Dai performing media alle hacking libraries

Viviana Vitari

Abstract

Il contributo vuole essere un’introduzione alle motivazioni che hanno portato a sperimentare un nuovo progetto di piattaforma web per riunioni, colloqui one-to-one o policy courseware che punti all’usabilità, alla semplificazione, alla scalabilità e alla personalizzazione, aderendo all’open source, all’interoperabilità dei database e alle necessità di raccolta dei dati statistici in ambito bibliotecario. Il processo ha portato a pianificare una piattaforma che il gruppo di lavoro ha definito come “ecologica”: una scelta che non è semplicemente qualcosa che “accade” all’individuo, ma fa rientrare la persona nel processo di trasformazione. Tiene conto delle variabili socio-culturali del lavoratore, ne riconosce pensieri ed emozioni, affronta la dimensione dell’esperienza facendola diventare un parametro di riferimento per la personalizzazione e l’adattamento alle nuove tensioni.

The issue aims to explain why we are experimenting a new web platform for meetings, one-to-one interviews and policy courseware which is usable, friendly, simple, scalable, customizable, open source, interoperable, suitable for collecting statistical data in the library field.

The working group is calling this platform “ecological”. Ecological is also a choice that is not simply something that “happens” to individuals, but brings them inside the process of transformation. It also takes into account the socio-cultural variables of the practitioner. It admits their thoughts and emotions. It tackles the dimension of experience by making it a benchmark for personalization and adaptation. The article is an introduction to some of the reasons why the team group is working on this project.


Performing media: dopo la lettura dell’interessante commento sui performing media di  Carlo Infante,  mi addentro in quella che è la mia zona franca, le biblioteche. Dall’accentuazione più di carattere produttivo del cosiddetto prosumer, pur sempre da indicizzare nel nostro vocabolario, media performer è un’espressione in cui vedo sdaziare l’artigianalità di un prodotto che rispetti competenze incrementali. Mi interessa qui cogliere il versante migliore che esce dalla vecchia bottega di arti e mestieri e dalle corporazioni per entrare nei neo collettivi del phygital. Il lavoro di ricerca e di pianificazione dei prodotti mediali può passare di mano in mano, in una staffetta coordinata e in un sistema di leadership diffusa. L’affaccio di questa bottega rimane sulla pubblica via: l’esposizione è propria dell’ambiente digitale; tutto o quasi può passare davanti agli occhi, anche indiscreti, di ognuno. 

Della bottega colgo la vivacità insita nell’apprendere mentre si produce. Prendo l’idea di un atelier fatto di legami non tanto vincolati alla “familiarità”, ma a una “contrattualità sociale”. Ci si muove dentro in un continuo stop and go dovuto all’accomodamento di sempre nuove abilità dentro le pratiche del quotidiano. Pratiche che oggi faticano ad esprimersi nel ricorso che molti enti fanno di quello che intendo chiamare “risparmio formativo”.  Nella volontà di muoversi anche solo alternativamente dal mondo dei distillatati a quello di un bataclan creativo, “osare” diventa il motto più adatto. Porta alla rigenerazione e rigenerarsi vale anche per le biblioteche. Un passaggio che è utile che avvenga in modalità graduale e progressiva, quindi “eco-“. Un “informediario” [neologismo che è stato usato in alcuni convegni per indicare non propriamente il bibliotecario, ma in maniera più ampia un esperto di informazioni non solo bibliografiche] non si sostituisce ad altre professionalità più tecniche del digitale, ma neanche è utile che si ponga nel permanente atteggiamento di subirne le condizioni: i “tempi moderni” della spersonalizzazione trattengono la cultura dentro l’industria informativa di massa. Accanto ad essa, occorre recuperare e valorizzare la fatica della progettazione e della sperimentazione su misura, che può diventare di volta in volta ricerca-azione, autodidassi, motore di pratiche sfidanti, creatrice di nuove specialità professionali che fanno delle digital humanities un innesto “colturale” per più ambiti.

Accostare l’open source al ready-made digitale cui siamo abituati può fare del digitale, che entra a pieno titolo anche nelle biblioteche, una nuova forma di artigianato di alto livello. E’ a queste auspicabili “hacking libraries” cui mi riferisco, un’espressione scelta per una relazione all’edizione meneghina delle Stelline 2021. Fra istituzione e educazione aperta, la bottega di sperimentazione segnalata è quella che nasce dall’open source per entrare nel live conferencing. Si parla di “piattaforme ecologiche” dove l’investimento nell’agency dei suoi membri è sostanziale. Da queste premesse e altre ancora ne è emerso un progetto-pilota in cui l’idea di biblioteca come piattaforma, quindi anche di piattaforma digitale, apre orizzonti inesplorati di sviluppo, oltre che di accesso. Nella biblioteca delle relazioni, una piattaforma di live conferencing può essere implementata fin dalle origini come spazio abilitante alle funzioni gestionali. Avvia a piccole e diffuse comunità di pratiche. Nella gradualità di approccio e nella scalabilità delle sue estensioni costruisce delle competenze ibride, raccoglie dati misurabili sui pubblici, predispone all’alternanza fra scambi interumani analogici e digitali, phygital per intenderci.  Quella che il gruppo di lavoro ha ridenominato per la prima volta, memore di Bronfenbrenner e delle ricerche di Ranieri/Manca, come piattaforma ecologica, mette il bibliotecario dentro il processo di trasformazione. In un’ottica a medio-lungo termine e non più viziata dall’urgenza emergenziale, il modo in cui si pensa e si progetta parte dall’analisi dei taciti bisogni. Ricordo quella scena indimenticabile della Smorfia, in un ante-litteram performing media dello straordinario saraceno che porta il nome di Massimo Troisi: in uno sketch un attore in qualità di esperto descriveva con saccenteria i bisogni di un partenopeo poveraccio e sprovveduto, che viveva davanti al Vesuvio. Non lo ascoltava. Né in realtà ne aveva comprese le aspettative sulla qualità della vita. Oggi può accadere anche nella proposta degli ambienti digitali dentro il clamore dell’arena mediatica. La riflessione spinge verso un’idea di “hacking libraries”, che permettano, nella nostra ormai multi-appartenenza a più collettivi, di non essere solo sommersi, ma anche immersi in piattaforme digitali di condivisione, come solo un buon anfibio può fare.

Link ai collegamenti in ordine di citazione (ultimo controllo al 2.10.2021)

Performing media: https://www.diculther.it/rivista/performing-media-agire-i-media-per-non-subirli/

Phygital: http://www.bibliotecheoggi.it/rivista/article/view/1129

Stelline 2021: https://www.convegnostelline.com/vitari-uggeri

Gruppo di lavoro: https://www.convegnostelline.com/vitari-uggeri

Digital humanities: https://www.humanitiesblast.com/manifesto/Manifesto_V2.pdf

Bronfenbrenner: https://www.britannica.com/biography/Urie-Bronfenbrenner

Ranieri/Manca: https://www.erickson.it/it/i-social-network-nell-educazione

Piattaforma ecologica (video) :  https://sho.co/1EVWS Hacking libraries: https://sho.co/1EVWHFacebookTwitterEmailLinkedInTelegramCondividi