di vivere in società ad alto livello di interconnessione e di interrelazione costante e che il qualunquismo insito nel design ironico nostrano non riesce mai a intercettare.

Macchina didattico poetica, Corso di Basic Design, Sofia Lucchese, Docenti G.Marinelli E.Rausse, ISIA Roma Design / Pordenone

Un brusco risveglio

L’invasione dell’Ukraina da parte della Russia ci sta dicendo che il salto di scala globale generatosi a partire dall’implosione del sistema sovietico 1989 ( fine del muro ) 1991 ( cessazione della guerra fredda), si sta compiendo pienamente oggi e  che è iniziata una nuova  stagione fatta di severe responsabilità individuali e collettive, è fondamentale che il sistema design intercetti tutto ciò e ne tenga in massimo conto. E’ molto importante che chi progetta che si tratti di arte architettura o comunicazione visiva, capisca l’importanza di doversi interfacciare irreversibilmente con una società oramai per sempre post-affluente tendente alla povertà, climaticamente critica, multiculturale, multigenere, deframmentata, e soprattutto compiutamente digitale. Le nuove criticità emerse con la pandemia, la guerra, e la crisi energetica, stanno avendo tuttavia il potere di modificare quei processi appena menzionati producendo effetti che avranno sicuramente importanti risvolti nell’ambito domestico, lavorativo, alimentare, sanitario e della sicurezza. Si tratta di eventi sgraditi, che stanno facendo precipitare una nuova chimica sociale su scala planetaria e che sembrano aver introdotto una pesante inversione di tendenza, un processo de-globalizzante che pone interrogativi. È probabile che questo processo di de-globalizzazione avviato non incida in modo drastico sui grandi assi strategici produttivi e commerciali impostati ormai dal Novecento, ma sicuramente andrà a ridisegnare una serie di confini importanti, anche culturali, in cui tutti i soggetti oggi presenti dovranno ridisegnarsi un ruolo nuovo possibilmente sempre più autorevole e convincente.

Una società che sta soppiantando sistematicamente il caro buon vecchio strutturalismo basato su paradigmi oggi obsoleti come destra vs sinistra o espressionismo vs razionalismo. Una società in cui artificiale e reale si stanno progressivamente incastrando uno dentro l’altro dando alla condizione umana di cui parlavamo prima una connotazione euristica e probabilistica tale da inflazionare tutte le narrazioni possibili e immaginabili e che anzi ci dice che possono esistere narrazioni anche in assenza di oggetti narrati, con buona fortuna del design del prodotto. I racconti con i finali diversi selezionati da uno sharing del pubblico potrebbero senza troppi impedimenti tecnologici diventare una delle scappatoie future volte al superamento della morte che, checché se ne dica, della condizione umana ne rappresenta sempre la chiave di volta .  

Eco Meta Minimal

Eco Meta Minimal sono prefissi denotativi molto diversi fra loro ma convergenti su alcuni significati importanti che può assumere oggi il Design. Per vie diverse e forse anche contraddittorie ma tutti partecipi di un approccio alla progettazione consapevole di vivere in società complesse e per questo adottare una via sistemica alla definizione degli scenari che ci aspettano.

Noi abbracciamo e ci confrontiamo con la sfera della complessità non per «trasformarla» in qualcosa di più semplice, ma per «tradurla» in semplicità. Ovviamente questa opera di traduzione dal complesso al semplice, non va intesa come pura eliminazione e sottrazione di valori potenziali tout court. Sarebbe troppo facile, in politica è la tentazione dei populismi e delle autocrazie (muri ovunque e l’uomo forte al comando) 

Dal caos al controllo, Corso di Basic Design, Giulia Grimaz, Docenti G.Marinelli E.Rausse, ISIA Roma Design / Pordenone

Nuovi paradigmi

In realtà noi non diminuiamo nulla, ma spostiamo il focus del significato progettuale dall’oggetto al Sistema. Siamo convinti che solo attraverso una visione relazionale sistemica riusciamo ad ottenere le risposte che cerchiamo circa un design realmente sostenibile. Dal punto di vista delle scienze della complessità la risposta ad alcune domande pressanti circa l’eco-progettazione non sta solo nella pur doverosa applicazione di alcune caratteristiche tecniche ma nella elaborazione delle ricadute reali che andranno a formare un nuovo teatro della vita quotidiana e nel come un nuovo modello culturale fondato su nuove prassi più sobrie e austere di vita sarà capace di convincere centinaia di milioni di persone a cambiare abitudini consolidate, legittimando e rendendo attoriali nuovi valori e nuovi tipi di relazioni con il prodotto e il suo mondo.

Pattern Etnografico, Corso di Basic Design, Jessica Zandomenego, Docenti G.Marinelli E.Rausse, ISIA Roma Design / Pordenone

* Giuseppe Marinelli De Marco, Docente di BASIC DESIGN / ISIA di Roma, Docente di DESIGN DELLO SPAZIO E SISTEMI MULTIMEDIALI / Università di Udine, ( Dipartimento di Scienze Informatiche Matematiche e Fisiche), Ambasciatore del Design Italiano nel mondo, ADI e MAE (Min. Affari Esteri). Direttore scientifico della Città del DESIGN a Pordenone

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